Paolo Segatti, Elettori a intermittenza, Il Mulino, 19 giugno 2017
Le analisi dell’istituto Cattaneo relative al primo turno delle elezioni amministrative hanno mostrato un forte calo della partecipazione rispetto alle precedenti consultazioni. Una diminuzione dell’affluenza tra i 30 e i 20 punti percentuali a seconda della zona geopolitica rispetto a quella dei primi anni Novanta, come mostra il grafico. Cosa ci dice questa forte diminuzione circa la propensione a esercitare il proprio diritto di voto da parte degli italiani? Evidentemente che il voto amministrativo sta perdendo attrazione per un numero crescente di italiani. Ma questo dato suggerisce un calo generalizzato della partecipazione di entità simile per ogni tipo di consultazione? Andrei cauto. Poco più di sei mesi fa, come ci aveva informato sempre il Cattaneo, la partecipazione al referendum sulla riforma costituzionale è stata eccezionalmente elevata. Ovviamente referendum e amministrative sono consultazioni diverse, ma dal punto delle motivazioni individuali che spingono alla partecipazione sono entrambe consultazioni alle quali gli elettori tendono ad attribuire una rilevanza bassa. Del resto in molti dei precedenti referendum l’affluenza è stata inferiore a quella di queste amministrative. Se invece in occasione di quel referendum il tasso di affluenza è salito a livelli giudicati eccezionali, ciò vuole dire che la mobilitazione messa in campo dalle forze politiche è stata decisiva. Sarebbe stato utile porre all’attenzione dei lettori questo dato, per segnalare che a cambiare in sei mesi non sono stati ovviamente gli elettori e i loro atteggiamenti verso la politica, ma le scelte delle forze politiche e quindi il clima politico nel quale si è votato a queste amministrative. Il che avrebbe consentito forse una nota di ottimismo circa lo stato della cultura civica degli elettori italiani. Ma forse sarebbe stato ancora più utile comparare l’andamento nello stesso arco di tempo dell’affluenza alle politiche negli stessi comuni. Non per fare confronti impropri tra tipi diversi di elezione, ma per mostrare che certo in entrambi i tipi di elezione l’affluenza scende, ma non scende nella stessa misura elezione dopo elezione. L’affluenza alle amministrative scende di più di quella alle politiche. Il che vuole dire che nell’ultimo quarto di secolo un certo numero di elettori tende a votare meno alle amministrative di quanto faccia alle politiche. Ma questo non significa affatto che questi elettori escano per sempre dall’arena elettorale. Se l’affluenza alle successive politiche è più alta di quella alle precedenti amministrative, ciò significa che molti poi sono tornati a votare. Andrebbero chiamati elettori intermittenti per caratterizzare il loro entrare ed uscire dall’area della partecipazione elettorale. Non sono elettori persi per sempre all’esercizio del diritto di voto. Quanti siano gli intermittenti rispetto agli elettori costanti e agli astensionisti assidui è difficile dirlo sulla base di un confronto tra tassi di partecipazione.
Studi di qualche anno fa mostrano che sono di più degli astensionisti assidui e sono in crescita significativa dalla metà degli anni Novanta. Si tratta di un aggregato socialmente e politicamente eterogeneo la cui crescita è il risultato del fatto che le nuove generazioni di elettori non hanno maturato la stessa abitudine al voto dei loro padri. In particolare se si tratta di elezioni sentite meno importanti. In fatto poi che l’aggregato degli elettori intermettenti sia in crescita dalla metà degli anni Novanta fa pensare che al suo interno vi potrebbe essere un segmento non piccolo di elettori che decide di andare a votare o meno alle elezioni ritenute meno importanti a seconda del giudizio che dà delle prestazione del partito o della coalizione che ha votato alle precedenti elezioni. Infatti è proprio dalla metà degli anni Novanta che agli elettori italiani è data la possibilità di valutare chi è responsabile delle cose fatte con una chiarezza maggiore di quanto accadeva quando i governi duravano meno di anno. Quello italiano sta dunque diventando un elettorato che né vota né si astiene avendolo deciso una volta per sempre per ogni tipo di elezione. Possiamo discutere all’infinito se questo sia una cosa normativamente negativa. Per me entro una certa misura lo è. Ma questo non dovrebbe impedirci di cogliere anche un aspetto positivo. Perché votare ad intermittenza può essere l’esito del fatto che un certo numero di italiani si prende la libertà di punire, astenendosi, chi hanno votato per le cose che ha fatto o non fatto. Un comportamento che nasce un difetto se volete di cultura civica, ma che migliora la qualità della democrazia. A una condizione. Che chi governa sia in grado di raccogliere il segnale di questi elettori. Certo che se a ogni calo di partecipazione anche in elezioni amministrative l’opinione pubblica è intasata da commenti dai toni epocali, nei quali non manca mai il riferimento al mitico «partito dell’astensione», è possibile che il segnale non venga colto o venga colto in modo distorto, come quando di fronte a un problema si reagisce parlando d’altro.
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