lunedì 1 agosto 2022

Voci fuori dal coro

 




 Franco Cardini intervistato da Antonello Caporale, Il Fatto quotidiano

“Spero che a Giorgia non venga in mente di andare a palazzo Chigi. Se devo dirla tutta, confiderei che Fratelli d'italia non si aggiudichi il primato di partito più votato. Sarebbe una sciagura, vedo ombre all'orizzonte”. Franco Cardini, il pensatore più prolifico e riconosciuto a destra, predice la sciagura della destra al comando.

La mia militanza nell'msi inizia nel 1956 e termina nel 1965. Siamo nel cuore profondo del secolo scorso. Nessuna altra affinità. E poi sono un uomo di destra indisciplinato.

Ma stima Giorgia Meloni, si dichiara suo amico.

La stimo e sono infatti suo amico.

E la voterà?

Mi sarà capitato in passato, non credo che metterò nel prossimo futuro la testa fuori dall'astensione. 

Se la stima perchè si augura che perda? 

Perchè le voglio bene. Riconosco la sua tenacia, la rispettabilità, anche la moralità alla quale ispira il suo impegno politico così appassionato. Ma ha un partito pessimo, con una classe dirigente di infimo livello, inguardabile. E se corre troppo, se pensa che sia giunto il momento di fare il gran passo verso il governo, corre un grave pericolo. 

Pensa che l'italia non accetterebbe la fiamma tricolore nella stanza dei bottoni? Avrebbe una crisi di rigetto?

Basta una svastica sul portone di una sinagoga, una cappellata qualunque e le fiamme alte dell'antifascismo di maniera si dispiegherebbero al punto da costringerla a cento altre abiure affidando il governo ai soliti noti.

Lei non vuole Meloni a palazzo Chigi perchè teme che le tendano una trappola o perchè la giudica inadeguata?

L'una e l'altra cosa. Sono certo che finirà in un tritacarne. E sono certo che la sua classe dirigente e quella del centrodestra siano notevolmente al di sotto delle aspettative. Quindi al governo sarebbe un bagno di sangue.

Cosa le augura allora?

Di fare la leader dell'opposizione conservatrice. La conservazione non mi piace, ma piace a lei. Tra vent'anni sarà una donna matura, quasi anziana e verrà il suo turno.

L'Italia non è un Paese per giovani?

L'Italia non è pronta a una leadership di destra perchè la destra non ha leadership affidabile. Però Giorgia è intelligente e mi sembra che in qualche modo l'abbia capito. Cerca per sé il titolo di designatrice del nome, un volto da proporre al presidente della Repubblica quando sarà.

 

Ernesto Galli della Loggia, intervistato da Pietro Senaldi, Libero

... Pensa che se vince la Meloni sia a rischio la tenuta del Paese e che il consesso internazionale si scatenerà contro di noi?

«No. La scomunica internazionale se in Italia governasse la destra mi sembra solo uno spauracchio elettorale, che rischia peraltro di giovare alla Meloni e agli altri, stimolando un legittimo senso di sovranità nazionale».

Non è in vena di sconti, il professor Ernesto Galli della Loggia, con il centrodestra. Ma per la verità lo storico non risparmia critiche a nessuno. Ne ha per i grillini, «privi di capacità e qualità di governo», per Letta, che «ha una leadership di debole consistenza», per il Centro, «tranne Calenda incapace di darsi un’identità politica e quindi inutile», e naturalmente per Berlusconi e Salvini, il primo «per il vizio di promettere un Bengodi che non potrà mai esserci», il secondo «perché certi comportamenti da goliarda, che gira con le magliette di Putin che poi gli rimbalzano in faccia, danno un’immagine inaccettabile della Lega, la quale invece è un partito che, almeno a quanto si vede sul territorio dove vanta ottimi amministratori, non manca certo di capacità di governo».

Il professore tradisce un entusiasmo di recarsi al seggio pari a quello che avrebbe se gli offrissero da bere un bicchiere di cicuta ed è persuaso che «la grande crisi economica non giochi a favore né della destra né della sinistra, bensì dell’astensionismo, perché la situazione è grave e seria, ma se qui nessuno propone nulla di serio, come sembra accadrà, la gente se ne starà a casa». Come il Paese, Galli della Loggia è “in ascolto”, ma non sente nulla di quello che vorrebbe. Anche perché non esclude che poi finisca come al solito, «con i giochi che si fanno dopo il voto, scomponendo le alleanze».

Professore, qual è la differenza principale oggi tra centrodestra e centrosinistra?

«È una differenza di storie, di passati, di punti di riferimento, di idoli e quindi di obiettivi. Prenda la Costituzione…».

Bellissima, però qualche ritocchino a 75 anni non le guasterebbe…

«Per la sinistra la Costituzione è un feticcio intoccabile, per il centrodestra no. La Meloni parla di riforma presidenzialista, ma se si ricorda è un vecchio tema di Berlusconi che la leader di Fdi ha ripreso».

Il centrodestra se vince proverà a cambiare la Costituzione?

«Lo ha sempre paventato, ma poi non ha mai osato farlo. Adesso mi pare che non lo dica neppure più. I politici fanno un decimo delle cose che promettono in campagna elettorale, e non è detto che sia un male».

Servirebbe una bicamerale ricostituente?

«E forse tutti sarebbero anche d’accordo su cosa fare, ma per il momento mi pare impensabile».

Allora siamo destinati ad avere molti altri governi tecnici…

«Il governo tecnico è sempre un tappare un buco, non è mai la soluzione».

Draghi ha voluto o ha dovuto andarsene?

«Meloni doveva correre da sola. Dal punto di vista del consenso credo che le sarebbe convenuto. Ha le potenzialità per arrivare in alto. Nessuno aveva previsto cinque anni fa che M5S avrebbe superato il 32 per cento»

«Il guaio è che l’identità personale e caratteriale di Renzi è talmente forte da mettere assolutamente nell’ombra l’identità politica di Italia Viva»

«Non aveva più la fiducia della maggioranza, non in termini aritmetici, ma politici».

L’Agenda Draghi è un buon tema da cavalcare in campagna elettorale?

«Lo sarebbe, ma se lo cavalcano in dieci, come è ora, vale poco».

Chi pagherà il prezzo più alto per la caduta di Draghi?

«Lo sta già pagando Conte, che è uscito completamente stritolato dal braccio di ferro con il premier».

La cosa gli è sfuggita di mano, forse non voleva arrivare fino alla crisi?

«E le pare una piccola cosa per un leader di partito? In ogni caso, Conte ha ereditato un movimento già defunto, sfibrato dall’incapacità di dare concretezza politica alla piattaforma protestataria sulla quale aveva edificato le proprie fortune».

A me pare che anche Letta sia in grandi difficoltà: non ha ancora deciso neppure con chi presentarsi alle elezioni…

«Non è facile per lui. Deve rendere compatibili i suoi presunti alleati con tre-quattro correnti del Pd che hanno idee opposte in proposito. E quand’anche ci riuscisse, poi dovrebbe rendere compatibili tra loro tutti gli alleati. Una fatica da Sisifo».

Ha voluto lui la bicicletta e ha sbagliato lui a puntare su M5S. Alla fine cosa farà?

«Andrà con il Centro, ma ancora non saprei dire quale. Anzi, non saprei dire neppure cosa è il Centro, schieramento senza proposte precise di alcun genere, e senza ideologia che non sia quella di uno scialbo moderatismo e pertanto privo di identità. L'unico che mi pare faccia eccezione è Calenda».

 

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