Oggi viene celebrato il funerale di Joseph
Ratzinger e con questo articolo io vorrei rendergli omaggio. Lo posso
fare solo in prospettiva critica, perché non mi sono mai riconosciuto
nella sua teologia e perché considero il suo papato un momento più
negativo che positivo per la Chiesa e per la società contemporanee.
Tuttavia riconosco di aver spesso avvertito che egli aveva il grande
merito di richiamare con chiarezza i temi fondamentali della fede. Quali
sono? Non i migranti, non l'ecologia, non la sessualità, non
l'omosessualità, non la bioetica, non il celibato ecclesiastico, non il
sacerdozio femminile, non in genere tutti i temi per così dire
orizzontali che riguardano il nostro essere parte del mondo, compreso
quel particolare pezzo di mondo che è la Chiesa cattolica. Non che essi
non siano importanti, lo sono, eccome. Tuttavia non sono essenziali, non
rappresentano cioè l'essenza specifica che fa esistere la peculiare
disposizione della mente e del cuore che si chiama "fede"; anzi, fede in
"Dio" in quanto intelligenza creatrice, causa e finalità dell'essere,
alfa e omega.
Ratzinger ha avuto il
grande merito di richiamare di continuo la mente ai temi fondamentali
della fede di cui chiarisco la natura tramite una pagina di Agostino, il
suo teologo più amato (insieme a Bonaventura e a Newman). Agostino
immagina di ricevere la visita della Ragione in persona, la quale gli
chiede di riassumere in poche parole il suo desiderio. Lui risponde:
«Dio e l'anima: questo desidero conoscere». La Ragione: «Nulla di più?».
Lui: «Assolutamente nulla di più» (Soliloqui 1,2). Ecco i temi
fondamentali della fede: Dio e l'anima. Da essi dipende tutto il resto,
compreso Gesù Cristo, la Bibbia, i Sacramenti, la Chiesa e gli altri
elementi del cristianesimo, perché questi hanno senso per un essere
umano solo alla luce dell'esistenza di Dio, dell'esistenza dell'anima e
della loro possibile unione.
L'unione
di Dio e anima giunge a formare il concetto decisivo della teologia di
Ratzinger: quello di verità. La verità non è una dottrina o una formula o
uno stato di cose; non coincide con l'esattezza. La verità è l'unione
di Dio e anima: cioè di senso oggettivo e di senso soggettivo, di
esattezza e di convinzione, di logica e di fervore, di dottrina e di
conversione, di ortodossia e di ortoprassi. La verità è come uno
spartito musicale: ha una sua oggettività, ma rimane muta per chi non ne
conosce il linguaggio e non ne sente le vibrazioni dentro di sé. Il
motto che Ratzinger scelse per lo stemma episcopale è "Cooperatores
veritatis", "Collaboratori della verità". Nessun altro concetto aveva
per lui tanta importanza. Ovviamente anche altri concetti strutturano la
sua teologia, soprattutto fede, ragione, coscienza, amore, ma è il
concetto di verità a fare la differenza perché, diceva, è solo a una
ragione, a una fede, a una coscienza, a un amore "veri" che va
attribuito credito.
Fu questo a
fargli intraprendere la sua battaglia più aspra, quella contro il
relativismo. Egli denunciava incessantemente la sua massiccia presenza
nella nostra società parlando al proposito addirittura di «dittatura del
relativismo», con un concetto in realtà un po' curioso perché il
relativismo per definizione relativizza e quindi elimina in radice
l'assolutismo alla base della dittatura, per cui se c'è relativismo non
può esserci dittatura. Egli però in questo modo intendeva denunciare un
persistente uso della ragione teso a minare sistematicamente
l'assolutezza della verità: e per lui, se non c'è assolutezza, non c'è
neppure verità. Non c'è quell'incontro esistenziale così coinvolgente ed
esigente con l'alterità che si può anche chiamare amore.
