Manuel Vasquez Montalban
La Mosca della Rivoluzione
trad. di Hado Lyria, Feltrinelli, Milano 1995
Il palazzone grigio nelle foto (scattate da me qualche settimana fa, a parte la foto d'epoca) è uno dei luoghi "letterari" che di più amo di Mosca, reso celebre dal lungo racconto di Jurij Trifonov, Dom na naberežnoj (La casa sul lungofiume, Editori Riuniti). Mi è caro per due motivi. Il primo, ovvio, è perché ho apprezzato molto il libro, un racconto di formazione, un libro sul peso della memoria. Il protagonista è un mediocre, Glebov, un uomo cinico e opportunista nell'oscuro periodo storico della Russia che lo vede diventare adulto, l'epoca staliniana. Un incontro, all’inizio del libro, innesca un lunghissimo flashback che rivela al lettore gli altri personaggi e tutte le vicende che hanno ruotato attorno all'esistenza di Glebov. Ma la memoria ha un peso insostenibile e un retrogusto fortemente amaro per il protagonista perché rimanda a quel periodo in cui, con bieco opportunismo, egli ha costruito meschinamente una carriera accademica cogliendo lo spirito del tempo ma tradendo amici, valori e persino l'amore. Contraltari di questa sono le storie di sconfitta e i declini degli altri personaggi, tutti legati alla grande casa sul lungofiume, l'immenso edificio dove risiedeva l'intelligencija e la classe dirigente dell'epoca, luogo simbolo di uno status e metafora della scalata sociale che il protagonista sogna e infine riesce a realizzare, al prezzo avvilenti compromessi con se stesso. Fra gli amici di Glebov Trifonov rappresenta anche se stesso e la sua famiglia, ennesima vittima del terribile clima di delazione e di caccia alle streghe che fu il periodo staliniano.
La Mosca della Rivoluzione
trad. di Hado Lyria, Feltrinelli, Milano 1995
Lungo lo Zamoskvoreče occidentale continuiamo a
incontrare esempi del classicismo moscovita restaurato o in via di
restaurazione, come in via Serafimovič, intitolata a uno dei più fedeli
scrittori del bolscevismo, autore del romanzo Il torrente di ferro, che
presenta una evidente sproporzione tra la sua brevità e la lunghezza e
profondità dell'impegno politico, in una densa narrazione della guerra civile.
Ma nonostante il famoso scrittore da cui prende il nome, questa strada passerà
alla storia della Mosca stalinista e della Mosca della perestrojka grazie
al complesso residenziale costruito tra il 1928 e il 1932 dall'architetto
Iofan, riservato ad alti rappresentanti della vita politica e culturale. La
facciata principale dell'imponente palazzo dà sul lungofiume Bersenevskaja, e
vi appaiono in bassorilievo alcuni degli illustri, e in gran parte sventurati,
inquilini degli appartamenti: Petrovskij, Dimitrov, Lepešinskij, Serafimovič,
Stasova...; sì, ma anche il maresciallo Tuchačevskij e molti altri dirigenti
che qui vennero arrestati, vittime delle purghe staliniane. Ci troviamo davanti
alla "Casa sul Lungofiume", chiamata così soprattutto dopo che Jurij
Trifonov pubblicò uno splendido romanzo con questo titolo. La Casa sul
Lungofiume comprende circa cinquecento appartamenti e sotto lo stalinismo
diventò un concentrato di paura, delazione e rassegnazione, con gli occhi dei
suoi abitanti fissi sul Cremlino dove Stalin poteva disporre delle loro vite
solo sollevando la cornetta del telefono. Non a caso Bucharin aveva chiamato il
dittatore "il Gengis Khan col telefono", e anche Bucharin la pagò assai
cara.
Il
citato romanzo di Trifonov è stato uno dei best-seller della cultura critica.
Vi si descrive l'atmosfera pesante del palazzo con gli occhi del protagonista,
che non ci vive, ma che lo vede come la roccaforte abitata dalla classe dirigente.
