Paolo Madron, Le Dimaiarie sono il requiem del Movimento 5 stelle, Lettera 43, 22 settembre 2017
Informa il programma che il congresso
riminese del Movimento 5 stelle inizierà con una partita di calcetto tra
militanti. Di calcetti (sugli stinchi) per la verità se ne stanno già
dando in abbondanza fuori dal campo. Ma sono falli tattici, di
ostruzione e non di cattiveria. Roberto Fico, il grande oppositore, si
guarda bene dall’attaccare a viso aperto: tace, sguscia via, gioca
morettianamente sino all’ultimo sulla decisione di esserci o di non
farsi vedere: mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se
non vengo affatto? Tace anche un altro dei big, Alessandro Di Battista,
che formalmente sta con Di Maio ma che ai suoi fa sapere di non essere
per nulla contento del pasticciaccio che ha portato alla designazione
del candidato premier.
L’IMPIANTO CHE NON REGGE. In effetti il clima della vigilia è surreale, condito com’è da una serie di incognite, disguidi e complottismi vari: reggerà la piattaforma Rousseau
all’onda d’urto degli hacker, quanti voti si mangeranno le falle del
sistema, siamo sicuri che un clic vale uno? Ma al di là delle
tecnicalità, è tutto l’impianto simbolico che non regge. Far scegliere
via web agli iscritti un vincitore già designato è roba che nemmeno i
dorotei all’apice del loro splendore avrebbero potuto immaginare. Poi si
può anche strologare sull’affluenza oltre le aspettative, tanto da
dover prorogare l’apertura virtuale dei seggi, sull’entusiasmo della
base nell’ora delle scelte fatali, come può essere quella di decidere
chi mandare in caso di vittoria a Palazzo Chigi.
Ma è solo propaganda, tentativo di
rimediare in zona Cesarini a una figuraccia mondiale. Che oltretutto
pone un problema di natura identitaria grande come una casa. Nella sua
strabordante prolissità narcisa, lo ha ribadito numerose volte Lettera43.it e
lo ha riassunto bene il professor Becchi, ideologo grillino della prima
ora poi diventato grande oppositore: i pentastellati erano nati come
movimento e ora sono affetti da una snaturante metamorfosi che li sta
trasformando in un partito. E queste primarie ne sono l’esempio più
illuminante e ipocrita. Di Maio da tempo è stato incoronato dalla
premiata ditta dei fondatori ma per salvare le apparenze la sua
designazione deve passare per la Rete.
VERTICISMO DA VECCHIA NOMENCLATURA. Sarebbe
bello, ma temiamo non sia così, che gli ortodossi alla Fico e compagni
avessero rifiutato di correre non perché invidiosi della scelta fatta da
Grillo e Davide Casaleggio, ma perché convinti che il modo in cui è
avvenuta l’incoronazione di Di Maio sia quanto di più estraneo ai
principi fondanti del movimento. Che sta passando dalla configurazione
liquida, orizzontale, a un’organizzazione chiusa e verticista propria
delle vecchie nomenclature. Quanto questo poi incida sul consenso di cui
godono i 5 stelle tra gli elettori, granitico a tal punto che nemmeno
le imbarazzanti figure rimediate a Roma, Genova e più di recente in
Sicilia almeno a sentire i sondaggi sono riuscite a scalfire, saranno le
Politiche di primavera a deciderlo.
https://www.ft.com/video/f29e8f29-24c7-4f41-a7b1-ebb0effdec83
James Politi and Hannah Roberts, Five Star Movement: the unanswered questions about Italy’s populist party, Financial Times, 19 settembre 2017 (segnalato da Fabio Bordignon)
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