Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
PARAFRASI
Sempre caro fu a me questo colle solitario
e anche questa siepe, che sottrae alla mia vista
una parte tanto ampia dell'orizzonte più lontano.
Ma rimanendo seduto e osservando il quadro con cura,
io mi figuro mentalmente spazi sterminati oltre la siepe,
e silenzi umanamente inimmaginabili
e profondissima quiete, tanto che per poco
il mio animo non si spaventa. E non appena odo
il vento stormire tra le piante, paragono
quell'infinito silenzio a questo rumore:
e mi viene in mente l'idea dell'eternità,
i tempi già trascorsi e dimenticati, e quello attuale e
ancor vivo, con la sua voce. Così il mio pensiero
sprofonda in quest'immensità dello spazio e del tempo:
e sparire in questo mare mi dà un senso di dolce abbandono.
Versi scritti duecento anni fa. La situazione descritta non ha nulla di eccezionale: la coesistenza del finito e dell'infinito nella visione, e nell'ascolto, di un paesaggio. Tutta la magia poetica deriva dal ricorso al sublime nell'espressione. Si fa plausibile l'annullamento del desiderio in uno stato di abbandono a una appartenenza di ordine cosmico. La parafrasi può essere approssimativa. Dà però un'idea dei meccanismi messi in atto. Meccanismi che Leopardi stesso porta alla luce nello Zibaldone, quando scrive:
Del rimanente, alle volte l’anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario. [1820]
Circa le sensazioni che piacciono pel solo indefinito puoi vedere il mio idillio sull’Infinito e richiamar l’idea di una campagna arditamente declive in guisa che la vista in certa lontananza non arrivi alla valle; e quella di un filare d’alberi, la cui fine si perda di vista, o per la lunghezza del filare, o perch’esso pure sia posto in declivio ec. ec. ec. Una fabbrica una torre ec. veduta in modo che ella paia innalzarsi sola sopra l’orizzonte, e questo non si veda, produce un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l’indefinito ec. ec. ec. [1821]
A queste considerazioni appartiene il piacere che può dare e dà, quando non sia vinto dalla paura, il fragore del tuono, massime quand’é piú sordo, quando è udito in aperta campagna; lo stormire del vento, massime nei detti casi, quando freme confusamente in una foresta o tra i vari oggetti di una campagna, o quando è udito da lungi, o dentro una città trovandosi per le strade ec. Perocché oltre la vastità e l’incertezza e confusione del suono non si vede l’oggetto che lo produce, giacché il tuono e il vento non si vedono. È piacevole un luogo echeggiante, un appartamento ec. che ripeta il calpestio de’ piedi o la voce ec. Perocché l’eco non si vede ec. E tanto piú quanto il luogo e l’eco è piú vasto, quanto piú l’eco vien da lontano, quanto piú si diffonde; e molto piú ancora se vi si aggiunge l’oscurità del luogo che non lasci determinare la vastità del suono né i punti da cui esso parte ec. ec. E tutte queste immagini in poesia ec. sono sempre bellissime, e tanto piú quanto piú negligentemente son messe e toccando il soggetto, senza mostrar l’intenzione per cui ciò si fa, anzi mostrando d’ignorare l’effetto e le immagini che son per produrre e di non toccarli se non per ispontanea e necessaria congiuntura e indole dell’argomento ec. [1821]
La consapevolezza poetica ha anticipato quella teorica. Di che si tratta alla fine? Il poeta arriva a fissare un momento di ebbrezza cosmica partendo dall'idea di un orizzonte nascosto al suo sguardo. La poesia resta, l'incanto si rinnova a ogni lettura. Frase per frase, parola per parola. Deus sive natura: per l'effetto di una splendida illusione l'uomo, che contempla il tutto, nel tutto si perde, o si riconosce.
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