lunedì 15 agosto 2022

Sul presidenzialismo

 

 

Giovanni Carpinelli, facebook, 27 settembre 2021

Il nodo irrisolto dell’autorità responsabile esiste da lungo tempo nell’ordinamento costituzionale italiano. In pratica dall’origine. Finché ha governato la Democrazia cristiana non si è arrivati a una designazione individuale, al vertice dello Stato si è venuto a trovare un gruppo ristretto e omogeneo di decisori che hanno garantito una certa continuità nell’azione, al di là dei cambiamenti minuti nella composizione dei governi. Al tempo stesso il sistema ha assunto un andamento consociativo soprattutto all’interno delle commissioni parlamentari. Nelle decisioni veniva coinvolto un ampio arco di partiti, quello che poi si chiamerà l’arco costituzionale. In questo quadro i comunisti hanno governato, sia pure in posizione subalterna. Il Pd fino ad oggi, e con le sole, parziali, eccezioni di Veltroni e di Renzi, ha mantenuto questo ruolo. Con Berlusconi si è giunti a un bipolarismo conflittuale. Nessuno dei contendenti è riuscito a collocarsi in una posizione egemonica come quella prima detenuta dalla Democrazia cristiana. Per superare determinati ostacoli sono stati varati con successo una serie di governi tecnici, Ciampi, Monti e ora Draghi. Al tempo stesso e già con Scalfaro si è venuto rafforzando il ruolo svolto dal Presidente della Repubblica. Ne è venuta fuori una sorta di presidenzialismo strisciante, o surrettizio come voi dite (e Cacciari con voi). A questo si contrappone la centralità attribuita al Parlamento dalla Costituzione medesima. Notate che un governo assembleare non è mai esistito e non è neppure pensabile. Si arriva sempre alla concentrazione del potere in qualche organismo ristretto. Nel parlamento attuale non esiste nulla di simile. Da qui la dittatura commissaria che con l'emergenza si impone nella forma del presidenzialismo surrettizio. Il fenomeno tende a ripetersi, ha qualcosa di fisiologico, è funzionale alla tenuta del sistema. Parallelamente la popolarità dei partiti è al suo minimo storico. Per un certo tempo anche la magistratura ha svolto un ruolo di supplenza. Al momento è chiaro che per questa via non si esce dalla crisi. Non c’è d’altra parte un partito che sia in grado di svolgere un ruolo egemonico, come fece a suo tempo la Destra storica. Draghi in una certa misura ha risolto a suo modo il problema. Sta svolgendo, di fatto, un ruolo egemonico. Ha un’ampia base di consenso. La sua è una legittimazione di tipo carismatico. Lascia aperto l’interrogativo sulla successione, sul dopo. La soluzione più equilibrata sta nel dare una veste costituzionale all’esercizio del potere carismatico. Il presidenzialismo dovrebbe servire a questo. Non bisogna avere il culto dei nomi che si danno alle cose. Il premier inglese esercita le funzioni di un presidente che governa, senza essere formalmente il capo dello Stato. In che modo si potrà passare, eventualmente, a un presidenzialismo sostanziale in Italia? Non è detto che Draghi debba per questo essere eletto Capo dello Stato. In tal modo, tra l’altro, perderebbe potere, se non ci fosse al tempo stesso una riforma della Costituzione. Si possono immaginare delle leggi ordinarie che attribuiscano nuovi e accresciuti poteri al presidente del Consiglio. Quanto ai contrappesi, il Presidente della Repubblica potrebbe mantenere il potere di sciogliere le Camere e acquisire inoltre quello di rappresentare a pieno titolo il Paese nel campo della politica estera. Ma qui si possono moltiplicare le ipotesi senza che si riesca a formulare una previsione plausibile. 

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Sabino Cassese intervistato da Carlo Bertini, La Stampa, 13 agosto 2022

«Non bisogna demonizzare il presidenzialismo, ma non si può neppure ignorare che il suo inserimento in un sistema costituzionale come quello italiano, richiede di non limitarsi a modificare i soli articoli della Costituzione relativi al presidente della Repubblica. Inoltre, più che ai progetti di riforma costituzionale, bisognerebbe prestare attenzione al personale politico e agli staff. Sono spesso i numeri due e in numeri tre che fanno la differenza, la loro cultura e la loro esperienza concreta».
Il fatto che la riforma indichi il presidente eletto come garante della Costituzione è una contraddizione? Come fa chi presiede il consiglio dei ministri, su mandato di una maggioranza, ad essere superpartes?
«Questa è una contraddizione nella quale si trova anche il semipresidenzialismo francese: se ne è avuta dimostrazione dopo la seconda elezione di Macron, durante la campagna elettorale per l'elezione dei membri dell'Assemblea nazionale».
Come mai questa riforma non ha mai visto la luce, anche se dal 1995 viene riproposta dalle forze di centrodestra che hanno governato in varie fasi? Forse perché il Paese non accetta il rischio di un ritorno all'autoritarismo?
«I due fatti nuovi dell'ultimo ventennio sono l'introduzione di un sistema presidenziale a livello regionale e locale, che ha prodotto una asimmetria di poteri, in particolare tra regioni e governo centrale. In secondo luogo, il crescente ruolo del Consiglio europeo, nel quale i presidenti del Consiglio italiani, sempre transeunti, finiscono per perdere peso. Non c'è dubbio, però, che il "timore del tiranno", cioè la paura che un presidente eletto possa sommare troppi poteri ed esercitarli in senso non liberale (alla Orban, per intenderci), limitando libertà di espressione e diritti fondamentali, sia ancora vivo, e prevalga sul bisogno di un "governo che governi". Nel valutare le istituzioni, bisogna tener conto della cultura amministrativa diffusa, della capacità di lavorare con gli altri, della padronanza delle nuove tecnologie, della scolarizzazione della società, del personale politico e di quello amministrativo».
A proposito, le sono parse commisurate le parole di abiura del ventennio fascista da parte della Meloni?
«Le risponde una persona che ha cominciato a studiare il fascismo nel 1953, otto anni dopo la morte di Mussolini e che ha scritto sei anni fa un libro intitolato "Lo stato fascista", oltre a molte altre analisi dei danni fatti all'Italia dalla dittatura. Ma anche delle importanti novità che vennero introdotte, specialmente subito dopo la grande crisi economica del 1929–1933 da persone come Beneduce, Menichella e Bottai, per fare soltanto tre nomi».
E dunque?
«Non dò tanto importanza alle distanze prese da Fratelli d'Italia rispetto al fascismo, quanto a quello che proporrà e poi realizzerà sui temi importanti del nostro Paese, e il nostro futuro, a partire dal tasso di scolarizzazione della nostra società (siamo tra gli ultimi in Europa, con le conseguenze che può immaginare per i nostri giovani) e dalla produttività totale dei fattori, l'indicatore del grado di efficienza complessiva dell'economia, diminuita negli ultimi tempi di più del 6 per cento». 

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