Massimo Franco, Il messaggio per i leader, Corriere della Sera, 11 marzo 2024
... Forse non è cominciato il logoramento del governo, ma di certo si sta esaurendo la luna di miele. Sotto questo aspetto, i segnali che arrivano da Sardegna e Abruzzo possono rivelarsi salutari, se analizzati con freddezza e lucidità. Vale per le opposizioni ma ancora di più per il governo. Agendo e parlando come se fosse ancora minoranza, e usando a tratti un lessico poco presidenziale, la premier non trasmette il messaggio più efficace. E fingere che le cose vadano benissimo e che i ministri della destra stiano dando un’ottima prova, significa velare perplessità diffuse non solo nell’elettorato ma perfino a Palazzo Chigi. Di nuovo, il vantaggio è che sul versante opposto campeggiano sigle in concorrenza, se non in conflitto tra loro. I risultati delle ultime consultazioni, però, dicono che i vuoti si riempiono e le contraddizioni si diplomatizzano, e nel modo più imprevedibile. La domanda, semmai, è se l’unità di opposizioni così eterogenee reggerà a una sconfitta.
Stefano Lepri, Abruzzo: la sconfitta e il futuro del “campo largo”, Appunti, Substack, 11 marzo 2024
Il centrodestra ha vinto le elezioni regionali in Abruzzo con Marco Marsilio, confermato con un netto successo del 54 per cento. Quali sono le conseguenze sul cosiddetto campo largo (dal PD ai Cinque stelle ai centristi) che sperava di veder ribadita la possibilità di presentarsi come alternativa, dopo il successo in Sardegna?
Dipende dalla prospettiva.
Se fossi Giuseppe Conte sarei un po’ preoccupato, per due ragioni. La prima: i Cinque stelle in Abruzzo sono tracollati rispetto al 2019, che era il loro momento d’oro, al governo con la Lega, sull’onda dell’ascesa populista.
All’epoca i Cinque stelle avevano preso in Abruzzo 118.000 voti a sostegno di un loro candidato, oggi, in coalizione con il PD e gli altri dietro Luciano D’Amico, appena 40.000. Questa è una crisi ormai cronica del Movimento, e non c’è da stupirsi, ma mette in difficoltà il progetto della coalizione.
Anche perché il PD, invece, recupera gran parte dei consensi, probabilmente proprio dai Cinque stelle e passa da 67 mila a 120 mila voti.
Questa è la seconda ragione di preoccupazione, se fossi Conte: non soltanto il leader del Movimento si deve confrontare con un tracollo, ma anche con la ripresa del suo alleato-competitor.
Questa dinamica crea una percezione drasticamente diversa della sconfitta tra PD e M5s. Il PD perde, ma rinasce rispetto ai Cinque stelle.
Per Conte è una sconfitta su tutta la linea, che scommetto porterà a due considerazioni: si vince in coalizione solo quando il candidato è dei Cinque stelle (vedi Alessandra Todde in Sardegna), si perde negli altri casi, ma – andando verso elezioni europee con sistema proporzionale – nei prossimi 2-3 mesi converrà enfatizzare la competizione con il PD piuttosto che il potenziale di coalizione.
Per il PD è una sconfitta meno amara, perdere raddoppiando quasi i voti può comunque essere un risultato tattico accettabile, di sicuro è una sconfitta più dolce di quella del 2019 quando il PD schierava un peso massimo come Giovanni Legnini, uscito ammaccato dal voto.
La segretaria del PD Elly Schlein ha dimostrato di essere piuttosto pragmatica nel rapporto con i bizzosi Cinque stelle, non prova ad affermare la propria supremazia (anche perché il Pd, a livello nazionale, non stacca di molto il Movimento) ma si adatta al contesto.
Dunque, come può usare in senso costruttivo la sconfitta abruzzese? Io vedo una sola opzione: puntare, quando possibile, su candidati unitari che siano davvero terzi rispetto ai due partiti, per evitare che qualcuno possa intestarsi le vittorie e addebitare agli altri le sconfitte.
Se PD e Cinque stelle, ma anche con Azione, Verdi e sinistra e gli altri, vogliono costituire una alternativa di governo, devono formare una coalizione. E nelle coalizioni serve qualche collante, qualche elemento – e personaggio – di sintesi.
Non può essere un progetto nel quale c’è una costante competizione interna a somma zero tra Conte e Schlein.
Vent’anni di centrodestra insegnano che la competizione interna ai partiti di una coalizione è vitale, perché permette di trattenere i delusi del partito egemone che affluiscono a quello emergente nello stesso schieramento, ma servono perimetri chiari che evitino il deflusso verso l’astensione.
Il centrodestra ha costruito quel perimetro intorno alla forza del leader dello schieramento, prima Silvio Berlusconi e ora Giorgia Meloni. Il centrosinistra, nella sua storia, ci è riuscito solo quando ha identificato un federatore sopra le parti, Romano Prodi.
E questo federatore ancora non c’è, ma se non si trova – e con lui (o lei) non si costruisce un progetto politico che permetta di cooperare e competere insieme – l’Abruzzo sarà soltanto l’anteprima di più cocenti sconfitte.
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