sabato 2 ottobre 2021

Il premierato assoluto

Marco Revelli, Il partito unico dei padroni e il premierato assoluto di Mario Draghi Volere la luna, 30 settembre 1921 "Se ci fosse il partito di Draghi, questo sarebbe il suo congresso fondativo e questi 1200 industriali in grisaglia, che si spellano le mani a ogni suo passaggio, i suoi delegati. Il partito del Pil". Non è un grido d’allarme. Al contrario la frase è stata scritta con soddisfatto compiacimento in apertura dell’ articolo di commento all’Assemblea di Confindustria sul portale del quotidiano italiano che più si è distinto nell’apologetica draghiana. E purtroppo corrisponde a verità. In effetti il 23 settembre, al Palazzetto dello sport di Roma, è nato il “partito unico dei padroni” intorno al suo leader massimo e indiscutibile, l’ex banchiere di Stato Mario Draghi. E nello stesso momento, con la proclamazione del medesimo a suo capo carismatico e titolare naturale di un Esecutivo sintetizzato nella sua persona, è stata annunciata la nuova forma di governo definibile come “Premierato Assoluto” (nulla di più lontano dal dettato costituzionale). L’evento è stato accolto dal coro bulgaro dei media (tutti quelli mainstream, TG di stato in testa, a far gara nell’abbinare le Ola dei confindustriali con gli abbracci degli atleti con tanto di dono della bicicletta, come dire denaro e muscoli uniti nell’applauso) ormai senza pudore nell’ostentare un culto della personalità degno di altri tempi. E accanto a loro la politica, anche qui senza quasi eccezioni, a invocare lunga vita al premierato dorato, se fosse possibile vita eterna, come nelle monarchie d’altri tempi… Se valessero ancora le “regole auree” fissate dalla politologia novecentesca – mica quella marxista o socialdemocratica, ma la politologia liberaldemocratica, di orientamento comportamentista, egemone nell’area anglosassone – si dovrebbe dire che siamo fuori dal quadro democratico. In quel paradigma, infatti, la cifra di una democrazia sana, o comunque accettabile, stava nella netta separazione (in una effettiva “divisione del lavoro”, si diceva) tra i sottosistemi fondamentali: quello Politico, quello Economico e quello Culturale (ovvero Parlamento e Governo, Imprese e Banche, Informazione e Media). Quando uno di questi travalica la propria sfera e prende il controllo degli altri, si esce dai limiti dalla forma democratica: se la Politica pretende di annettersi Economia e Cultura si ha il “totalitarismo”, se l’Economia si compra Politica e Media si ha una abnorme variante di quello che Max Weber chiamò “patrimonialismo”, se la Cultura domina sugli altri due si ha una “teocrazia”. Il 23 settembre abbiamo avuto l’immagine plastica di questo cortocircuito malsano, che stava nell’aria, si percepiva da tempo, ma che mai era stato così materialmente visibile ed evidente. Draghi Non stupiscono in questo i 1200 imprenditori che facevano la Ola nel parterre del Palazzetto dello Sport (anche il genius loci qui conta): erano lì a incassare le cedole del loro investimento, fatto già nel 2018, immediatamente dopo i risultati delle elezioni politiche in teoria più destabilizzanti del secolo (nuovo), quando appunto la bandiera di Mario Draghi fu alzata contro l’esito delle urne, e continuò a essere agitata ad ogni tornante di questa tormentata legislatura, fino alla liquidazione dell’ultimo governo Conte. Il rito ricordava i Te Deum cantati nelle cattedrali di mezza Europa dopo il congresso di Vienna, con i vecchi sovrani e le loro aristocrazie di corte a celebrare l’avvenuta Restaurazione. E nemmeno coglie di sorpresa più di tanto(avremmo dovuto esserci preparati) il ruere in servitium quasi unanime del coro mediatico: si tratta appunto di organi di stampa quasi tutti proprietà di gruppi industriali e finanziari che Draghi l’hanno da sempre considerato “uno dei