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venerdì 6 gennaio 2023

La battaglia di Ratzinger contro il relativismo

 


Vito Mancuso, Papa Ratzinger, Dio, la fede e la battaglia al relativismo, La Stampa 5 gennaio 2023
 
Oggi viene celebrato il funerale di Joseph Ratzinger e con questo articolo io vorrei rendergli omaggio. Lo posso fare solo in prospettiva critica, perché non mi sono mai riconosciuto nella sua teologia e perché considero il suo papato un momento più negativo che positivo per la Chiesa e per la società contemporanee. Tuttavia riconosco di aver spesso avvertito che egli aveva il grande merito di richiamare con chiarezza i temi fondamentali della fede. Quali sono? Non i migranti, non l'ecologia, non la sessualità, non l'omosessualità, non la bioetica, non il celibato ecclesiastico, non il sacerdozio femminile, non in genere tutti i temi per così dire orizzontali che riguardano il nostro essere parte del mondo, compreso quel particolare pezzo di mondo che è la Chiesa cattolica. Non che essi non siano importanti, lo sono, eccome. Tuttavia non sono essenziali, non rappresentano cioè l'essenza specifica che fa esistere la peculiare disposizione della mente e del cuore che si chiama "fede"; anzi, fede in "Dio" in quanto intelligenza creatrice, causa e finalità dell'essere, alfa e omega.
Ratzinger ha avuto il grande merito di richiamare di continuo la mente ai temi fondamentali della fede di cui chiarisco la natura tramite una pagina di Agostino, il suo teologo più amato (insieme a Bonaventura e a Newman). Agostino immagina di ricevere la visita della Ragione in persona, la quale gli chiede di riassumere in poche parole il suo desiderio. Lui risponde: «Dio e l'anima: questo desidero conoscere». La Ragione: «Nulla di più?». Lui: «Assolutamente nulla di più» (Soliloqui 1,2). Ecco i temi fondamentali della fede: Dio e l'anima. Da essi dipende tutto il resto, compreso Gesù Cristo, la Bibbia, i Sacramenti, la Chiesa e gli altri elementi del cristianesimo, perché questi hanno senso per un essere umano solo alla luce dell'esistenza di Dio, dell'esistenza dell'anima e della loro possibile unione.
L'unione di Dio e anima giunge a formare il concetto decisivo della teologia di Ratzinger: quello di verità. La verità non è una dottrina o una formula o uno stato di cose; non coincide con l'esattezza. La verità è l'unione di Dio e anima: cioè di senso oggettivo e di senso soggettivo, di esattezza e di convinzione, di logica e di fervore, di dottrina e di conversione, di ortodossia e di ortoprassi. La verità è come uno spartito musicale: ha una sua oggettività, ma rimane muta per chi non ne conosce il linguaggio e non ne sente le vibrazioni dentro di sé. Il motto che Ratzinger scelse per lo stemma episcopale è "Cooperatores veritatis", "Collaboratori della verità". Nessun altro concetto aveva per lui tanta importanza. Ovviamente anche altri concetti strutturano la sua teologia, soprattutto fede, ragione, coscienza, amore, ma è il concetto di verità a fare la differenza perché, diceva, è solo a una ragione, a una fede, a una coscienza, a un amore "veri" che va attribuito credito.
Fu questo a fargli intraprendere la sua battaglia più aspra, quella contro il relativismo. Egli denunciava incessantemente la sua massiccia presenza nella nostra società parlando al proposito addirittura di «dittatura del relativismo», con un concetto in realtà un po' curioso perché il relativismo per definizione relativizza e quindi elimina in radice l'assolutismo alla base della dittatura, per cui se c'è relativismo non può esserci dittatura. Egli però in questo modo intendeva denunciare un persistente uso della ragione teso a minare sistematicamente l'assolutezza della verità: e per lui, se non c'è assolutezza, non c'è neppure verità. Non c'è quell'incontro esistenziale così coinvolgente ed esigente con l'alterità che si può anche chiamare amore.
