Vilfredo Pareto, Introduzione alla scienza sociale, capitolo II del Manuel d'économie politique, Marcel Giard Libraire-Éditeur, Paris 1927.
Gli autori non cercano quasi mai quale è la verità, ma cercano argomenti per difendere ciò che già credono essere la verità, e che è per loro articolo di fede. Ricerche di quel genere sono sempre, almeno in parte, sterili. E non solo gli autori seguono quella via perché involontariamente soggiacciono alle passioni; ma la percorrono per deliberato volere: né si ritengono dal biasimare acerbamente chi si rifiuta di ciò fare. Quante sciocche ed insulse accuse furono mai fatte al Machiavelli! Tale difficoltà esiste pure per l'economia politica; e similmente le difficoltà che ora noteremo sono comuni all'economia politica ed alla sociologia. La maggior parte degli economisti studiano ed espongono la materia loro avendo in mente di giungere a una determinata mèta.
Tommaso Detti, L'oggettività della storia: istruzioni per l'uso, RSI, 22 novembre 2012
Secondo un senso comune molto diffuso la storia dovrebbe essere
obiettiva. Lo storico non farebbe altro che descrivere i fatti del
passato e sarebbe la loro oggettività a rendere veritiere le sue
ricostruzioni. Non è così. Se lo fosse, i nostri libri non sarebbero che
racconti di eventi in successione, di cui i lettori potrebbero soltanto
prendere atto. Agli studenti, poi, non resterebbe che imparare a
memoria lunghe e noiose serie di date, nomi e luoghi.
A chi
può interessare sapere che nel 1789 scoppiò in Francia una rivoluzione,
se non aggiungiamo che quell'evento fu importante perché abbatté
l'assolutismo, proclamò i diritti dell'uomo e del cittadino ed è una
delle basi della democrazia moderna? Queste però non sono affermazioni
oggettive: sono opinioni. Non a caso il dibattito sulle interpretazioni
della rivoluzione francese non si è mai sopito e ha prodotto interi
scaffali di libri.
Ma la soggettività della storia è un limite
di questa forma di conoscenza? Niente affatto. Lo storico inglese
Edward H. Carr è stato molto efficace nel confutare la contrapposizione
tra «il duro nocciolo costituito dai fatti» e la «polpa circostante
costituita dalle interpretazioni, soggette a discussione»: la parte
nutriente del frutto – ha obiettato – non è il nocciolo, è la polpa.
Vero è che nell'Ottocento anche gli studiosi pensavano che la storia
dovesse essere oggettiva. Leopold von Ranke disse che il passato andava
ricostruito «wie es eigentlich gewesen», come era effettivamente stato.
Certo, il passato non deve essere distorto e in questo senso Ranke aveva
ragione. Per il resto, però, non esistono storie oggettive. Quelle che
pretendono di esserlo in genere sono storie ufficiali prodotte da regimi
autoritari. Se qualcuno sostiene di aver detto l'ultima parola su un
problema del passato, dunque, la cosa più saggia che possiamo fare è
diffidarne.
Un altro grande storico, il francese Marc Bloch,
ha scritto che il passato per definizione non è modificabile. A cambiare
sono le domande che poniamo al passato per capire quando, come e perché
si è formato il mondo in cui viviamo. E cambiano perché è il mondo che
cambia. Le nostre risposte a tali domande sono diverse? Non c'è nulla di
male, anzi: le verità rivelate sono un fatto di fede, ma la storia è
altra cosa. Le interpretazioni degli storici, dunque, debbono essere
passate al vaglio della critica. E ciò, naturalmente, vale anche per
quanto vi ho detto oggi.
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Nella composizione di un'opera storiografica contano molto le opinioni, oltre all'accertamento dei fatti. Ma si può dire che una opinione vale l'altra? E che non ci sia modo di stabilire se una opinione sia preferibile all'altra? Ecco un abbozzo di risposta:
"Nella buona storia i criteri sono da un lato quelli noti di rigore
filologico, archeologico, di reperimento delle fonti, ecc. che
definiscono l’insieme delle variabili da interpretare e che
dev’essere quanto più possibile ampio, variegato e suffragato. Ma a
ciò deve seguire una capacità di ricomposizione radicata in una
conoscenza della natura umana, che integri quelle
informazioni nel quadro più comprensivo e illuminante possibile,
laddove per illuminante si intende “capace di dar ragione degli atti e
degli effetti”. Qui i criteri del meglio e del
peggio sono ben presenti, e questi sono ciò che definisce il senso e la qualità della verità storica". (Andrea Zhok)
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