Massimo Recalcati, Sanna Marin, la sua gioia di vivere è una lezione politica, la Repubblica, 21 agosto 2022
Sanna Marin - coraggiosa premier finlandese - è entrata nell'occhio del ciclone social e mediatico perché un video divenuto pubblico la riproduce mentre in una festa tra amici balla e si diverte. L'accusa non è solo sfacciatamente moralistica - perché una figura con responsabilità politiche non avrebbe il diritto di divertirsi? - ma merita di essere considerata con attenzione.
Al centro c'è innanzitutto, ancora una volta, la passione accanita dell'invidia. Tommaso d'Aquino la definiva come la tristezza causata per il bene altrui che impedisce l'affermazione della propria eccellenza. Più sinteticamente, Lacan affermava che l'invidia è sempre invidia della vita. Nello sguardo risentito dell'invidioso ciò che, infatti, risulta intollerabile, è proprio la manifestazione della gioia della vita.
Non a caso i soggetti sui quali solitamente si scarica la pioggia acida dell'invidia sono soggetti che sanno, in modo differenti, incarnare la potenza di quella gioia. È una lezione della psicoanalisi: non si invidia mai l'estraneo, ma si invidia sempre la vita che si vorrebbe essere e non si riesce ad essere. L'invidiato è, cioè, sempre l'ideale inconscio dell'invidioso.
Lo stile consuetudinariamente anemico della politica viene giustamente sconvolto dalla forza vitale delle immagini che ci restituiscono una giovane donna - con grandi responsabilità politiche nazionali e internazionali - che sa vivere una festa. La divisa d'ordinanza del politico borghese non rivela affatto - come in altri noti casi nostrani è purtroppo avvenuto - l'immoralità e l'irresponsabilità di comportamenti segreti che possono avere ricadute pubbliche gravi. Sanna Marin non propone agli amici coi quali si diverte di diventare rappresentanti della cosa pubblica, non li nomina sottosegretari, non li porta al governo o in Parlamento. Nessuno dei suoi comportamenti di giovane donna libera può renderla ricattabile.
L'odio invidioso per la giovinezza è un tratto che ricorre in ogni atteggiamento moralistico o paternalistico. Allo stesso modo quello che si accanisce verso le donne. In particolare verso quelle che si impegnano in politica magari ottenendo risultati significativi e che possono pure giustamente vantarsi di avere una bella immagine. Ricordo come l'allora presidente della camera Boldrini o l'allora ministra Boschi - per fare solo due esempi tra i tanti possibili - furono prese di mira da commenti squallidamente maschilisti da parte dei loro avversari politici.
La femminilità e la giovinezza hanno infatti qualcosa in comune che l'ideologia patriarcale e maschilista non può tollerare. Sono entrambe espressioni della vitalità della vita, della vita che è più viva, della vita che sa essere viva. Gettare fango su questa forza significa volerla sottomettere. È un tipico modus operandi del moralismo di ogni genere: macchiare la bella immagine mostrandola corrotta e pervertita. Si sarà drogata? Avrà fatto sesso? Avrà abusato dell'alcool? Si sarà dimenticata delle sue enormi responsabilità?
Una premier giovane, bella e intelligente è un insieme di qualità insopportabile per l'ideologo machista che vive nell'invidia di voler essere al suo posto. Nell'ideologia patriarcale e nel suo moralismo di fondo c'è, infatti, qualcosa di insopportabile nell'immagine stessa della festa perché ogni festa infrange un ordine, rompe degli schemi, esalta la potenza gioiosa del gioco. È quello che sanno bene i bambini, i quali possono trasformare ogni cosa in una festa ed è proprio per questa ragione che a loro e non ad altri viene promesso il Regno: essi sanno fare della vita una festa infinita.
Ebbene, questa donna che ha preso decisioni difficili in un tempo di grande crisi (pandemia, guerra in Ucraina), che ha portato il suo Paese verso la Nato, che ha rivendicato l'autonomia del suo popolo di fronte alla prepotenza bellica della Russia, sa anche godere della vita, sa vivere una festa. È forse questo il peccato che deve espiare?
Ma cosa sarebbe la politica stessa senza che vi fosse il sentimento profondo della festa? Non è forse quello che ci vorrebbe veramente? Non l'invidia accecata per ottenere una poltrona, ma la riforma innanzitutto dei cuori. Non si tratterebbe di rialzare il grigiore stantio della piccola politica alla dignità della festa e del suo coraggio? Sapere prendere decisioni che sanno rompere le dighe, introdurre il vento della giovinezza, cambiare gli orizzonti ai quali eravamo abituati. Non dovrebbe essere al cuore della politica un'idea di festa intesa in questo modo?
Lo sappiamo per esperienza, difficilmente chi non sa fare festa sa vivere la vita. Piuttosto la può solo osservare da distanza sempre pronto al giudizio severo. Per questo Dante, nel girone popolato dagli invidiosi li rappresenta con gli occhi cuciti da fili di ferro.
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