giovedì 29 settembre 2022

Le ragioni della sconfitta


 
 
Concita De Gregorio, Le province rosse che hanno punito la nomenklatura, La Stampa, 28 settembre 2022
 
Il figlio del portuale, il nipote del fattore hanno votato "Giorgia", la chiamano per nome. Il padre, il nonno si sono spaccati la schiena tutta la vita, entrambi in cooperative di lavoratori, in mare e nei campi. Il primo a Livorno, dove il Pci è nato. Il secondo fra Modena e Reggio nell'Emilia, in un borgo dove il 25 aprile è per tradizione una festa più grande e più bella di quella del Patrono. Famiglie comuniste senza bisogno di chiedere perché: è chiaro, perché. È nelle cose, nelle mani, è così. Il nipote del fattore ha 26 anni e si è laureato, è andato a vivere in città, in campagna non ci vuole tornare. Lavoretti saltuari, una stanza in una casa condivisa. «Non ci voglio litigare, con mio nonno, perciò non mi metta in difficoltà. Io lo capisco, lo rispetto. Però non sono sicuro che lui capisca me, d'altra parte non lo pretendo. Ho votato Pd da quando voto.
Ma sempre meno volentieri, l'ultima volta per esempio alle regionali non ci sono andato. Ho pensato: protesto così. Ma non basta. Non andare a votare non basta. Non capiscono. Allora ora vediamo se capiscono. Magari adesso capiscono».
La dorsale appenninica, la famosa linea Maginot da cui la destra non passa, non può passare, ha ceduto. Toscana e Emilia sono diventate la Caporetto del Pd in una sconfitta dalle proporzioni inemendabili, umilianti, e c'è anche questo da dire: è stata una punizione.
Non solo, non sempre ma anche: il voltafaccia delle provincie rosse ha il sapore di un castigo, come quando i genitori dicono ai figli questa volta ti tolgo la playstation, la seconda stai senza telefono, la terza ti mando in collegio. Ecco, questo: te ne vai da casa, e vediamo.
Se ne sono andati da casa, i figli e i nipoti dei Padri Fondatori. Livorno, la città del comunismo anarchico, fatto di menefreghismo e solidarietà, di fratellanza e di vento. Pisa, nelle cui università si è formata la classe dirigente del Pci del Novecento, Mussi e D'Alema che giocavano a biliardino, la scuola di Storia Moderna di Furio Diaz. Grosseto, la Maremma. Prato, l'industria. Massa, Arezzo Lucca. Centomila voti persi a Rimini e Piacenza. Una disfatta a Modena, Ravenna, Rimini, Forlì. Non è più nemmeno una questione di mappe e di numeri, è un crollo simbolico che non si spiega fino in fondo se non si attinge al lessico familiare, appunto: lì dove il Partito era famiglia. Delusione amarissima e rimprovero estremo, offesa della fiducia incondizionata, incredulità, esasperazione, reazione. Non capivano, ora vediamo se capiscono.
Ma cosa. Cosa non hanno capito? Beh, che non sarebbe stato per sempre. Che il consenso si coltiva e si guadagna, non è una dote: non è vero, non è più vero che i "tuoi" elettori sono disposti a votare anche una mucca, se metti in lista una mucca. Con tutto il rispetto per animali e umani: è per non fare esempi che potrebbero offendere qualcuno e risparmiare ingiustamente qualcun altro. Che togliere dalle liste le persone popolari e amate dai concittadini per mandare da fuori un "candidato blindato" che deve essere eletto – per ragioni di potere, di corrente: anche basta, davvero, come dicono i ragazzi. Anche no. Perché così tutte le Giuditta Pini (ecco, ho fatto un esempio) sacrificate in base a un incomprensibile manuale Cencelli restituiscono l'idea che lavorare sul campo non serve, la passione non serve, i risultati sono inutili. L'unica cosa che conta è assicurare un posto a gente che "deve" essere eletta. E deve perché? In nome di cosa? Rinnegare l'identità in favore del compromesso, pur di restare al potere e salvare qualche seggio, ti può riservare la sorpresa amara di farti perdere l'uno e l'altro: l'identità, il potere. La scelta difatti questa volta non era fra perdere bene o vincere male. Era come perdere. Se farlo riconquistando la tua natura, le ragioni dell'appartenenza a una comunità, o perdendone ancora con opache manovre a beneficio di uno zero virgola in più, che poi non è venuto. Non poteva venire, sempre con rispetto parlando, da Di Maio – in Emilia. Bibbiano sulla carta geografica resta dov'era, nella memoria pure. Lo spiega molto bene Achille Occhetto, che molti errori avrà fatto nella vita ma è in quella stagione in cui non c'è più niente da perdere a dire quello che pensi, le cose come ti sembra che stiano. Ha detto, in un'intervista a PolicyMaker che trovate online: la colpa del Pd è stata il governismo, il potere ad ogni costo. Riporto. «La sinistra deve capire che è meglio perdere con le proprie idee che governare con quelle degli altri. Ha dato l'idea di essere disposta a governare anche annacquandole o offuscandole. Che è cosa diversa dal fatto che in politica si fanno anche compromessi. I compromessi nobili sono quelli che uno fa se tiene ferma la propria identità, non se la perde». Due cose, mi appunterei, se mi chiamassi Franceschini o Orlando, o Guerini o financo il prossimo pretendente alla segreteria, Bonaccini. Che certamente, se desiderano, possono deridere Occhetto per la sua vecchiaia triste solitaria y final, ma insomma ascoltare non fa mai male. Primo. Perdere con le proprie idee è meglio che governare con quelle degli altri. È seminare un orto, ché questo ora c'è da fare: non conservare le piante avvizzite o mezzo morte, ma farne crescere di nuove. C'è tempo, usarlo bene. Secondo: i compromessi si fanno, in politica, ma a vincere. A conservare la propria identità. Altrimenti sono cambiali da pagare, e si pagano.
Ora che già si parla, da ieri, del prossimo congresso – per esempio. Sarebbe molto bello che chi ha fatto quattro, sei o sedicimila legislature si accontentasse, per così dire, di dare consigli ai prossimi. Non pretendesse di collocare la famiglia e restare intanto al suo eterno posto, o gli assistenti parlamentari e gli allievi meritevoli usati come stagisti a tempo pieno, dunque da ricompensare. Non è così, non è più così che funziona. I figli e i nipoti dell'Emilia e della Toscana rosse lo hanno detto. Una, due, tre volte. Bisogna cambiare il modo in cui funziona il partito, non è sufficiente cambiare segretario. Non penserete mica, al prossimo congresso, di mettervi tutti in fila, nascosti dietro a una Elly Schlein o al "volto nuovo" del momento, per restare in sella. Come avete fatto in passato, con altri e altre giovani promesse ormai invecchiate, inglobate in questa o quella corrente pur di restare nella scia dei loro consensi così da far perdere anche a loro la credibilità, la freschezza, l'autenticità. Ve lo avevano detto. Si erano astenuti, alle regionali: non erano venuti. Non è stato chiaro. Hanno votato Meloni, allora. Se non basta, restano solo i disegni. Il dileggio, le scritte sui muri. Livorno, per le scritte sui muri, è famosa. —

 

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