Questi
discorsi possono sembrare astratti, ma invece hanno una ricaduta
politica quanto mai concreta che riguarda tutti, credenti e
non-credenti. Dico anche non-credenti, perché alcuni di loro tra i
pensatori e i politici proprio durante il pontificato di Ratzinger
presero a definirsi "atei devoti". In che senso? Nel senso che, pur
senza fede personale, aderiscono ai tradizionali orientamenti cattolici
su bioetica, sessualità, demografia, famiglia, istruzione, "radici
cristiane" o "giudaico-cristiane" dell'Europa, assegnando alla rinascita
del cristianesimo la stessa sopravvivenza della civiltà occidentale e
delle singole identità nazionali. Dio può anche non esistere, affermano,
ma bisogna agire come se esistesse e su questa base difendere la patria
e la famiglia tradizionale. Ratzinger sintetizzava la prospettiva
parlando di «principi non negoziabili», da lui concretamente individuati
nella triade «vita, famiglia, scuola». Il concetto di verità, in questo
modo, da unione intima dell'anima con Dio si trasforma in una bandiera
di militanza politica e di prassi legislativa.
A
mio avviso, però, in questa impostazione c'è qualcosa che non va: mi
riferisco al corto circuito provocato da un'assenza decisiva, quella del
concetto di laicità. Cosa intendo con laicità? Intendo il metodo che
governa il rapporto tra la dimensione interiore e la dimensione
esteriore della vita umana. La dimensione interiore è espressa dalla
spiritualità e dall'etica, la dimensione esteriore dal diritto e dalla
politica. Ognuno di noi ha una sua spiritualità e una sua etica
personali, le quali però non possono essere trasferite così come sono
nella dimensione pubblica dell'esistenza rappresentata dal diritto e
dalla politica, ma devono essere mediate con le altre diverse
spiritualità ed etiche esistenti, e tale mediazione necessaria si chiama
laicità. La laicità indica il metodo che sa trovare il punto di
equilibrio tra le molteplici sfere interiori dei singoli e la
necessariamente unica sfera esteriore del diritto, e che lo fa tramite
la politica.
Tenere presente questa
distinzione è essenziale per comprendere come agire rispetto ai
«principi non negoziabili» di cui parlava Ratzinger. Tale
non-negoziabilità dei principi è legittima e necessaria a livello di
foro interiore, nel senso che ognuno non deve mai tradire le proprie
convinzioni quando ad agire è lui in prima persona, ma non può essere
tradotta tale e quale nella sfera pubblica così ricca di differenze: il
foro interiore della prima persona singolare non è mai perfettamente
traducibile nel foro esteriore della prima persona plurale. Ne consegue
che a livello politico non c'è nulla che non sia negoziabile, dato che
la negoziazione, ben lungi dall'essere relativismo, è l'anima stessa
della politica democratica e della sua prassi legislativa. Non ha quindi
senso parlare in ambito politico di «principi non negoziabili», e
continuare a farlo comporta il grave rischio di rendere "orizzontale" la
costitutiva verticalità del cristianesimo facendone un'ideologia
politicamente spendibile, un instrumentum regni assai gradito a quelle
forze politiche che oggi si definiscono "sovraniste" (e non è certo un
caso che oggi ai suoi funerali vi sia il premier ungherese Viktor Orbán,
il simbolo del sovranismo europeo). Nell'insufficiente considerazione
del principio di laicità l'impostazione ratzingeriana, non a caso tanto
gradita all'integralismo cattolico, mostra le sue maggiori lacune. E si
tratta di lacune "teologicamente" pericolose, perché se è vero che i
temi fondamentali della fede non sono i migranti e l'ecologia, è
altrettanto vero che non lo sono neppure la patria, la famiglia, la vita
fisica, per cui legare a queste istanze il cristianesimo significa
fargli perdere la sua essenza specifica, il suo "sale" avrebbe detto
Gesù.
Vorrei però concludere
ricordando l'amore per Dio di Joseph Ratzinger. Sembra che le sue ultime
parole, pronunciate in italiano, siano state «Signore ti amo» e per
questo do ancora la parola al suo Agostino la cui opera ricordata sopra
si conclude con questo messaggio di speranza da parte della
personificazione della Ragione: «Fatti coraggio: Dio sarà vicino a noi
che cerchiamo, già lo sentiamo. Lui promette la felicità più grande e la
pienezza della verità, senza più alcuna menzogna, dopo questa vita». —
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