Questi discorsi possono sembrare astratti, ma invece hanno una ricaduta politica quanto mai concreta che riguarda tutti, credenti e non-credenti. Dico anche non-credenti, perché alcuni di loro tra i pensatori e i politici proprio durante il pontificato di Ratzinger presero a definirsi "atei devoti". In che senso? Nel senso che, pur senza fede personale, aderiscono ai tradizionali orientamenti cattolici su bioetica, sessualità, demografia, famiglia, istruzione, "radici cristiane" o "giudaico-cristiane" dell'Europa, assegnando alla rinascita del cristianesimo la stessa sopravvivenza della civiltà occidentale e delle singole identità nazionali. Dio può anche non esistere, affermano, ma bisogna agire come se esistesse e su questa base difendere la patria e la famiglia tradizionale. Ratzinger sintetizzava la prospettiva parlando di «principi non negoziabili», da lui concretamente individuati nella triade «vita, famiglia, scuola». Il concetto di verità, in questo modo, da unione intima dell'anima con Dio si trasforma in una bandiera di militanza politica e di prassi legislativa.
A mio avviso, però, in questa impostazione c'è qualcosa che non va: mi riferisco al corto circuito provocato da un'assenza decisiva, quella del concetto di laicità. Cosa intendo con laicità? Intendo il metodo che governa il rapporto tra la dimensione interiore e la dimensione esteriore della vita umana. La dimensione interiore è espressa dalla spiritualità e dall'etica, la dimensione esteriore dal diritto e dalla politica. Ognuno di noi ha una sua spiritualità e una sua etica personali, le quali però non possono essere trasferite così come sono nella dimensione pubblica dell'esistenza rappresentata dal diritto e dalla politica, ma devono essere mediate con le altre diverse spiritualità ed etiche esistenti, e tale mediazione necessaria si chiama laicità. La laicità indica il metodo che sa trovare il punto di equilibrio tra le molteplici sfere interiori dei singoli e la necessariamente unica sfera esteriore del diritto, e che lo fa tramite la politica.
Tenere presente questa distinzione è essenziale per comprendere come agire rispetto ai «principi non negoziabili» di cui parlava Ratzinger. Tale non-negoziabilità dei principi è legittima e necessaria a livello di foro interiore, nel senso che ognuno non deve mai tradire le proprie convinzioni quando ad agire è lui in prima persona, ma non può essere tradotta tale e quale nella sfera pubblica così ricca di differenze: il foro interiore della prima persona singolare non è mai perfettamente traducibile nel foro esteriore della prima persona plurale. Ne consegue che a livello politico non c'è nulla che non sia negoziabile, dato che la negoziazione, ben lungi dall'essere relativismo, è l'anima stessa della politica democratica e della sua prassi legislativa. Non ha quindi senso parlare in ambito politico di «principi non negoziabili», e continuare a farlo comporta il grave rischio di rendere "orizzontale" la costitutiva verticalità del cristianesimo facendone un'ideologia politicamente spendibile, un instrumentum regni assai gradito a quelle forze politiche che oggi si definiscono "sovraniste" (e non è certo un caso che oggi ai suoi funerali vi sia il premier ungherese Viktor Orbán, il simbolo del sovranismo europeo). Nell'insufficiente considerazione del principio di laicità l'impostazione ratzingeriana, non a caso tanto gradita all'integralismo cattolico, mostra le sue maggiori lacune. E si tratta di lacune "teologicamente" pericolose, perché se è vero che i temi fondamentali della fede non sono i migranti e l'ecologia, è altrettanto vero che non lo sono neppure la patria, la famiglia, la vita fisica, per cui legare a queste istanze il cristianesimo significa fargli perdere la sua essenza specifica, il suo "sale" avrebbe detto Gesù.
Vorrei però concludere ricordando l'amore per Dio di Joseph Ratzinger. Sembra che le sue ultime parole, pronunciate in italiano, siano state «Signore ti amo» e per questo do ancora la parola al suo Agostino la cui opera ricordata sopra si conclude con questo messaggio di speranza da parte della personificazione della Ragione: «Fatti coraggio: Dio sarà vicino a noi che cerchiamo, già lo sentiamo. Lui promette la felicità più grande e la pienezza della verità, senza più alcuna menzogna, dopo questa vita». —

