Aldo Grasso, La guerra seza retorica (e fake news) dei giovani inviati, Corriere della Sera, 24 aprile 2022
Insolitamente elegante, in giacca e cravatta, Diego Bianchi (Zoro) ha condotto da casa la puntata di «Propaganda Live» (La7): «Io non so proprio come andare avanti, è tutto triste e al tempo stesso divertente a modo suo, vorrei dirvi che tra poco vengo là ed è tutta una gag che ci siamo inventati e invece no, sono più o meno al nono, decimo giorno di positività…». Questa conduzione anomala è servita per qualche riflessione.
Da sola, in studio, Francesca Mannocchi ha proposto le sue storie sulla guerra in Ucraina. Sono testimonianze dei pochi cittadini che non hanno abbandonato le proprie case, racconti essenziali, basati sulla sobrietà, sulle cose che contano davvero nei momenti più drammatici. Mannocchi non disegna scenari di guerra, ma raccoglie le parole degli «umili» manzoniani, di gente che cerca di sfuggire alla crudeltà degli invasori. È un modo nuovo e fedele di raccontare la guerra, uno stile forse mutuato dai social media (le Instagram Stories), segnato da un rapporto empatico, personale con l’intervistato.
Mentre riflettevo su queste interviste, avevo sottomano un report internazionale, pubblicato dall’Institute for Strategic Dialogue, che analizza i post pubblicati da Facebook sul massacro di Bucha. Ebbene, i più condivisi sono quelli che mettono in dubbio l’eccidio, non per spirito critico ma per fiducia in alcune fake news già ampiamente smentite. L’aspetto triste è che in Italia, a guidare questa creduloneria, è il profilo social di Toni Capuozzo.
Così mi è venuto da fare un confronto (se è improprio chiedo scusa) fra questi inviati più giovani che vanno sul posto e cercano di raccontare senza retorica, senza eroismi quello che vedono e i vecchi inviati di guerra che frequentano i salotti televisivi e impartiscono lezioni a destra e a manca, come se, senza di loro, la guerra non fosse più guerra. Ah, signora mia…
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