martedì 4 gennaio 2022

Il sacrificio di Draghi

 

QUIRINALE, ULTIMA CHIAMATA

Massimo Rostagno

Il Mondo di Pannunzio, 3 gennaio 2022

“Disgraziato è quel paese che ha bisogno di eroi”, diceva Brecht. Sottintendeva che quando una collettività non riesce a funzionare secondo regole proprie, anonime ma efficaci, e deve fare ricorso all’ ‘uomo della provvidenza’ che la risollevi vuol dire che è precipitata nella disgrazia. A leggere le cronache politiche delle ultime settimane sembra la fotografia dell’Italia. Il paese disgraziato bisognoso di eroi forse è proprio il nostro. L’Italia infatti è appesa a Mario Draghi. Il suo destino personale appare inestricabilmente intrecciato a quello dell’intera nazione. Nella sua ultima conferenza stampa il Presidente del Consiglio ha cercato di negarlo, sostenendo che il suo percorso individuale non è importante. Lo è,
invece. Lo è maledettamente. A rendere evidente questa verità è l’appuntamento che nelle prossime settimane attende le nostre istituzioni e tutta la politica nazionale: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Questo passaggio è da sempre molto delicato perché le schede nella insalatiera esprimono al massimo grado possibile le tensioni, gli accordi riusciti o falliti, i rancori dell’intero corpo parlamentare. Per molti versi è il passaggio politico per eccellenza in cui si consumano vendette, si regolano conti, si dà prova o meno di responsabilità nazionale. Ciò che ci attende è tutto questo ma ancora di più. La contingenza in cui ci troviamo infatti configura il delicato passaggio come una specie di giudizio di Dio in cui la posta in palio non è soltanto la massima carica dello Stato, ma il futuro dell’intero paese. Alcuni elementi rendono l’appuntamento istituzionale così eccezionale, anche rispetto al passato. In primo luogo, il fatto che siamo in una situazione di politica commissariata. Dal gennaio 2021, la politica nazionale ha fatto default e la nascita del governo Draghi ne è la testimonianza. L’arrivo dell’ex banchiere ha reso evidente l’incapacità, l’incompetenza, l’inadeguatezza se non addirittura la cialtroneria di gran parte delle rappresentanze politiche uscite dalle elezioni del 2018. Nelle prossime settimane tuttavia l’onere della scelta sta proprio nelle loro mani. Poi naturalmente vi è l’emergenza pandemica: una grande catastrofe sanitaria che porta in sé enormi implicazioni politiche. La sua curvatura in meglio o in peggio – misurata in nuove infezioni, ospedalizzazioni, stress sanitario e deceduti – eserciterà una pressione decisiva sulla scelta per il Colle, aprendo o chiudendo possibilità e alternative. La reiterata indisponibilità dell’attuale Presidente della Repubblica ad un secondo mandato preclude inoltre ai grandi elettori un anomalo ma già praticato escamotage: congelare lo statu quo per sopravvivere fino alla fine della legislatura. Era giù accaduto con il presidente Napolitano, di fronte al quale una politica già allora incapace di trovare soluzioni si era inginocchiata, implorandolo di accettare un prolungamento del mandato. In quel caso il presidente, tra mille malumori, aveva acconsentito, introducendo un’eccezione nella prassi costituzionale fino ad allora seguita. Ma soprattutto, la novità che rende davvero inedito il prossimo appuntamento costituzionale è proprio la figura di Mario Draghi che ha molte qualità ma non quella di duplicarsi. Eleggerlo alla Presidenza della Repubblica significa rimuoverlo dalla Presidenza del Consiglio e trovare un suo sostituto. Non eleggerlo alla Presidenza della Repubblica o, peggio ancora, esporlo ad una candidatura che venga poi impallinata dai franchi tiratori nell’urna, comporterebbe una sua delegittimazione politica anche come premier. A dover sbrogliare una matassa così complicata è proprio quella classe politica che già una pessima prova di sé ha fornito nel corso della legislatura, la peggiore di tutta la storia repubblicana. Iniziata male fin dal principio, nel corso degli anni ci ha portato il primo governo populista d’Europa, il Conte 1, l’estate del Papeete, il Conte 2, andato poi a schiantarsi per conclamata incapacità di fronte alle urgenze imposte dalla pandemia. Il gruppo parlamentare più importante, entrato in parlamento con l’intenzione di aprirlo come una scatoletta di tonno, ha subito a sua volta una mutazione genetica trasformandosi nel proprio opposto:
