Alexandre Dumas, Masaniello, 1865, traduzione di Eugenio Torelli Viollier... Masaniello e la sua gente si trovavano per caso o di proposito sulla
piazza del Mercato. S'intende
che erano tutti armati di mazze. Il
cognato di Masaniello, giardiniere a Pozzuoli, aveva portato al
Mercato una cesta piena degli ottimi fichi che producono le terre
intorno al golfo di Baia.
Un'incredibile
negligenza trovavasi nella redazione dell'editto; non vi si
specificava se al venditore o al compratore toccava a pagar la tassa. Un
diverbio sorse fra un avventore ed il cognato di Masaniello; ognuno
voleva far pagare all'altro. Come accade in questi casi, la folla
s'aggruppò intorno a' litiganti e la disputa bentosto ebbe a
spettatori tutte le persone del Mercato.
In
questo momento passò l'Eletto del popolo: era un tale a nome Andrea
Nauclerio. Interrogato,
diede torto al cognato di Masaniello. I
giardinieri a quella sentenza che metteva a loro carico la tassa
mormorarono.
–
Zitto, o vi mando tutti in galera! dice Andrea Nauclerio.
–
Orbene, giacchè la va così, risponde il cognato di Masaniello,
sparpagliando le frutta fra la folla, meglio dar i miei fichi per
nulla che impinguarne questi demonî di gabellieri che ci succiano
perfino il sangue!
Il
popolo non se lo fa ripetere, e si getta avidamente sulle frutta,
gridando e schiamazzando.
Di
botto Masaniello, che fin allora aveva tutto veduto, tutto ascoltato
senza dir motto, lanciasi in mezzo a quella turba, gridando:
–
Giù le tasse! via le gabelle!
E
tutta la schiera, quasi avesse aspettato quel segnale, a ripetere le
stesse voci.
Andrea
Nauclerio vuol parlare; ma Masaniello, raccolto una mano di fichi,
glieli tira nel mezzo del viso; ognuno dà di piglio a quello che
può, ed il povero Eletto ed i commessi della gabella, inseguiti dai
venditori, assaliti da proiettili di ogni genere, son vergognosamente
discacciati dal Mercato e ricorrono al vicerè.
Ma
Masaniello non perde tempo ad inseguirli, e salito sulla panca più
alta del Mercato, a gran voce:
–
Amici, gridò, fate animo e rendete grazie a Dio; l'ora della libertà
e sonata finalmente: a malgrado de' cenci di cui sono coperto e che
fanno prova della mia miseria, spero, novello Mosè, di liberare il
popolo dal servaggio. San Pietro era pescatore come me e salvò, non
Roma soltanto, ma il mondo intero dalla schiavitù del demonio:
orbene, un altro pescatore salverà Napoli, e le ridonerà tempi più
felici. So già che vi lascerò la vita e che il mio capo sarà
portato in cima ad una picca; che i quarti del mio corpo saranno
trascinati per le strade di Napoli; ma morrò contento, sapendo che
mi son sagrificato alla prosperità del mio paese!
S'intende
l'effetto che produsse questo discorso sulla folla. Il
capo de' Turchi, che doveva difender la rocca contro Masaniello, gli
si gettò nelle braccia e da quel punto il giovane lazzarone si trovò
a capo non più di trecento ma di seicento uomini.
Incominciarono
tosto a metter fuoco all'officina del dazio ed ai registri, e più
drappelli si formarono per far lo stesso negli altri mercati della
città. Ma
nel mandar per la città i lazzaroni, Masaniello aveva serbato
intorno a sè i suoi seicento armati di randelli, e mettendo in punta
ad una pertica, per insegna, un tozzo di pane, s'avvio verso il
palazzo del vicerè gridando:
–
Viva il re! muoia il mal governo! Senza dubbio, se il vicerè avesse
in quel momento, contro quei seicento uomini armati di mazze, spedito
i suoi vecchi soldati tedeschi, i suoi vecchi lanzi spagnuoli, gente
usa insomma alle battaglie; se avesse loro comandato di far fuoco sui
sediziosi, l'inferiorità delle armi, la vista dei morti, il
sentimento della loro impotenza li avrebbe fatti cader ginocchioni e
chieder grazia; ma un raggio doveva brillar su Napoli in quella buia
notte del dispotismo che la gravava; quel raggio ebbe la durata, ma
anche il bagliore folgorante del baleno.
