Nella società contemporanea l’importanza di avere un capo in grado di disporre di un’immensa reputazione, capace di divenire un simbolo e un mito è una risorsa preziosa e forse insostituibile. La chiesa cattolica ha la fortuna di disporre di questo immenso tesoro e di potere, attraverso di esso, diffondere il suo messaggio e i suoi valori (compresi quelli non negoziabili, ancora al centro della predicazione di Francesco).

L’enorme apprensione popolare per la salute di papa Francesco durante tutti i giorni del suo ricovero, unitamente al giubilo incontenibile che ha accompagnato la sua ricomparsa in pubblico e il ritorno a Santa Marta dopo le dimissioni dall’ospedale, mi suggeriscono alcune considerazioni sul rapporto tra la chiesa cattolica e la società italiana.

Il concetto dominante nell’analizzare tale rapporto è, da alcuni anni a questo parte, quello di secolarizzazione. Per misurarne il livello gli studiosi sono andati sinora sempre a pesare gli indicatori relativi ai comportamenti religiosi: andare a messa la domenica, far battezzare, comunicare e cresimare i figli, frequentare l’ora di religione a scuola, avviarsi verso la carriera clericale o in direzione dei conventi e dei seminari, eccetera.

Osservando i dati relativi a queste condotte, stagione dopo stagione negli ultimi decenni, si è costatata la presenza di una costante tendenza verso il basso, di una diminuzione dell’attaccamento della popolazione italiana alla religione cattolica. Ogni generazione, si è concluso, è meno cattolica di quella che l’ha preceduta.

Misurare la secolarizzazione


Tutto vero, ma la secolarizzazione non si può misurare solo così. Tutti quelli che ho citato sono infatti comportamenti “partecipativi”, relativi cioè alla decisione delle persone di prendere parte alle attività di un’organizzazione. La partecipazione è però in declino ovunque, in ogni sfera della vita sociale, in politica, ma anche nell’attività sindacale e in tutti i luoghi dove dilagava sino agli anni Settanta.

Allo stesso modo (forse addirittura in una dimensione minore) è in crisi nella sfera religiosa. Ma questo non vuol dire che il cattolicesimo sia morto o stia morendo così come non è morta la politica solo perché sono esangui i partiti. Sul primo versante basta osservare quanto viene seguita l’attività di alcuni giovani preti-influencer sui social per rendersi conto che la chiesa è viva e vegeta.

Il culto del papa


In questo scenario, il culto del papa, la venerazione per il successore di Pietro, occupa uno spazio centrale e fondamentale. Il papa è, per riconoscimento quasi unanime e in una misura non declinante ma crescente, una figura paterna e sacrale, alla quale vengono riconosciuti diritti eccezionali e unici.

Ad esempio, quello di stare al suo posto fino all’ultimo giorno della vita, anche sulla soglia dei novant’anni, invalido, malatissimo, afono e non in grado di viaggiare o ricevere visitatori. Quello che, nel caso recente di Joe Biden, è sembrato un incomprensibile attaccamento alla poltrona, nel caso di Francesco è un sacrificio sovrumano compiuto per la salvezza dell’umanità e il bene della comunità ecclesiale.

Il papa resta in cattedra anche ora, resta il padre severo ma affettuoso a cui guardare con devozione, anche se completamente debilitato e chiaramente impossibilitato a lavorare e ad assumere decisioni.

In questo stato, papa Francesco diventa, come ha ricordato un vescovo in questi giorni pensando anche a Giovanni Paolo II, il protagonista della più nobile “catechesi della sofferenza”, il catechista dei catechisti a cui indirizzare una devozione cieca e un’ammirazione incondizionata.

Una risorsa preziosa


Nel suo caso (e oggi parliamo di Francesco, ma un discorso analogo vale per i suoi ultimi predecessori), la realtà razionale, cioè il fatto che si tratti di un monarca a capo di una delle più grandi, globali, ricche e potenti organizzazione del mondo perde completamente rilevanza dinanzi all’aspetto simbolico, al fatto che egli rappresenti l’umanità intera esprimendo di essa, in una forma pura inaccessibile ai comuni mortali, gli aspetti più nobili e grandiosi, la volontà di pace, ma anche la sincerità, l’amicizia, la dolcezza, l’onestà e persino la simpatia. Anche i suoi nemici, li si trova soprattutto dentro la chiesa, gli riconoscono uno status sopraelevato anche se chiaramente negativo e ai limiti dell’infernale e del demoniaco.

Nella forma che sempre più nettamente sta assumendo, la figura del pontefice rappresenta il più formidabile strumento per rafforzare il cattolicesimo e la chiesa e per proiettarle nel futuro. Perché accomuna tanta parte del popolo, perché convince in profondità anche coloro che le chiese le disertano o che addirittura sostengono di non credere in Dio. Non crederanno in Dio, ma credono nel papa, casomai raccontando a sé stessi che la loro ammirazione è solo per l’uomo o che è legata alle cose che il papa dice (o non dice).

Nella società contemporanea l’importanza di avere un capo in grado di disporre di questa immensa reputazione, capace di divenire un simbolo e un mito è una risorsa preziosa e forse insostituibile. La chiesa cattolica ha la fortuna di disporre di questo immenso tesoro e di potere, attraverso di esso, diffondere il suo messaggio e i suoi valori (compresi quelli non negoziabili, ancora al centro della predicazione di Francesco).

È un vantaggio immenso a cui nessuno, tra i maggiorenti cattolici, può e vuole rinunciare. Ed è ragionevole che sia così.