Diventato adulto riuscirà a entrarci corteggiando la figlia del professor Gančuk e col tempo
diventerà uno degli intellettuali che, per viltà o per ambizione di potere,
contribuiranno alla caduta del prestigioso professore, eccesivamente poco
devoto allo stalinismo culturale, nonostante abbia un irreprensibile passato
bolscevico e sia un marxista convinto. E' curiosa la coincidenza della metafora
della repressione culturale "metodologica" adoperata da Trifonov nel
suo libro, perché coincide con l'aneddoto iniziale che porta Eugenija Ginzburg
alla disgrazia, alla purga, a un lungo esilio in Siberia, come racconta
un'altra impressionante testimonianza del Gulag, Cielo di Siberia. Il tormento
della Ginzburg comincia precisamente con una "chiamata telefonica",
che all'alba del 1° dicembre 1934 la convoca davanti al Comitato Regionale del
Partito, di cui è militante attiva. Le chiedono di collaborare a una campagna
di denuncia di elementi antisovietici corresponsabili dell'assassinio di Kirov,
e lei adempie alla consegna, ma non è abbastanza combattiva nei riguardi del
professore El'vov, insigne trockijsta e scienziato dell'Istituto di Pedagogia
con il quale la Ginzburg aveva attivamente collaborato. Comincia così a cadere
in disgrazia, e vive confinata in Siberia dal 1937 al 1947. In seguito
"nel 1949", viene esiliata da Mosca vita natural durante. La parabola
letteraria di Trifonov sembra quasi l'aperitivo della tragedia reale della Ginzburg e di tanti altri. La Casa sul Lungofiume, "la mole grigia, sembrava sospesa sul vicolo, di mattina copriva il sole e di sera giungevano da lassù le voci della radio e le musiche dei grammofoni. Sembrava che lì in alto si dovesse vivere una vita del tutto diversa da quella vissuta in basso, nella casupola dipinta di giallo come voleva una tradizione secolare".
La casa sul lungofiume
real_gone
http://il_posto_delle_fragole.ilcannocchiale.it/2010/09/11/la_casa_sul_lungofiume.html
Il palazzone grigio nelle foto (scattate da me qualche settimana fa, a parte la foto d'epoca) è uno dei luoghi "letterari" che di più amo di Mosca, reso celebre dal lungo racconto di Jurij Trifonov, Dom na naberežnoj (La casa sul lungofiume, Editori Riuniti). Mi è caro per due motivi. Il primo, ovvio, è perché ho apprezzato molto il libro, un racconto di formazione, un libro sul peso della memoria. Il protagonista è un mediocre, Glebov, un uomo cinico e opportunista nell'oscuro periodo storico della Russia che lo vede diventare adulto, l'epoca staliniana. Un incontro, all’inizio del libro, innesca un lunghissimo flashback che rivela al lettore gli altri personaggi e tutte le vicende che hanno ruotato attorno all'esistenza di Glebov. Ma la memoria ha un peso insostenibile e un retrogusto fortemente amaro per il protagonista perché rimanda a quel periodo in cui, con bieco opportunismo, egli ha costruito meschinamente una carriera accademica cogliendo lo spirito del tempo ma tradendo amici, valori e persino l'amore. Contraltari di questa sono le storie di sconfitta e i declini degli altri personaggi, tutti legati alla grande casa sul lungofiume, l'immenso edificio dove risiedeva l'intelligencija e la classe dirigente dell'epoca, luogo simbolo di uno status e metafora della scalata sociale che il protagonista sogna e infine riesce a realizzare, al prezzo avvilenti compromessi con se stesso. Fra gli amici di Glebov Trifonov rappresenta anche se stesso e la sua famiglia, ennesima vittima del terribile clima di delazione e di caccia alle streghe che fu il periodo staliniano.
Adesso questo palazzone sul lungofiume è un complesso di
appartamenti residenziali molto upper
class che comprende un cinema, piscina e un supermercato… in cima troneggia
un gigantesco logo della Mercedes. La zona in cui sorge è tra le più belle
della città: ad un passo dal Cremlino, ad un passo dalla Cattedrale del Cristo
Salvatore (e dalla ulica Precistenka, dove sorgono il Puškin e le casa museo di
Tolstoj), a fianco della vecchia fabbrica della Krasnij Okt’jabr (centro di una bella movida notturna), a poche
centinaia di metri dalla (staraja) Tret’jakovskaja
galereja e da Poljanka, il quartiere dove sorge una delle librerie più
belle e fornite di Mosca, la “dom knigi”
Molodaja Gvardija.
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