Italo Calvino, Il regista di "Caccia tragica" sta girando "Riso amaro". Tra i pioppi della risaia la "cinecittà" delle mondine, L'Unità edizione piemontese, 24 luglio 1948.
Raffaele Vallone, al pugno di Vittorio Gassmann,
finì per terra e Gassmann gli fu sopra. S'avvinghiarono e si rotolarono
nella polvere. Gassmann ha una furia selvaggia e un fisico potente.
Vallone ha più abilita ginnastica e più controllo delle sue forze. Se le
davano di santa ragione, si strofinavano la faccia nella polvere. Beppe De Santis,
seduto sul carrello li fissava senza perdere una mossa arrotolandosi un
ciuffo di capelli tra le dita.
Siamo tra i pioppi e le risale di Veneria di Lignana. Poco distante, nelle cascine dell'azienda IFI, è accampata la “troupe” della Lux Film che sta girando Riso amaro, il film che ha per sfondo la monda del riso nel Vercellese. E’
notte e si sta girando una delle scene più drammatiche del film.
lo
prima non avevo un’idea chiara di come facessero a girare le scene di
cazzottature: far cascare ogni colpo dove doveva cascare, tutto così in
fretta. Se anche gli altri registi fanno come De Santis il sistema è
semplice : lasciare che gli attori s'arrabbino veramente e se le suonino
sul serio. Basilio
Franchina, l’aiuto regista, mi confida in gran segreto che per tutta la
giornata avevano montato Vallone e Gassmann uno contro l’altro dicendo a
entrambi: "Guarda che stasera ha deciso di picchiarti sul serio". L'altro aiuto-regista, Gianni Puccini, più maligno, spiega diversamente la loro furia interpretativa: la lotta avrebbe un solo scopo, quello di "disimpallarsi", cioè di presentare sempre la faccia scoperta alla macchina da presa, come è costante preoccupazione di ogni attore dello schermo.
Un mestiere scomodo
Ogni tanto De Santis ordina di smettere, i due si rialzano coperti di polvere, si tastano le
ossa e De Santis spiega loro cos’è che non va. Poi Ciak! E ricominciano
da capo. Io dovrei fare il tifo per Vallone, che è mio collega, e fino a due mesi fa impaginava la "terza" dell'Unità di Torino, ma Gianni Puccini che dirige le comparse guarda brutto quelli che osano un bisbiglio. Intorno,
appesi ai pioppi, come tante lune impigliate tra le foglie, i
riflettori inondano la notte sulle risaie di una luce bianca e falsa,
proprio “da cinema”. Riso amaro è un film girato tutto in esterni: per De Santis
l’amore della realtà rasenta il fanatismo. La scena più violenta del
film, per esempio, si svolge in una vera macelleria con vacche squartate
appese a uncini e pare che l’odore della carne che andava a male sotto i
riflettori abbia molto giovato a ossessionare l’atmosfera.
Ora Vallone con un calcio sullo stomaco fa fare a Gassmann un salto mortale e lo butta nel ruscello. Io non credevo che l'attore nel cinema fosse un mestiere così scomodo: trucchi, pensavo, sono tutti trucchi. Invece Gassmann va a finire a bagno tante volte finché la scena non viene perfetta, mentre De Santis lo seguue sul carrello, tormentandosi il ricciolo con le dita, e Franchina che prima faceva i documentari e sa fare anche l'operatore, riprende la scena con l'Airflex.
Intanto
le mondine vere che fanno da comparsa e quelle false, cioè le attrici,
hanno il loro daffare a schiacciare le zanzare che sono il flagello di
questa “troupe” sperduta tra gli acquitrini. Io non sento niente perché
guardo Silvana Mangano che è seduta lì vicino ed è, parola d’onore, la più bella ragazza che io abbia mai visto.
Doris e Silvana
Riso amaro, come ha due protagonisti maschili, ha due protagoniste femminili. Una è americana, Doris Dowling
e molti la ricorderanno in Giorni perduti. E' un'attrice di grande educazione artistica; viene dal teatro dove recitava col gruppo d'avanguardia di Clifford Odets, il drammaturgo progressista americano. Si tovava in Italia per turismo, quando le fu proposto di fermarsi per girare un film. Forse alloranon
prevedeva che in Italia i film si facessero in condizioni così eroiche,
accampati tra le risaie per tre mesi, così lontani da tutti i comfort di
Hollywood, ma la Dowling è entusiasta del film, di De Santis, degli
attori e recita con un impegno magnifico.