una forza neo dorotea disposta ad allearsi con tutti pur di rimanere al potere, nella totale indifferenza a contenuti e schieramenti. Nel frattempo, si è frantumato, subendo scissioni, abbandoni, generando gruppi alternativi ed aumentando l’ingovernabilità del Parlamento stesso. Questo è il contesto chiamato a misurarsi con la scelta dell’inquilino del Colle. Chi scrive è convinto che la soluzione più vantaggiosa per il Paese sia la permanenza di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio - vera cabina di regia della gestione del PNRR - e che la sua rimozione o il suo trasloco indeboliscano la credibilità italiana in Europa e nel mondo. Le prospettive indicate da qualcuno (Giorgetti) che vedono nella sua salita al Quirinale la realizzazione di un semipresidenzialismo di fatto appaiono avventuriste, costituzionalmente poco fondate, per non dire quasi eversive. Quanto alle altre ipotesi alternative circolanti per il Quirinale – da Berlusconi all’autorevole esponente del centro destra alla donna – è bene lasciarle per il momento ai retroscena dei quotidiani, ma certo indicano, se ce ne fosse bisogno, la complessità della situazione. Ciò che invece è interessante mettere a fuoco sta proprio nel meccanismo decisionale per giungere all’elezione, perché illumina un’epoca, rivela una antropologia. Da sempre, l’elezione del Presidente della Repubblica richiede arte della mediazione, capacità di tessere accordi ed autorevolezza per farli rispettare. Richiede cioè l’esercizio di un’alta sapienza politica. Ed è proprio questa a latitare clamorosamente nell’ attuale classe parlamentare che si è formata plasmandosi sugli umori più rabbiosi, sulla ricerca del consenso di breve periodo senza alcuna visione strategica. Figlia della ‘bestia’ di Morisi e degli algoritmi di Casaleggio, nutrita dalla società dello spettacolo, risulta capace tutt’al più di radunare i propri tifosi con rozze riaffermazioni identitarie: esattamente il contrario di ciò che richiede la delicata partita del Colle. È proprio nella fisionomia antropologica e nella cultura dei nostri rappresentanti che si misura lo scarto tra ciò che sarebbe necessario e ciò che è invece disponibile, tra l’altezza del compito e l’incapacità di assolverlo. Solo un dio ci può salvare, verrebbe da dire richiamando Heidegger, e abbandonandoci alla disperazione. In realtà, più laicamente, c’è da aspettarsi altro, o quanto meno da avanzare una richiesta Si richiede con forza una prova di responsabilità da fornire al paese. Giocarsi l’attuale premier con una condotta inopportuna, con pasticci politici e improvvisazioni dilettantistiche sarebbe letale per tutti noi. Draghi (in qualità di premier o di Presidente della repubblica) è l’anello che congiunge l’Italia all’Europa e ai fondi europei del PNRR. Far saltare questo meccanismo virtuoso produrrebbe conseguenze nefaste per un paio di generazioni. E’in grado la politica di garantire almeno questo e di riscattare il pessimo spettacolo offerto in questi quattro anni di legislatura? Riesce a dimostrare che i mesi di ‘sospensione per cattiva condotta’ inflitti dal governo Draghi sono serviti almeno ad acquisire    la consapevolezza della propria miseria? L’opinione pubblica è ben conscia che la prima preoccupazione della grandissima parte dei grandi elettori chiamati a scegliere l’inquilino del Quirinale consiste nell’evitare lo scioglimento anticipato delle Camere e nel mantenere lo stipendio per un altro anno. E tuttavia, data l’entità della posta in gioco, sarebbe bene che accanto a questa preoccupazione (umanissima, per carità!), i parlamentari si facessero carico anche di un’altra più alta esigenza: quella di collocare una prestigiosa personalità al colle più alto, mantenendo l’Italia nell’assetto virtuoso di questi ultimi dodici mesi. In fondo, potrebbe essere un riscatto dai disastri politici di questi quattro anni. Un modo di congedarsi, avendo qualcosa di importante da raccontare ai propri nipoti, evitando che una legislatura iniziata malissimo finisca anche peggio.

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