 

martedì 12 febbraio 2013

L'intellettuale Joseph Ratzinger

Gesto eccezionale quello del papa. Eccezionale per il ruolo ricoperto dal personaggio, non per il suo significato elementare. Non siamo stati abituati a una figura sacerdotale, che si colloca al vertice della gerarchia e che dà come motivo di una sua grave decisione  lo stato di salute. Lo fa con la solennità e la forza espressiva del latino - "ingravescente aetate" -, ma non fa altro che sottolineare ancor più la transeunte fragilità della sua condizione umana. Sotto le spoglie di Benedetto XVI si è manifestato Joseph Ratzinger e il teologo tedesco "ha detto con semplicità e fermezza che è vecchio e malandato e quindi non si sente più in grado di reggere il governo della Chiesa" (Rusconi).  Già perché il papa può anche smettere di essere papa, ma il cardinale Ratzinger non smette di incarnare la figura del teologo. Che si occupa di cose che a molti possono apparire lontane dalla realtà, e in effetti e in parte lo sono. Ma di quelle cose si è nutrita per secoli la vita dello spirito, da quelle cose ha tratto ispirazione per dare un senso alla vita e alla presenza umane nel mondo. Ecco un'altra realtà che si staglia davanti a noi e che non siamo abituati a considerare. Ieri sera un teologo, ancora uno, in televisione auspicava che il nuovo papa fosse un uomo di Dio. E un giornalista sperava che fosse un uomo di mondo. Un papa può essere l'uno e l'altro; ma è anche, come colui che fece per viltade il gran rifiuto sapeva bene, un uomo di potere. Ora un uomo di potere che riflette e, riflettendo, guarda al destino del mondo o al destino della sua organizzazione in un mondo esposto a grandi mutamenti, non è spettacolo consueto di questi tempi.
Noi pensiamo - siamo stati portati a pensare - che la politica abbia bisogno di persone provenienti dalla società civile. E poi scopriamo spesso che gli esterni non tardano ad acquisire i modi e i vezzi per non dire i vizi propri del Palazzo. Non ci spingeremo fino a sostenere che adesso ci vorrebbe un teologo alla testa del governo. In fondo la teologia al di là del suo oggetto è capacità di riflessione e di elaborazione intellettuale. Virtù la cui mancanza o scarsa presenza si fa crudelmente sentire tra i politici del momento, con rare eccezioni. Il presidente della Repubblica è una di queste. Si può non essere d'accordo con ciò che dice, è tuttavia innegabile che l'uomo non ha smesso di pensare. E forse anche per questo trova più di altri ascolto.
Quando il mondo intorno a noi cambia volto e le forme del nostro vivere sociale sono sottoposte a violenti scossoni, mentre barcollano in rapporto alla realtà le categorie stesse del nostro linguaggio, sarebbe ora di dare spazio alla riflessione. Non saremo salvati da qualche economista di passaggio. Abbiamo bisogno di navigatori solitari dotati di bussola e capaci di stare lunghe ore in silenzio. A che fare? Prima di tutto a governare la barca, certo. Ma anche a riconsiderare se stessi, il modo e il loro rapporto con il mondo. Tutti esercizi propri di quella vita spirituale che ha continuato a illuminare l'esistenza di Joseph Ratzinger il teologo tedesco che si è trovato a fare il papa e non ha smesso per questo di pensare, di riflettere, come dovremmo fare tutti del resto.

Giovanni Carpinelli

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 ...sulle illazioni, finché restano tali, non si può fondare alcun giudizio. Certo la sua rinuncia al soglio supremo fa specie soprattutto in Italia in cui non c'è quasi nessuno capace di rinunciare al più misero seggiolino - forse perché quel seggiolino è la sua unica realtà, è tutto il suo Io, che senza il seggiolino o la seggetta svapora come un cattivo odore, mentre Joseph Ratzinger non è solo un Papa, è - prima ancora - Joseph Ratzinger.

Claudio Magris 
Quando il no serve ad affermare la libertà e la dignità della persona
Corriere della Sera, 13 febbraio 2013

lunedì 11 febbraio 2013

La rinuncia del papa: un commento

Queste dimissioni mi sconcertano e mi spiazzano. Sono un sasso nella palude. Almeno ci sarà qualcosa di cui parlare, invece dell'infame chiacchiericcio elettorale, con il coté volgare del Berlusconi di sempre, le promesse da Pinocchi e i vuoti pneumatici della comunicazione di massa. Un uomo molto potente si dichiara "stanco" e inadeguato. E così facendo interpella la coscienza di ognuno di noi, soprattutto di quelli che occupano le posizioni di privilegio, applicando queste ultime condotte defezioniste, ripiegate sull'interesse proprio a discapito di quello collettivo. Il suo, infatti, non mi sembra tanto un abbandonare il campo ma un dichiarare che QUEL campo, non la sola Chiesa ma il mondo di cui essa dice di occuparsi, è così dolente da richiedere uomini (e donne) all'altezza della situazione. 

Claudio Vercelli

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Nel corso del Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione di alcuni Beati, tenuto alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, durante la celebrazione dell’Ora Sesta, il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto ai cardinali presenti il seguente annuncio:

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Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente
esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da
dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.