Il
vicerè, al contrario impauritosi, ordinò alla moglie di salvarsi
nel castel Nuovo, e temendo di esser riconosciuto ed arrestato per
via, egli si appiattò in un nascondiglio del palazzo. Quando
il capo del governo si nasconde innanzi al popolo, in luogo di
andargli contro deliberatamente, la rivoluzione è fatta, o quasi.
***
Due
uomini avevano avuto gran parte in questo avvenimento, il bandito
Perrone ed un vecchio prete a nome Giulio Genuino, che già una
volta, in una sedizione precedente, era stato il capo della parte
popolare.
Primo
decreto del nuovo tribunale fu l'abolizione delle imposte; poi,
volendo, vendicatosi del governo, vendicarsi de' nobili, deliberò
che, per dar soddisfazione al popolo, da tanto tempo angariato da
essi, si arderebbero sessanta palazzi magnatizi.
Videsi
allora un fatto incredibile; una turba di lazzaroni scalzi, cenciosi,
pallidi ancora della fame di ieri, mal satolli del pasto di oggi,
distruggere palagi magnifici, annientare tesori sterminati, gettare
al fuoco suppellettili, tappezzerie, scrigni pieni di gioie, sacchi
pieni di oro, fasci di carte, senza che un sol oggetto fosse tolto
alla distruzione cui era destinato.
Secondo
il vecchio costume de' tempi barbari, secondo la tradizione
perpetuatasi da Sardanapalo ad Alarico e da Alarico al principe di
Caramanico, furono strangolati e pugnalati i cavalli sul rogo, e
quando tutte le robe, tutt'i capilavori, tutte le ricchezze d'un
palazzo erano incenerite, si dava alle fiamme il palazzo stesso.
Napoli
per tali eccessi avrebbe dovuto divenire tutta un incendio; ma, a
furia di cautele, il fuoco pareva divenuto complice intelligente
della sommossa e non divorava che la preda assegnatagli.
Chi
avesse guardato Napoli dal castello S. Elmo, avrebbe contato venti o
venticinque vulcani di pietra che lanciavano fiamme per ogni bocca e
ruinavano sulle basi, dopo divorate le visceri. Ma
a veder l'ordine che regnava fino nella distruzione, non avreste
creduto esser quello un popolo sfrenato che sfogava una vendetta,
sibbene un giudice tremendo ch'eseguiva una sentenza. Un affamato che
aveva rubato un formaggio ebbe cinquanta bastonate; un altro che non
aveva letto ed aveva involato una materassa fu trucidato; due altri
che s'erano appropriati un vaso d'argento furono appiccati!
Gl'incendi
durarono tre giorni: ventiquattro palagi furon arsi; i trentasei
altri, – sessanta erano condannati, – furon salvati a preghiera
del Cardinal Filomarino.
Volendo
sapere fin a qual punto estendevasi la sua autorità sulla plebe,
Masaniello fe' varie pruove: a suono di trombe comandò al popolo di
restar sotto le armi e dispose sentinelle in ogni luogo; poscia, nel
mezzo della notte, fe' dar il segno dell'armi, per vedere se tutti
erano all'erta. Erano
tutti a' posti assegnati, cioè meglio di centomila persone; perchè
a' lazzaroni ed a' popolani s'erano aggiunti i campagnoli de'
contorni, armati di scuri, di vanghe e di falci, strumenti attissimi
a tagliar le teste
Poi,
fra tutta quella moltitudine, si notava una compagnia che, sebbene
mista alle altre, era indipendente ed operava per proprio conto. Fioriva
allora in Napoli quella famosa scuola di pittura, immaginosa
quant'altra mai, che tanta luce diffuse nel XVII secolo ed aveva per
maestri Aniello Falcone, Micco Spadaro e Salvator Rosa.
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