mercoledì 22 marzo 2023

L'ansia dei cattolici


 
 
 
Stefano Folli, Schlein e le piazze: rischi di ambiguità, La Repubblica, 21 marzo 2023 
 
La piazza arcobaleno è gioiosa nei suoi colori e nei suoi propositi, ma Elly Schlein non può aver pensato che sia questa la fotografia della politica che l’attende nei prossimi mesi: una permanente festa di popolo in cerca di diritti, dove le contraddizioni svaniscono e i Cinque Stelle restano sullo sfondo a sfruttare il tema dell’Ucraina con innegabile cinismo. La situazione è più complessa, dal momento che la questione dei diritti delle coppie omosessuali è traslata in una questione di desideri individuali da affermare modificando, quando è il caso, la legislazione.
Il desiderio di paternità si può esaudire attraverso lo strumento dell’adozione: e qui la strada non è senza ostacoli, ma può condurre a un risultato. Oppure può imporsi, quel desiderio, attraverso la “maternità surrogata”, il cosiddetto “utero in affitto”: e qui la via sembra sbarrata. Non certo da oggi, visto che la destra al governo non ha dovuto abolire una legge in vigore, che non c’era. Al contrario, il divieto di questa e altre pratiche non è mai stato rimosso negli anni in cui il centrosinistra aveva, sulla carta, la forza parlamentare sufficiente per prendere un’iniziativa. Se non lo ha fatto è per la buona ragione che solo una minoranza era e resta favorevole alla “maternità surrogata”.
Di ciò Schlein è certo consapevole. Ma la piazza arcobaleno, pur entusiasmante, è un fiume in piena. Non è facile addomesticarla dopo averla convocata, stabilire delle sottili distinzioni. La registrazione dei figli nati all’estero da madri “surrogate” è un principio in sé indiscutibile, sul quale tanti sono d’accordo, ma può essere anche lo spiraglio per arrivare comunque alla legittimazione “dell’utero affittato”. In materie etiche così delicate conta anche la percezione, dunque la ferita al senso comune posto di fronte a una novità che la maggioranza degli italiani respinge.
Non a caso sul rifiuto dell’equazione “desideri uguali diritti” trovano un’intesa democristiani (poi Margherita) come Giuseppe Fioroni e comunisti d’antan come Marco Rizzo, per citarne solo due. Vuol dire che si tratta di personaggi d’altri tempi, poco rappresentativi? In questo caso può essere vero l’opposto. È l’elettorato del Pd, o se si vuole del centrosinistra in un’ampia accezione, che rimane perplesso di fronte all’ambiguità. La neosegretaria, politica attenta, non si è detta favorevole alla maternità surrogata, ma non ha mai nemmeno pronunciato un “no” perentorio. E sembra di capire che il richiamo delle piazze (giorni fa quella antifascista di Firenze, adesso quella arcobaleno di Milano) sia un tentativo di rafforzarsi rispetto a un partito che lei sente di non controllare ancora a sufficienza.
C’è il rischio però dell’errore di valutazione.
Forse è stato già commesso. Se l’antifascismo, sia pure talvolta di maniera, è spesso un argomento unificante, i temi etici possono urtare varie sensibilità. Il mondo cattolico che si riconosce nel centrosinistra ed è stato protagonista di una lunga stagione, cominciata con l’Ulivo, oggi è perplesso di fronte alla spinta radicaleggiante. Potrebbe accettarla se si trattasse di essere intransigenti sui diritti sociali e sul lavoro; ma qui si sta entrando in una foresta eticamente inesplorata che suscita ansia. Per molti cattolici, e non solo per loro, la ricerca di un’identità più netta non può cancellare valori essenziali. E l’idea di un mercato che in un modo o nell’altro coinvolga i bambini va al di là di ciò che è accettabile agli occhi di tanti.
Elly Schlein non ha quindi solo il problema di tenere a bada Conte e sottrargli voti. Deve soprattutto trovare il modo di entrare in altri settori della società, di incuriosire e conquistare un elettorato molto più vasto. Il sentiero imboccato può produrre l’effetto opposto e spaventare non la destra — che può anzi ricavarne un vantaggio — bensì i numerosi indecisi.
 
