Torna d’attualità la discussione un po’ politicista sul centro e/o sulla rappresentanza dei “moderati” o dei cattolici schierati nel centrosinistra, dentro o fuori del Pd. Se ne discuterà a Milano per iniziativa di ex Popolari. Saggiamente, Elly Schlein si mostra consapevole della non autosufficienza del Pd. Esso si è messo alle spalle tale velleità a suo tempo coltivata prima da Walter Veltroni e poi da Matteo Renzi con la suggestione del «partito della nazione».

Tuttavia, con il suo motto «testardamente unitaria», Schlein ha inteso che in primis al Pd spetta la responsabilità di attendere all’organizzazione di quel campo di forze. E la pratica di uno spirito unitario, da major party, sembra che paghi elettoralmente. Penso si debba adottare un approccio laico e pragmatico alla questione. Con qualche avvertenza.

Primo: non s’ha da partire dai nomi dei “federatori” (essi semmai verranno) ma dai programmi. Secondo: un centrosinistra di governo ha bisogno, culturalmente e politicamente, di un’anima liberal-democratica. Terzo: è innegabile che, considerati la genesi e lo statuto ideale dello stesso Pd, in esso già oggi trovano casa esponenti di quella matrice politico-culturale. Quarto: il Pd fu pensato altresì come casa comune a laici e cattolici riformisti. Ripristinare una vecchia opposizione politica tra loro – sia essa dentro, sia essa fuori dal Pd in un centro distinto – sarebbe operazione regressiva.

Religione e politica


In radice, a motivo della distinzione tra religione e politica, che è uno stigma e una conquista dello stesso cattolicesimo democratico. Già Luigi Sturzo, padre del cattolicesimo politico dopo il non expedit, escluse esplicitamente di configurare il suo Partito popolare come partito cattolico.

«La religione è il regno dell’universalità – notava il prete di Caltagirone – la politica della parzialità». Con il corollario di un legittimo, fisiologico pluralismo politico tra i cattolici. Si rammenti il tracciato e le ascendenze di una parte “costituente” del Pd: dalla sinistra Dc al Partito popolare di Mino Martinazzoli (senza più la sigla “cristiana”) confluito nella Margherita a sua volta approdata al Pd.

Lungo una traiettoria che semmai ha fatto segnare una progressiva intensificazione dello scambio culturale e della cooperazione politica tra laici e cattolici. Il “cattolico adulto” Romano Prodi ebbe vita difficile con la gerarchia ecclesiastica proprio per avere suggellato, con l’Ulivo, la definitiva rottura dell’unità politica dei cattolici.

Come gli si può attribuire l’intenzione di patrocinare un partito cattolico di centro? Ho buoni motivi per pensare che la stessa gerarchia ecclesiastica non reagirebbe con entusiasmo all’idea di un centro che indulga alla qualificazione di “cattolico” sia per non essere “usata”, sia perché, se fossero davvero mossi da mera volontà di potere, i vertici stessi della chiesa ambirebbero a una consistenza maggiore di quella, francamente modesta, oggi accreditata a un’aggregazione di centro assai lontana dalla consistenza che fu della Dc.

Dunque, se si dovesse dare vita a un centro autonomo, esso non dovrebbe essere concepito come un centro cattolico. Ma sarebbe una forzatura anche immaginare una “corrente cattolica” nel Pd: giustamente i cattolici militanti nel Pd già si distribuiscono tra le articolazioni interne a quel partito su base politica e non in quanto cattolici. Né si può, secondo un diffuso luogo comune, fare del moderatismo la cifra del cattolicesimo.

Si deve a un cattolico democratico di rango come Martinazzoli il colorito aforisma secondo il quale la moderazione sta al moderatismo come la castità sta all’impotenza.