Chi glielo spiega adesso ad amici, partner, camerati, trombettieri ed apologeti del governo? Chi andrà da Matteo Salvini, ad esempio, a dirgli che c’è un contrordine e arriva direttamente dalla premier, da Giorgia Meloni: Emmanuel Macron non è né “matto” né “guerrafondaio”, e qui ci fermiamo con gli improperi per carità di patria, ma di fatto il leader a cui Palazzo Chigi guarda per costruire una solida alleanza.

Proprio il Macron espressione dell’Europa dei tecnocrati, il Macron fumo negli occhi di ogni sovranismo, il Macron che viene dalle aborrite élite, non ha alcun consenso e nessun futuro, il Macron velleitario che vorrebbe costruire, poveretto, un’alleanza del Vecchio Continente e mettersi a capo, lui che è l’espressione di un paese la cui grandeur è tramontata da un pezzo.l linguaggio burocratese dei comunicati stampa, è questa la sostanza dell’incontro di martedì pomeriggio a Roma: avanti con la Francia e un passo indietro con gli Stati Uniti.

Nei megafoni della destra era l’inquilino dell’Eliseo che veniva a Canossa dopo i troppi screzi con Palazzo Chigi. Nel concreto Macron ha dettato l’agenda, spostato decisamente l’asse della sguardo di Roma che vede la Washington di Donald Trump con il binocolo per manifesta inattendibilità del tycoon mentre viene rimesso al suo posto nel vocabolario il termine “pontiere” troppo a sproposito usato quando Meloni stessa pensava che l’ideologia nazionalista fosse un cemento più solido della storia e della geografia. Quella geografia che si prende la rivincita.

Parigi e poi con essa Berlino, ovviamente Bruxelles, persino Londra nonostante la Brexit o Varsavia nonostante il neo-presidente, sono il nostro destino ineludibile e ineluttabile. E dunque è Giorgia che è andata metaforicamente a Canossa benché sia rimasta a casa sua e il viaggio non le deve essere dispiaciuto se già nelle photo-opportunity a vertice ultimato appariva una certa corrispondenza di amorosi sensi con il transalpino.

Dimenticati nel breve volgere di un incontro, gli screzi le incomprensioni, persino le antipatie tra i due leader che avevano punteggiato la convivenza sugli scranni più alti dei rispettivi paesi. Preso atto che in democrazia i capi cambiano ma gli Stati restano e i nostri due sono indissolubilmente legati per interessi a quell’Europa che, se non vuole sparire dalle mappe delle aree che contano, è costretta giocoforza a unire gli sforzi.

Bentornata Giorgia, dopo la vacanza-sogno atlantica, a mettere la firma su un comunicato che recita: «Intendiamo lavorare insieme per un’Europa più sovrana, prospera e orientata alla pace, capace di tutelare i propri cittadini e i propri interessi». Dove sovrana qui è l’Europa non il singolo paese.

E perché non suonassero comunque slogan di circostanza, ecco la ciccia, ecco il programma che certo non somigli a un’agenda romana così come ci era stata venduta sinora: «Abbiamo riscontrato forti convergenze sull’agenda europea sulla competitività, sulla semplificazione normativa, sul tema degli investimenti pubblici e privati, della transizione energetica con piena neutralità tecnologica e sul sostegno a settori strategici come automotive, siderurgia, intelligenza artificiale, energie decarbonizzate, rinnovabili così come nucleare e spazio».

Non avrebbero potuto dirlo meglio i più convinti europeisti. Con alcune notazioni rimarchevoli circa la sterzata di centottanta gradi: la transizione ecologica riprende ad essere un punto qualificante dopo essere stata bollata come il diavolo capace di gettare nella povertà milioni di cittadini. Dietro la «convergenza sul tema degli investimenti pubblici e privati» si nasconde il prima vituperato riarmo di deterrenza.

Mentre il riferimento alla necessità di «coordinare le posizioni sulle relazioni transatlantiche e sulla sicurezza economica e commerciale della Ue» sono l’abbandono dell’idea che si va sciolti davanti a Donald Trump, come Giorgia immaginava prima di essere tradita dalle promesse da marinaio di quell’inaffidabile di Donald Trump e di tornare dai vicini che, forse, non sono così brutti come li avevano dipinti.