 
Lucetta Scaraffia, Se l'utero vale 15 mila dollari, La Stampa, 17 marzo 2023
 
Ho incontrato Consuelo, una giovane donna ispanica di una trentina d'anni, in un albergo della California dove faceva la cameriera. È lì che mi ha raccontato la sua storia. Aveva ripreso a lavorare sei mesi dopo il momento in cui aveva partorito un figlio per una coppia di omosessuali di Chicago, e ne era ancora sconvolta. Quando ha deciso di accettare questa proposta, due anni prima, pensava che sarebbe stato facile e poco faticoso: aveva già avuto due gravidanze normali, e l'idea di potere per un po' non lavorare fuori, ma stare in casa con i figli ancora piccoli le sembrava una meraviglia. E soprattutto le piaceva la possibilità di guadagnare 15.000 dollari praticamente non facendo niente. Sarebbero serviti molto alla sua famiglia, avrebbero risolto molti problemi.
Era quindi andata a parlare per proporsi a una agenzia apposita che le avevano indicato: uffici modernissimi, impiegati un po' distanti ma cortesi. Il contratto che le avevano fatto firmare parlava chiaro: per nove mesi avrebbero avuto la possibilità di arrivare inaspettati a casa sua, per controllare se le regole di ingaggio erano rispettate. Regole di alimentazione, di riposo, di controlli medici – tutto pagato dall'agenzia – e di incontri con uno psicologo se fossero sorti problemi.
Ma per questi in realtà non c'era spazio. Consuelo, ad esempio, non sarebbe stata libera di abortire qualora avesse cambiato idea, e al contrario sarebbe stata costretta ad abortire se la coppia committente lo avesse deciso. Ma in un primo momento questa clausola, questa limitazione così forte della sua libertà, non le era sembrata così grave, così come non aveva capito bene cosa significassero i controlli medici. Pensava si trattasse di un monitoraggio della sua salute e quella del bambino. Si trattava invece di un controllo minuzioso del suo corpo. A cominciare da tre mesi prima dell'inseminazione, aveva dovuto assumere dosi massicce di ormoni, per garantire l'insediamento e poi la crescita di un embrione estraneo al suo utero. Il che aveva voluto dire, per un anno, nausee, pesantezza, gonfiore, spossatezza. E naturalmente nessuno l'aveva informata, nessuno le aveva detto che questa dose massiccia di ormoni avrebbe aumentato di otto volte le sue probabilità di ammalarsi di cancro, e che la stessa cosa sarebbe valsa per il feto-bambino che portava dentro di sé. Ma questa, come avrebbe capito dopo, era una informazione che l'agenzia preferiva sempre omettere.
Era stato difficile poi far capire ai bambini, i suoi figli, che quel fratellino che stava crescendo nella sua pancia, dove erano stati a suo tempo anche loro, non sarebbe rimasto a far parte della famiglia. Ben più difficile, anzi decisamente straziante, era stato ascoltare i primi movimenti del feto, sentire quel legame speciale che si crea fra una donna e il figlio che porta dentro, consapevole tuttavia che lui sarebbe andato a lungo in cerca del suono della sua voce, del suo odore, e lei però non ci sarebbe stata. Sapere già da ora che avrebbe dovuto separarsene: e sempre per quei 15.000 dollari. Consuelo non immaginava che sarebbe stato così doloroso, così come del resto era stato difficile e doloroso affrontare il parto – che è sempre un'incognita, e un'incognita accompagnata dal dolore fisico – ma sapendo già che non avrebbe mai visto suo figlio.
Perché questo Consuelo non aveva messo in conto: che durante quei mesi quel piccolo era diventato suo figlio. Come succede del resto a ogni madre. Non era come cuocere una torta nel forno per poi regalarla, come avevano voluto farle credere.
Parlando con altre donne e informandosi meglio in giro, aveva poi saputo che quei 15.000 dollari in realtà non costituivano che un quinto della somma complessiva pagata dai committenti. Molto di più era andato ad avvocati, medici, impiegati dell'agenzia: per loro sì che era stato un buon affare. Consuelo lo raccontava a tutti, voleva avvertire altre donne che rischiavano di venire coinvolte in questo mercato. Era venuta a sapere però che molte nascondevano di averlo già fatto, di avere già venduto la loro capacità di essere madri, ma che si vergognavano e preferivano non dirlo a nessuno.
Questa è la storia di Consuelo, così mi è stata raccontata. Mi rincresce se trascrivendola ho forse turbato la felicità di tanti genitori, come le coppie omosessuali, che si sono serviti della pratica dell'utero in affitto. Ma così come è rispettabile e vero il loro dolore per non avere figli è forse egualmente vero il dolore oggi di Consuelo per avergliene fornito uno. —

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