lunedì 27 aprile 2020
Portami il girasole
Eugenio Montale
1923
Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Nota. Tre strofe molto ordinate, con le rime a posto, salvo una (trasparenze/essenza) che resta una allitterazione. Poesia molto astratta che comporta una successione di simboli, dal girasole al terreno, al cielo, alla luce, sinonimo del sole. Tentando di sciogliere i simboli si corre il rischio di impoverire il significato. Montale è un nichilista inconseguente. Nulla ha valore, se non che le piccole cose acquistano grande valore nel discorso. La cipria, i cocci di bottiglia, la vampa, la carrucola che cigola, il pitosforo. In questa poesia invece gli oggetti richiamati sono di grande portata ideale. Anche i girasoli, si pensi al ruolo che hanno nella pittura di Van Gogh. E poi il cielo e la terra, che richiamano Dante. Montale è un nichilista inconseguente perché non rinuncia a cercare la salvezza. E per farlo in questo caso tira in ballo i pilastri della condizione umana e si lancia in un gioco fatale che vede alla fine nell’evanescenza una possibilità preziosa.
https://wsimag.com/it/cultura/14473-il-mito-di-clizia-da-ovidio-a-montale
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