loro”, se non altro per il suo essersi distinto in quelle “privatizzazioni senza liberalizzazioni” (così le definisce, con felice espressione, Giulio Sapelli sulle neonate pagine cartacee di “Tpi”) che costituiscono il suo capolavoro da grande Commis d’Etat. Forse colpisce un po’ di più la velocità con cui i partiti, nella stragrande maggioranza, si sono affrettati a consumare la propria (terminale) cessione di sovranità, e a certificare così la propria crisi strutturale. Esempio di scuola di autolesionismo delle élites nella fase del loro strutturale declino. Perché è fin troppo evidente – anche un bambino lo capirebbe – che all’ombra di questo Premierato Assoluto, con un Capo onnidecidente e il resto che, come l’intendenza napoleonica, deve seguire, tutto ciò che sta al piano terra della cuspide del potere, in primo luogo il “sistema dei partiti” che la tradizione politologica vorrebbe essenziale cerniera e canale di comunicazione tra Società e Istituzioni, avvizzisce e marcisce. Bonomi applaude DraghiIl fenomeno è evidente nelle traversie dei 5 Stelle, movimento sempre più evidentemente privo di radicamento territoriale. O nelle recenti convulsioni della Lega, dilaniata dalla sua Bestia. Ma se ne può cogliere un segno, di questo avvizzimento, anche nella prima esternazione del Segretario del PD dopo l’assemblea confindustriale romana, quando ha detto che il suo vuol essere “il partito degli industriali e dei lavoratori” (proprio così, letteralmente: “dell’Impresa e del Lavoro”). Ora Enrico Letta è uomo troppo erudito in fatto di culture politiche per non aver letto Alfredo Rocco o Ugo Spirito e ignorare che quella è la base del corporativismo d’infausta memoria. Quella voce “dal sen fuggita” deve essere frutto di un appannamento collettivo grave, che tuttavia getta una luce inquietante sull’altro nodo gordiano emerso da quell’Assemblea. La questione del “Patto Sociale”. Rimasto evidentemente l’ultimo strumento nella mani dell’establishment per immaginare un qualche rapporto tra le Istituzioni e il Sociale, dopo l’evaporazione del canale partitico. E infatti è stato il secondo coniglio tirato fuori dal cilindro da Draghi, sia per tracciare un percorso oltre l’emergenza sanitaria, sia anche, forse, par attenuare l’immagine di un suo eccessivo schiacciamento sulla parte confindustriale; sia infine per esorcizzare un conflitto che cova tra le pieghe di un mondo del lavoro angariato e sfidato da chiusure, tagli all’occupazione, vessazioni diffuse. Ma sarà davvero questo? Un patto tra pari per regolare le relazioni Capitale/Lavoro nel nuovo contesto? Credo che sia lecito dubitarne fortemente, data l’asimmetria drammatica tra le due parti (soprattutto se una può contare sull’appoggio o l’identificazione col Governo). E d’altra parte il clima che si respira “in alto”, dove persino la formula moderata del “salario minimo” evoca reazioni isteriche, non invoglia all’ottimismo (Draghi infatti si è affrettato a derubricarlo). Più probabilmente quello a cui si mira è un “patto leonino” in cui un movimento sindacale timido verrebbe chiamato a far da palo a una “politica dei redditi” punitiva per il lavoro. Ma la partita è aperta. E bisognerà giocarsela, soprattutto “in basso”. Una versione leggermente più breve dell’articolo è stata pubblicata sul Manifesto del 29 settembre col titolo Ecco s’avanza il partito unico dei padroni Marco Revelli E' titolare delle cattedre di Scienza della politica, presso il Dipartimento di studi giuridici, politici, economici e sociali dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro", si è occupato tra l'altro dell'analisi dei processi produttivi (fordismo, post-fordismo, globalizzazione), della "cultura di destra" e, più in genere, delle forme politiche del Novecento e dell'"Oltre-novecento". La sua opera più recente: "Populismo 