Stefan Zweig, Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Castelvecchi, Roma 2013
... Se la
Rivoluzione non fosse scoppiata nel suo mondo sereno e spensierato,
questa figlia d’Asburgo avrebbe tranquillamente continuato a vivere come
cento milioni di donne di tutti i tempi: avrebbe ballato, chiacchierato,
amato, riso, fatto del lusso, delle visite, elargito elemosine,
avrebbe messo al mondo dei figli, e si sarebbe alla fine distesa
tranquillamente
nel suo letto per morire prima di avere partecipato comunque
allo spirito del suo tempo. Le avrebbero, perché regina,eretto un
solenne catafalco, dedicato il lutto di corte, ma poi sarebbesvanita
dalla memoria dell’umanità, al pari di tutte le innumerevoli altre principesse,
le Marie Adelaide e Adelaide Marie, le Anne Caterine e Caterine
Anne, i cui epitaffi dormono, non letti, nelle fredde pagine dell’almanacco
di Gotha. Mai uomo alcuno avrebbe sentito il desiderio d’interrogare
la sua anima spenta, nessuno avrebbe saputo chi fosse in realtà;
non solo, ma – e questo è l’essenziale – lei medesima, Maria
Antonietta,
regina di Francia, senza le prove della sorte, mai avrebbe appreso e
saputo la sua vera grandezza. Poiché fa parte della felicità o infelicità
dell’uomo mediocre il non sentire bisogno alcuno di misurare sé stesso,
il non provare la curiosità del proprio io prima che giunga il destino a
interrogarlo. L’uomo mediocre lascia dormire inutilizzate le
sue
possibilità, lascia atrofizzarsi le sue doti, allentarsi le forze, come muscoli che
non vengano adoperati finché la necessità non li tende a difesa. Un
carattere mediocre vuole la costrizione a uscire da sé stesso per divenire
tutto ciò che potrebbe e, forse, al di là di quanto egli stesso presagiva:
il destino non ha perciò altra sferza che la sventura. Come
talvolta un
artista, per dar prova delle proprie energie creative, cerca di proposito un
soggetto esteriormente modesto invece di uno patetico e universale,
così di tanto in tanto il destino cerca un eroe insignificante per
dimostrare come anche da una materia scadente possa svilupparsi la più alta
tensione, da un’anima debole e mal disposta una grandiosa
tragedia. E
una simile tragedia, una tra le più belle di questo eroismo involontario,
ha nome Maria Antonietta.
Con quale arte, infatti, con quale varietà fantastica di episodi, con che inaudite
dimensioni la storia sa qui inserire una creatura mediocre entro il suo dramma;
con quanta abilità armonizza i contrasti attorno alla poco interessante figura
centrale! Dapprima, con astuzia diabolica, la vizia indulgente; assegna alla
bambina come dimora una corte imperiale, impone all’adolescente una corona,
concede prodigalmente alla giovane sposa i doni della grazia e della ricchezza;
per di più le fa dono d’un cuore leggero, che non chiede il prezzo e il valore
di questi regali.
Per anni va
viziando, accarezzando un cuore irriflessivo e imprudente, finché perde
l’equilibrio e si fa sempre più spensierato. Ma quanto più è rapido
e facile il destino di questa donna nella sua ascesa fino alle vette
estreme della felicità, tanto più raffinatamente crudele nella sua lentezza
sarà la caduta. È un dramma che ci offre faccia a faccia i
contrasti
estremi con brutalità da melodramma: da una dinastia secolare a un orrido
carcere, dal trono al patibolo, dalla berlina tutta dorature e cristalli
alla carretta dei condannati, dal lusso alle privazioni, dalle bsimpatie
universali all’odio, dal trionfo alla calunnia; sempre più giù, sempre più
inesorabilmente, sino all’estremo abisso. E questa piccola donna, colta
all’improvviso fra gli agi della vita viziata, questo cuore inesperto,
non arriva a comprendere ciò che la forza ignota chiede e impone:
sente soltanto l’aspra mano che stringe, l’artiglio rovente che s’infigge
nelle carni martoriate; la creatura ignara, non avvezza e non propensa al
dolore, ne rifugge, non vuole, geme, cerca di fuggire... Ma con
l’inesorabilità di un artista, che non desiste prima di aver strappato
alla sua
materia la tensione estrema, l’ultima possibilità, la mano esperta della
sventura non rinuncia a Maria Antonietta prima di averne martellata l’anima
debole e molle sino a darle forza e saldezza, finché non ha tratto da
lei, con plastica evidenza, tutta la grandezza dei genitori, degli avi e
degli antenati che in essa dormiva sepolta. Finalmente, quasi
sussultando
a un tratto nel suo tormento, la sventurata, che mai se n’era resa conto,
avverte la propria trasfigurazione, mentre la sua potenza esteriore
tramonta, comprende che in lei avviene qualcosa di nuovo e di grande
che senza quelle sciagure mai sarebbe stato possibile. «C’est dans
le malheur qu’on sent d’avantage ce qu’on est», queste parole
un po’
orgogliose e un po’ sgomente le sgorgano a un tratto dalla bocca stupita: la
coglie il presagio che appunto, in nome di quel dolore, la sua mediocre
esistenza vivrà quale esempio ai posteri e, in tale coscienza di una
responsabilità più alta, si sublima il suo carattere. Poco prima che la spoglia
mortale s’infranga, l’opera d’arte è perfetta e imperitura, perché appunto
nell’ultima, nella suprema sua ora, Maria Antonietta raggiunge finalmente
tragiche proporzioni e si fa grande al pari del suo destino.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/08/23/la-regina-maria-antonietta-donna-martire.html
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