Silvana Mangano mi sembra una delle grandi fortune del film. E’ romana, ha diciott’anni, il
viso e i capelli della Venere di Botticelli, ma un’espressione più
fiera, dolce e fiera insieme,
occhi scuri e capelli biondi, un incarnato terso e limpido, senza ombre
né luci, spalle che si aprono con una dolcezza da cammeo, un busto
d’una ardita armonia di linee trionfanti e aeree, la vita come uno stelo
snello e un mirabile ritmo di curve piene e di arti longilinei. Insomma,
a farla breve, Silvana Mangano m’ha fatto una grandissima impressione e devo dichiarare che nessuna fotografia può bastare a darne un’idea.
La trama di Riso amaro è basata sul contrasto tra la vita di fatiche e di solidarietà della risaia e la morale equivoca di una coppia di ladri che vi si rifugiano per sfuggire alla polizia. La più bella delle mondine lascia il sergente di cui era innamorata (Vallone) per il gigolò cittadino (Gassmann) e si perde nel losco affare di un furto di riso, mentre la ladra (Doris Dowling) si redime nella solidarietà con le mondine e tutto tra cazzottature, sparatorie, coltellate, suicidi, inondazioni, feste, balli e belle scene di monda in risaia.
Il ciuffo di De Santis
Il
suggello di verità e la moralità vera del film, anche se il soggetto,
per esigenze commerciali, indulge a una certa retorica e a un pessimismo
convenzionale, vengono dal grande impegno di realismo e di umanità che
Beppe De Santis mette nella sua regia. Appollaiato dietro la macchina da
presa De Santis spiega, corregge, interpreta la parte di tutti con
nervoso accanimento, attorcigliando e avviticchiando il ciuffo in mezzo
al cranio, è lo stesso gesto che fa Cesare Pavese mentre scrive: che sia un segno distintivo della scuola realistica? Né le sue fatiche si limitano alle ore di ripresa. Oggi a Veneria è arrivato il maestro Petrassi
che farà il commento musicale di Riso amaro. E De Santis a spiegargli
come va impostato lo spartito, in gran parte basato su motivi popolari e
a cantargli lui stesso le canzoni delle mondine.
Uno stuolo di
giovani attrici di Cinecittà si sono improvvisate mondariso: la diciassettenne Maria Grazia Francia, che già abbiamo visto come figlia dell'Onorevole Angelina; Anna Maestri, una giovane caratterista che viene dal teatro; Lia Corelli che sarà una mondina "prima della classe", con le treccine e i mutandoni; e Isabella [Zennaro], un brunissimo viso che non ci si aspetterebbe mai di trovare in risaia. Tra i "caporali" riconosciamo Nico Pepe, Checco Rissone e Tonino Nediani.
Ma
oltre a questi risaioli di Cinecittà c’è la folla dei risaioli
autentici. A vedere tornare le mondine dal lavoro, per questi
interminabili viali di pioppo tra la campagna, dai monotoni riquadri
verdi acquosi, a vedere quelle file di donne giovani e anziani, coi
cappelloni di paglia, le calze che lasciano nudo il piede, i vestiti
multicolori e fantasiosi, viene da stupirsi che il cinema non abbia
pensato prima ad ispirarsi a questa materia così ricca di umanità e di
colore, a questi loro quaranta giorni di fatica e di sfruttamento per un
guadagno che sfumerà in altrettanto tempo, a questa loro allegria
avventurosa piena di combattività collettiva.
Le mondine di Veneria
provengono in gran parte dal Modenese: paesi “rossi”. Abbiamo visitato uno dei loro affollati dormitori - per fortuna ci dicono: questo è uno dei migliori! - mentre leggevano la posta ricevuta allora. Le notizie da casa erano allarmanti: la polizia di Scelba era stata al loro paese durante un comizio e aveva manganellato la popolazione. Parecchi loro cari erano stati feriti o arrestati. Le mondine erano in grande apprensione e si leggevano le lettere l'un l'altra.
Partono le mondine
Dell’inaspettato
diversivo cinematografico le ragazze della risaia sono tutte
entusiaste. Tra loro e quelli del cinema s’è subito creata la più
calorosa amicizia. Ma tra pochi giorni, finita la monda, questo stuolo
rumoroso e policromo farà ritorno alle proprie case. Sull’immensa risaia
rimarrà solo la “troupe” di De Santis a finire Riso
amaro.
I cinematografari non sanno darsene pace. “Veneria senza mondine
resterà ben triste” dice De Santis guardando il monotono paesaggio. E sa
che non s’è affezionato a loro come a un motivo decorativo, sa che solo
con questi contatti tra cinema e popolo si può fare del cinema vero.
Nessun commento:
Posta un commento