Maria Chiara Pievatolo, Il Gorgia di Platone, 2010
Nel V libro della Guerra del Peloponneso, dedicato alle vicende del lungo conflitto che oppose Sparta ad Atene alla fine del V secolo, Tucidide racconta che gli Ateniesi, i quali dominavano i mari con la loro flotta, misero sotto assedio l'isola di Melo. I Melii erano coloni spartani, ma avrebbero preferito rimanere neutrali. Gli Ateniesi non potevano tollerare che un'isola indipendente interrompesse la continuità e indebolisse la reputazione delle loro egemonia marittima.
Gli strateghi ateniesi, prima di cominciare a combattere, inviarono ambasciatori per intavolare trattative. Essendo l'isola di Melo un'oligarchia, gli ambasciatori non furono condotti davanti al popolo, ma davanti ai magistrati e agli oligarchi. L'assenza del popolo rende credibili le argomentazioni crude e dirette che Tucidide mette in bocca - come è solito fare - ai rappresentanti ateniesi, per esprimere, per così dire, le leggi non scritte della politica. I protagonisti del dialogo, infatti, sono i delegati di una grande potenza, che impongono di scegliere fra la sottomissione e l'annientamento, e degli oligarchi che prendono le loro decisioni per conto di un popolo assente. Il colloquio riservato fra Ateniesi e Melii è una sede adatta a mettere in scena gli arcana imperii.
I delegati ateniesi propongono di discutere assumendo come riferimento il sympheron, l'utile, e non il dikaion, il giusto, perché:
...nella considerazione [logos] umana il giusto [dikaia, come complesso dei diritti e dei doveri di ciascuno] viene preferito per una uguale necessità [apo tes ises ananches], mentre chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede. [V, 89, 1]
In altri termini, ha senso parlare di giusto solo se i rapporti di forza fra le parti sono tali che nessuna delle due può prevalere sull'altra, e occorre pertanto trovare un modus vivendi, che funzionerà solo finché esisterà questa situazione di parità. Altrimenti, se si assume il punto di vista del sympheron, non è "utile" parlare di giusto, perché basta la forza a risolvere i conflitti. Anche per il debole è "utile" cedere, perché la sottomissione spontanea gli eviterà mali peggiori. Bisogna sottolineare che Ateniesi e Melii si intendono sui termini morali del discorso perché condividono il medesimo concetto di "utile".
D'altra parte, il realismo di questa tesi tucididea può venir condiviso anche da chi si pone il problema del giusto senza identificarlo con l'utile: si può parlare di giusto solo se le parti sono soggette ad una uguale costrizione, ossia se sono costretti allo stesso modo e dalla stessa legge. Se la costrizione è disuguale, la giustizia è solo "giustizia" del più forte, o del meno costretto, e si riduce, perciò, alla maschera della forza.
I Melii oppongono agli argomenti ateniesi considerazioni basate promiscuamente sull'utile, sul giusto e sulla pietà religiosa. I delegati di Atene rispondono così:
Noi crediamo infatti che per necessità di natura chi è più forte comandi; che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione (doxa), che lo facciano gli uomini lo crediamo perché è evidente. [V, 105,2]
Se le divinità sono divinità politiche, la pietà religiosa si riduce a una mera opinione sul corso delle cose umane, le cui leggi, a uno sguardo "laico", sono altrimenti evidenti. E se la mentalità religiosa tradizionale legittima la divinità semplicemente per la sua superiore potenza e vede il corso delle cose umane come dominato da una necessità naturale e morale a un tempo, allora non c'è davvero nessun ostacolo religioso al diritto del più forte.
I Melii, ritenendo ingiusto il Diktat ateniese, rifiutano di sottomettersi. L'assedio continua. Melo, riferisce Tucidide, è infine espugnata. I Melii adulti vengono uccisi, e le donne e i bambini fatti schiavi.
I termini di questa discussione: l'utile, il giusto e la forza ricorrono nel dibattito ateniese del V secolo. Se la città fondata sull'uguaglianza di fronte alla legge (isonomia) è convenzionale e se il suo spazio è talmente ristretto che perfino le potenze democratiche applicano le ragioni della forza in politica estera, perché dovremmo rispettare la sua giustizia?
https://btfp.sp.unipi.it/dida/gorgia/index.xhtml
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