2.0". È coautore con Scipione Guarracino e Peppino Ortoleva di uno dei più diffusi manuali scolastici di storia moderna e contemporanea (Bruno Mondadori, 1ª ed. 1993). Vedi tutti i post di Marco Revelli 3 Comments on “Il partito unico dei padroni e il premierato assoluto di Mario Draghi” Roberto ha detto: 30/09/2021 alle 4:10 pm Non è solo corporativismo. Prima è la dottrina sociale della chiesa Rispondi benvenuti sul titanic ha detto: 01/10/2021 alle 8:39 am un ex banchiere, neoliberista, al comando, ovviamente senza passare da elezioni politiche, e – udite udite – pure con il plauso e il sostegno delle sinistre. misure contro i lavoratori pesantemente provati dalla pandemia: se non ti vaccini non puo lavorare. unico stato al mondo! il secolo scorso in questo paese era il datore di lavoro a dover per legge garantire a sue spese (!) la salute sul posto di lavoro. adesso fanno pagare pure i tamponi (obbligatori per lavorare) e le mascherine (anch esse obbligatorie per lavorare). e con legge hanno sollevato il datore da qualsiasi responsabilita in caso di contagio covid. é la trama di un film fantascienza che ha vinto qualche oscar? no, no é la realta. un costo del denaro sottozero (pure in termini reali), grazie alle politiche della BCE (ma tu guarda le coincidenze). toglieranno il reddito di cittadinanza, aumentera la forza lavoro da paesi poveri per dare una bella abbassata al valore del lavoro (come se ce ne fosse bisogno). l evasione fiscale galoppa. elezioni politiche? figurarsi. quando le faranno ci sarà un esplosione delle destre, le uniche che promettono di stare dalla parte di chi è piu debole. del resto hanno gioco facile: le sinistre non esistono, appoggiano e sono indistinguibiil dai neoliberisti. ai disperati e alle persone in difficolta non rimane altra scelta. i giovani senza santi in paradiso scappano all estero (e fanno bene). Rispondi Antonino C. Bonan ha detto: 01/10/2021 alle 10:35 am Facciamo un po’ di fanta(???)politica. Al Quirinale Draghi e al Governo Giorgetti, o in alternativa figure meno decidenti al posto loro (e loro stessi a fare da Richelieu). Mario Mori senatore a vita: con le mafie si tratta, per condividere il governo effettivo del vero potere. Maggioranze liquide, in un Parlamento ancora più denso e viscoso, che le tiene a galla. Periodiche emersioni della realtà nelle maglie dei media, giusto per eliminare la “vecchia politica” (i militanti, i partiti e altri corpi intermedi). Costanti derive, che perfino vanno oltre la consunta deriva al centro o a destra. Derive in basso, direi. Dal bar dello sport con gli amici pensionati o dalla macchinetta del caffè coi colleghi… allo schermo del proprio smartphone: un tempo si diceva “l’han detto in tv”, ora si dirà “me l’ha certificato l’app”. In tutto ciò, è riduttivo cercare nei protagonisti della politica italiana di oggi le reminiscenze della peggior politica novecentesca. Si tratta solo di barlumi. La luce promana dal futuro, più di quanto non promani dal passato cui asseritamente o inconsciamente si ancorano costoro. Per riconoscere quel futuro, non serve fare i complottisti. Basta non chiudere gli occhi e fare non solo uno più uno, ma tutta l’algebra che si può e si sa fare. Ad esempio, quando Draghi dice cose “di sinistra” e a sinistra paiono tirare sospiri di sollievo (perchè altrimenti Salvini e Meloni ecc. ecc.), costa così tanto dirne a gran voce l’inconsistenza intellettuale (sono solo slogan!) prima ancora della contradditorietà rispetto alla concreta azione di governo? Finchè non lo si facesse a sufficienza, ci sarebbe sempre qualcuno pronto a dire “sì, però se non c’era Draghi ti sognavi quell’innovazione”… che magari in singoli contesti sociali ha pure portato una ventata di giustizia! E allora cosa si risponderebbe?

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