Achille Occhetto
Il destino del nostro paese tra l'Europa e Trump
la Repubblica, 4 luglio 2025
Solo in parte, e con mille precauzioni rassicuranti, ci stiamo accorgendo che siamo precipitati in un immane e catastrofico disordine mondiale, dominato dalle ragioni della forza e dell’imperio. Gran parte degli stessi leader europei si mostrano insensibili dinnanzi al fatto che la grande conquista morale, politica e ideale acquisita alla fine della seconda guerra mondiale, cioè il divieto assoluto dell’uso della forza nella risoluzione delle controversie internazionali si è capovolta nel suo contrario: in un un terrificante ritorno al millenario jus ad bellum, fondato sulla diplomazia al servizio della forza e del reciproco ricatto della deterrenza nucleare. L’unica cosa di cui sanno parlare è di riarmo, in un mondo già armato fino ai denti. La stessa proposta del sedicente pacifista Trump di alzare le spese militari al 5 per cento del pil è un’infamia volta a distruggere le economie più deboli, e ha fatto bene lo spagnolo Sánchez a ribellarsi.
Ma dinnanzi allo sconcerto di grandissima parte dei cittadini europei i soliti furbetti del gioco delle tre carte cercano di rassicurare l’opinione pubblica dicendo che non si tratta del 5 per cento, ma solo del 3,5 per il riarmo effettivo e l’1,5 per le infrastrutture. Rispondo: bene, si spenda nelle necessarie infrastrutture che sono utili soprattutto per contrastare le guerre ibride, e che possono servire anche per usi pacifici. E sul terreno squisitamente militare si metta mano alla riorganizzazione e razionalizzazione della difesa europea. A chi utilizza supinamente il diktat di Trump paventando una imminente aggressione armata dell’Europa occorrerebbe far presente che Putin sta già violando i nostri confini non con i carri armati. Putin, quelle frontiere, le ha già ampiamente attraversate con una ben orchestrata “guerra ibrida” che ha, poco per volta, avvelenato gran parte delle coscienze dei popoli europei. Sta sfuggendo la portata della guerra ibrida della Russia contro l’Europa, condotta attraverso la guerra psicologica, la disinformazione, il cyber welfare e l’uso di agenti non statali volti a influire nei processi politici ed economici. Le azioni cibernetiche, come attacchi informatici, sabotaggio e disinformazione andrebbero combattute con una visione più sofisticata della difesa, attraverso un potenziamento e aggiornamento di tutti gli strumenti tecnologici e di informazione coscientemente finalizzati a combattere la guerra irregolare. La “guerra ibrida”, sul terreno politico, invece, la si combatte principalmente non con le armi bensì con l’egemonia morale e culturale di classi dirigenti che sappiano far rivivere la democrazia nel cuore delle popolazioni europee presentandosi con il volto di una Europa aperta alle esigenze fondamentali dei suoi cittadini e non colpendo il welfare. Invece non ci stiamo accorgendo che è Trump che sta distruggendo la Nato, mentre i leader europei stanno balbettando e parlano in modo risibile di una piccola Nato a trazione europea per non percorrere la strada maestra di un esercito europeo.
È una menzogna affermare che la proposta della von der Leyen di riarmo dei singoli Stati sia un primo passo in questa direzione. La stessa politica di difesa comune europea dovrebbe accompagnarsi ai primi passi da compiere nella direzione di una effettiva Europa politica. Lo so: nella storia non si è mai visto che prima ci si armi e poi si dia vita al Paese da difendere. Ma, allora, invece di contrabbandare il piano di riarmo dei singoli Stati come un primo passo verso la difesa europea si dovrebbe incominciare a mettere le prime fondamenta dell’unione politica. Incominciando, come è avvenuto agli inizi dell’impresa europeista, con chi ci sta. Lo scandalo ungherese — di uno Stato liberticida — dovrebbe farci comprendere che sovranismo nazionalista e europeismo sono la rappresentazione di un raccapricciante ossimoro. Lo vediamo ogni giorno e sui più disparati dossier: la cittadella europea non è assediata solo dai nazionalismi esterni ma è minata dal nazionalismo interno. È proprio quello, in governi che si dicono europeisti, che ci fa assistere al continuo altalenarsi tra proposte virtuose e compromessi al ribasso. È il nazionalismo interno che ostacola una strategia unitaria verso l’immigrazione e l’accoglienza, che impedisce all’Europa di parlare con una voce sola in politica estera, in quella della sicurezza, delle politiche sociali e del lavoro, delle politiche green e nella stessa politica fiscale. Il principio di unanimità è l’esatto opposto della ricerca dell’unità. Esaspera le tendenze centrifughe dei nazionalismi e ossifica gli egoismi. Oggi sarebbe più che mai compito dell’Europa rilanciare il tema centrale di una sicurezza comune che tenga conto delle reciproche preoccupazioni. L’Europa stessa dovrebbe, attraverso la proposta di una Conferenza di pace, farsi promotrice di una concezione nuova dei rapporti internazionali, al di fuori dell’attuale terrapiattismo, proprio di una geopolitica che stende la carta geografica sul tavolo per tracciare la frontiera tra est e ovest, invece di guardare il pianeta dall’alto del mappamondo. La nostra difesa più efficace risiederebbe anche in un’Europa politica che si faccia promotrice di una governance mondiale dell’intelligenza artificiale per affrontare in modo solidale l’etica e la sicurezza dei “sistemi”, l’impatto sul lavoro, la proprietà intellettuale, la diversità culturale, le conseguenze ambientali, la concentrazione del mercato, la necessità di stimolare l’innovazione per un vero progresso della civiltà umana. Per tutti questi motivi anche l’Italia è a un bivio: con Trump e gli oligarchi del digitale che sostengono le organizzazioni di estrema destra antieuropeiste e filo putiniane o con l’Europa? Non è una scelta da niente. Ne va del destino del nostro Paese.