Il gran ritorno del soldato Švejk
il manifesto, 1 marzo 2015
Pochi scrittori sembrano avere sperimentato una identificazione altrettanto totale con i personaggi che li hanno resi universalmente noti quanto il praghese Jaroslav Hašek, padre di quel «bravo soldato Svejk» elevato nell’immaginario collettivo a incarnazione del fantaccino beffardo e imboscato. Dotato di una vitalità impressionante, che gli ha permesso di essere eletto a presunto simbolo dello spirito nazionale ceco, nonché di troneggiare in tempi recenti dalle insegne di una catena di ristoranti, Svejk ha finito per oscurare il suo stesso autore (tipo peraltro quanto mai eccentrico), fagocitando nella percezione dei lettori tutti gli altri scritti pubblicati prima della sua apparizione.



Tutte vicende che, seppur trasfigurate, ritroviamo puntualmente nelle Avventure del bravo soldato Svejk, la cui stesura fu interrotta dalla morte dell’autore nel 1923 proprio nel punto in cui Svejk si apprestava a cadere ignominiosamente in mano al nemico.
Non si sa se, qualora avesse avuto la possibilità di continuare, Hašek avrebbe reso il suo eroe partecipe anche degli episodi più picareschi della sua biografia personale, quelli che all’indomani della rivoluzione d’Ottobre lo vedranno schierarsi a favore dei bolscevichi e diventare addirittura aiutante del comandante del soviet militare della sperduta città tatara di Bogul’ma. Di certo, è difficile immaginarsi Svejk in veste di redattore di riviste filo-bolsceviche o responsabile della propaganda – mansioni queste che il suo creatore svolgerà prima a Kiev, poi a Ufa e Irkutsk durante la guerra civile. Tuttavia, la notevole dose di autobiografismo che permea il capolavoro di Hašek non deve far dimenticare che il personaggio di Svejk ha una genesi complessa che risale al periodo prebellico e finanche al 1907, quando lo scrittore, celandosi dietro il nome della sua fidanzata, aveva già pubblicato un racconto (qui tradotto per la prima volta in italiano) centrato sulla figura di un improbabile «bravo soldato svedese» persuaso del fatto che «la più grande delizia dev’essere morire per il proprio sovrano».
Il volume permette di confrontare le varie ipostasi assunte da Svejk nel tempo, dai cinque racconti del ciclo datato 1911 in cui compare già con il suo nome (Il bravo soldato Svejk. Gli interessanti casi di un milite onesto) al romanzo-pamphlet del 1917 titolato Il bravo soldato prigioniero, dove spuntano vari elementi autobiografici e la descrizione del cupio dissolvi che si è impadronito dell’impero asburgico («L’Austria non desiderava altro che diventare inutile») si fa sempre più sferzante.
D’altro canto la proliferazione degli Svejk – ossia la generazione di innumerevoli cloni accomunati da quella «idiozia congenita» che consente loro di mettere a nudo l’assurdità nascosta dietro la retorica patriottarda – non si arresterà neppure dopo la prematura scomparsa di Hašek. Quasi a smentire l’interpretazione «nazionale» che vuole Svejk espressione di un panciafichismo tipicamente ceco, l’anti-soldato di Hašek sarà riletto in chiave pacifista e universale nel 1928 da Erwin Piscator e Bertold Brecht, che lo porteranno in scena a Berlino «mobilitando» nel vero senso della parola le marionette disegnate da Georg Grosz grazie a un tapis roulant.
Ma l’avventura più angosciante vissuta dal «buon soldato» è certamente quella che gli riserverà lo stesso Brecht, quando nel 1943 lo resusciterà nella pièce teatrale Svejk nella seconda guerra mondiale, portandolo fino a Stalingrado camuffato da nazista.
Invariabilmente spiazzante e inafferrabile nel suo candore, Svejk resta ancor oggi dopo più di cent’anni un «classico» della resistenza passiva al male, forse l’incarnazione più riuscita di quel dissenso mimetico che finge di avallare la logica aberrante del potere per meglio demistificarlo. Un aspetto che è stato colto con acutezza da Milan Kundera: «Svejk aderisce così poco agli scopi della guerra che non li contesta neppure. La guerra è spaventosa ma lui non la prende sul serio. Non si prende sul serio ciò che non ha senso».

Nessun commento:
Posta un commento