Concita De Gregorio, Le province rosse che hanno punito la nomenklatura, La Stampa, 28 settembre 2022
Il figlio del portuale, il nipote del
fattore hanno votato "Giorgia", la chiamano per nome. Il padre, il nonno
si sono spaccati la schiena tutta la vita, entrambi in cooperative di
lavoratori, in mare e nei campi. Il primo a Livorno, dove il Pci è nato.
Il secondo fra Modena e Reggio nell'Emilia, in un borgo dove il 25
aprile è per tradizione una festa più grande e più bella di quella del
Patrono. Famiglie comuniste senza bisogno di chiedere perché: è chiaro,
perché. È nelle cose, nelle mani, è così. Il nipote del fattore ha 26
anni e si è laureato, è andato a vivere in città, in campagna non ci
vuole tornare. Lavoretti saltuari, una stanza in una casa condivisa.
«Non ci voglio litigare, con mio nonno, perciò non mi metta in
difficoltà. Io lo capisco, lo rispetto. Però non sono sicuro che lui
capisca me, d'altra parte non lo pretendo. Ho votato Pd da quando voto.
Ma
sempre meno volentieri, l'ultima volta per esempio alle regionali non
ci sono andato. Ho pensato: protesto così. Ma non basta. Non andare a
votare non basta. Non capiscono. Allora ora vediamo se capiscono. Magari
adesso capiscono».
La dorsale
appenninica, la famosa linea Maginot da cui la destra non passa, non può
passare, ha ceduto. Toscana e Emilia sono diventate la Caporetto del Pd
in una sconfitta dalle proporzioni inemendabili, umilianti, e c'è anche
questo da dire: è stata una punizione.
Non
solo, non sempre ma anche: il voltafaccia delle provincie rosse ha il
sapore di un castigo, come quando i genitori dicono ai figli questa
volta ti tolgo la playstation, la seconda stai senza telefono, la terza
ti mando in collegio. Ecco, questo: te ne vai da casa, e vediamo.
Se
ne sono andati da casa, i figli e i nipoti dei Padri Fondatori.
Livorno, la città del comunismo anarchico, fatto di menefreghismo e
solidarietà, di fratellanza e di vento. Pisa, nelle cui università si è
formata la classe dirigente del Pci del Novecento, Mussi e D'Alema che
giocavano a biliardino, la scuola di Storia Moderna di Furio Diaz.
Grosseto, la Maremma. Prato, l'industria. Massa, Arezzo Lucca. Centomila
voti persi a Rimini e Piacenza. Una disfatta a Modena, Ravenna, Rimini,
Forlì. Non è più nemmeno una questione di mappe e di numeri, è un
crollo simbolico che non si spiega fino in fondo se non si attinge al
lessico familiare, appunto: lì dove il Partito era famiglia. Delusione
amarissima e rimprovero estremo, offesa della fiducia incondizionata,
incredulità, esasperazione, reazione. Non capivano, ora vediamo se
capiscono.
Ma cosa. Cosa non hanno
capito? Beh, che non sarebbe stato per sempre. Che il consenso si
coltiva e si guadagna, non è una dote: non è vero, non è più vero che i
"tuoi" elettori sono disposti a votare anche una mucca, se metti in
lista una mucca. Con tutto il rispetto per animali e umani: è per non
fare esempi che potrebbero offendere qualcuno e risparmiare
ingiustamente qualcun altro. Che togliere dalle liste le persone
popolari e amate dai concittadini per mandare da fuori un "candidato
blindato" che deve essere eletto – per ragioni di potere, di corrente:
anche basta, davvero, come dicono i ragazzi. Anche no. Perché così tutte
le Giuditta Pini (ecco, ho fatto un esempio) sacrificate in base a un
incomprensibile manuale Cencelli restituiscono l'idea che lavorare sul
campo non serve, la passione non serve, i risultati sono inutili.
L'unica cosa che conta è assicurare un posto a gente che "deve" essere
eletta. E deve perché? In nome di cosa? Rinnegare l'identità in favore
del compromesso, pur di restare al potere e salvare qualche seggio, ti
può riservare la sorpresa amara di farti perdere l'uno e l'altro:
l'identità, il potere. La scelta difatti questa volta non era fra
perdere bene o vincere male. Era come perdere. Se farlo riconquistando
la tua natura, le ragioni dell'appartenenza a una comunità, o perdendone
ancora con opache manovre a beneficio di uno zero virgola in più, che
poi non è venuto. Non poteva venire, sempre con rispetto parlando, da Di
Maio – in Emilia. Bibbiano sulla carta geografica resta dov'era, nella
memoria pure. Lo spiega molto bene Achille Occhetto, che molti errori
avrà fatto nella vita ma è in quella stagione in cui non c'è più niente
da perdere a dire quello che pensi, le cose come ti sembra che stiano.
Ha detto, in un'intervista a PolicyMaker che trovate online: la colpa
del Pd è stata il governismo, il potere ad ogni costo. Riporto. «La
sinistra deve capire che è meglio perdere con le proprie idee che
governare con quelle degli altri. Ha dato l'idea di essere disposta a
governare anche annacquandole o offuscandole. Che è cosa diversa dal
fatto che in politica si fanno anche compromessi. I compromessi nobili
sono quelli che uno fa se tiene ferma la propria identità, non se la
perde». Due cose, mi appunterei, se mi chiamassi Franceschini o Orlando,
o Guerini o financo il prossimo pretendente alla segreteria, Bonaccini.
Che certamente, se desiderano, possono deridere Occhetto per la sua
vecchiaia triste solitaria y final, ma insomma ascoltare non fa mai
male. Primo. Perdere con le proprie idee è meglio che governare con
quelle degli altri. È seminare un orto, ché questo ora c'è da fare: non
conservare le piante avvizzite o mezzo morte, ma farne crescere di
nuove. C'è tempo, usarlo bene. Secondo: i compromessi si fanno, in
politica, ma a vincere. A conservare la propria identità. Altrimenti
sono cambiali da pagare, e si pagano.
Ora
che già si parla, da ieri, del prossimo congresso – per esempio.
Sarebbe molto bello che chi ha fatto quattro, sei o sedicimila
legislature si accontentasse, per così dire, di dare consigli ai
prossimi. Non pretendesse di collocare la famiglia e restare intanto al
suo eterno posto, o gli assistenti parlamentari e gli allievi meritevoli
usati come stagisti a tempo pieno, dunque da ricompensare. Non è così,
non è più così che funziona. I figli e i nipoti dell'Emilia e della
Toscana rosse lo hanno detto. Una, due, tre volte. Bisogna cambiare il
modo in cui funziona il partito, non è sufficiente cambiare segretario.
Non penserete mica, al prossimo congresso, di mettervi tutti in fila,
nascosti dietro a una Elly Schlein o al "volto nuovo" del momento, per
restare in sella. Come avete fatto in passato, con altri e altre giovani
promesse ormai invecchiate, inglobate in questa o quella corrente pur
di restare nella scia dei loro consensi così da far perdere anche a loro
la credibilità, la freschezza, l'autenticità. Ve lo avevano detto. Si
erano astenuti, alle regionali: non erano venuti. Non è stato chiaro.
Hanno votato Meloni, allora. Se non basta, restano solo i disegni. Il
dileggio, le scritte sui muri. Livorno, per le scritte sui muri, è
famosa. —
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