Dante né di destra né di sinistra? Intanto si dovrebbero usare le parole destra e sinistra in senso lato. Poi si può anche scoprire che Dante è stato l'una e l'altra cosa. Per certi aspetti anticipa addirittura la Costituzione americana. Il governo per il popolo e non il popolo per il governo. Il diritto alla felicità. E poi l'esule che paga per la sua contrarietà alpartito dominante. I suoi modelli politici sono invece di tipo conservatore, senza dubbio. Questo è il Dante reale, a nostro avviso.
Giuseppe Sciara
Consiglio di lettura alla luce della recente polemica e dell'ondata di indignazione per le parole di Sangiuliano. Certi autori non sono né di destra né di sinistra, ma vengono usati politicamente e strumentalizzati nelle maniere più diverse. Vale per Dante, come per Machiavelli, Alfieri e altri. Nel bel libro di Fabio Di Giannatale, "Specchi danteschi" (ETS, 2020) troverete un Dante riformatore, uno "giacobino", uno nazionalista, uno "esoterico". E ancora: precursore di Mazzini, cattolico per eccellenza, profeta del primato italiano... E questo solo per l'Ottocento italiano.
https://www.academia.edu/30616138/Il_Dante_reazionario_di_Sanguineti_1992_
Forse si può affermare che ogni grande tratto poetico riposa, per una
sua naturale dialettica, in ultima istanza, sopra un paradosso». Così
Sanguineti a p. 170 del suo Dante reazionario (Editori Riuniti, Roma
1992), che raccoglie sedici saggi danteschi composti tra il 1956 e il
1989 (tre dei quali, inediti). Volendo condividere la boutade, sarà
però da estenderne di getto l’applicazione allo statuto della critica. E
richiesto di un nome a conferma, non esiterei a esibire quello di San-
guineti medesimo. Né vi sarà studioso di Dante che leggendo — e per
lo più rileggendo — i saggi di questo volume non vorrà ammettere l’u-
tilità di molti, se non di tutti, i paradossi sanguinetiani. Bisognerà
anche ammettere, però, la calcolata preterintenzionalità (se mi si pas-
sa l’ossimoro) di uno almeno di tali paradossi, quello schiettamente ritico-negativa a dispetto delle mitologie bor-
ghesi progressive, sul modello del Balzac marxiano, così da dedicare la
fresca scheggiatura del “reazionario” a mordere l’ideologia del guada-
gno, concludendosi il miracolo economico, e ricorrendo al termine
inconsueto, per un reazionario, di «utopia» (p. 285).
Infine, il paradosso dei paradossi, per il Sanguineti critico, sta
nell’unione di puntigliosa pertinenza filologica (al livello dei più
grandi dantisti dell’Accademia) e di attualizzazione oltranzista e
all’occorenza apertamente strumentale. Con doppia coscienza stori-
ca: dell’oggetto-Dante e del presente della ricerca su esso. Quando
l’azzardo riesce, ecco un Dante intero senza musei, vivo e “pericolo-
so” quanto le provocazioni del suo mallevadore. È il caso delle osser-
vazioni sulla narratività dantesca, distribuite in molte pagine e già
filo conduttore, con una rilettura del comico e altro, delle Interpreta-
zioni di Malebolge (Olschki, Firenze 1961); ma soprattutto concen-
trate in «Le visioni della “Vita nuova”» (pp. 35-42), in «Dante,
“praesens historicum”» (pp. 43-72) e, ovviamente, in «Il realismo di
Dante» (pp. 273-289) — del 1965 il primo e il terzo saggio, del ’58
il secondo. Proposte come quelle di un Dante creatore della prosa
moderna quale tendenza allo sliricamento (cfr. p. 42) — in un secolo
come il nostro, perseguitato dalla prosa d’arte —, di una struttura,
per la Commedia, sostanziata e inverata nella narratività (cfr. p. 46),
di un Dante primo romanziere moderno (e inventore del «personag-
gio essenziale del roman bourgeois», «l’eroe problematico» (pp. 282 e
287) — sono fruibili in sede storico-critica almeno quanto propizia-
mente “scandalose” per malizia d’anacronismi. E puntualissime
sono, d’altra parte, in margine al problema della narratività, le osser-
vazioni su Dante-personaggio: fondato sullo «straniamento» di una
«meditatissima retrodatazione prospettica» (in «Canzone sacra e
canzone profana», 1980, a p. 160) — che è un altro bel modo per
definire, volendo, lo statuto critico sanguinetiano.
È pur vero, però, che quel che Sanguineti dà a Dante con una
mano poi gli ritoglie — in un caso, almeno: però vitale — con l’altra.
La definizione della narratività come struttura può d’un colpo
“retrodatare” la Commedia, quando essa venga concepita come la
rivelazione per exempla di un mera summa teologale (sostanziata di
politica per sovrappiù di esemplarità). Sanguineti dichiara di adope-
rare il termine “struttura” «in modi assolutamente neutri» (p. 173 e
passim), contro la condanna di Croce ovviamente e meno ovviamen-
te contro la opposta pregiudiziale strutturalista. Come se dalla lezio-
ne di un Auerbach non fossero venute sufficienti aperture di una
direzione radicalmente nuova (indagata poi, fra gli altri, da un Sin-
gleton). Ora, il nome di Auerbach non compare quasi mai nei saggi
sanguinetiani prima dell’ultimo (lo trovo, salvo il vero, due sole vol-
te, fuggevolmente). E quando finalmente compare è per contrappor-
re alla sua nozione di «figura», basilare nel poema dantesco, appun-
to il modello dell’exemplum (pp. 285-287); senza fare i conti con il
fatto che quest’ultimo è un genere letterario, un’opzione retorica; e
40 La strana pietà
il concetto di «figura», una gnoseologia (entro la quale quindi può
trovare luogo l’exemplum; e non viceversa). La conseguenza è la sot-
tovalutazione dell’allegoria dantesca, cioè la rimozione del bisogno
tutto nuovo di mondanizzare la trascendenza, per così dire, ovvero
di affrontare in termini radicalmente “civili” e politici le questioni
decisive della esistenza (e della salvezza) umana: la teologia e la sto-
ria infine faccia a faccia, in opposizione al simbolismo trascendente
del Medioevo prima del suo «autunno». E d’altra parte la stessa nar-
ratività (in senso anche specificamente moderno) non nasce forse
proprio da questo bisogno di articolare tra coordinate mondane una
teleologia (e una teologia)? Questioni non irrilevanti per una corret-
ta valutazione del tema al quale il libro si intitola con troppa sbilan-
ciata diagnosi e insoddisfacenti allegati di sintomi, o con parola meno
impulsiva, della politicità di Dante. Saltando la mediazione decisiva
dell’allegoria (e della funzione che hanno il concetto di «figura» e la
concezione conseguente della struttura) si finisce, come fa Sanguine-
ti, con l’aderire alla idea, non importa se frutto della autorevole pen-
na di Barbi, che la Commedia sia stata concepita come una «rivela-
zione» e non come un poema allegorico (p. 69, 1958): con il che sia-
mo — è vero — un passo avanti nella dimostrazione della natura rea-
zionaria di Dante, ma, per una volta, un passo indietro nel reperi-
mento della verità.
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