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domenica 23 marzo 2025

Jacques Brel, un paesaggio storico e umano



Le plat pays 

Avec la mer du Nord pour dernier terrain vague
Et des vagues de dunes pour arrêter les vagues
Et de vagues rochers que les marées dépassent
Et qui ont à jamais le cœur à marée basse
Avec infiniment de brumes à venir
Avec le vent de l’est écoutez-le tenir
Le plat pays qui est le mien…

Con il mare del Nord come ultima prateria, e delle onde di dune per fermare le onde e delle rocce ondulate che le maree coprono e che hanno per il sempre il cuore in bassa marea, con infinite nebbie in arrivo, con il vento dell’Est, sentitelo reggere questo piatto paese che è il mio...


 

 Avec des cathédrales pour uniques montagnes
Et de noirs clochers comme mâts de cocagne
Où des diables en pierre décrochent les nuages
Avec le fil des jours pour unique voyage
Et des chemins de pluie pour unique bonsoir
Avec le vent d’ouest écoutez-le vouloir
Le plat pays qui est le mien...


Con cattedrali come sole montagne, e campanili neri come alberi della cuccagna, dove diavoli di pietra staccano le nubi, con la sequela dei giorni per unico viaggio e delle strade di pioggia come sola buonasera, con il vento dell’Ovest, sentitelo  questo piatto paese che è il mio…

 


Avec un ciel si bas qu’un canal s’est perdu
Avec un ciel si bas qu’il fait l’humilité
Avec un ciel si gris qu’un canal s’est pendu
Avec un ciel si gris qu’il faut lui pardonner
Avec le vent du nord qui vient s’écarteler
Avec le vent du nord écoutez-le craquer
Le plat pays qui est le mien...

Con un cielo così basso da perdere un canale, con cielo così basso da spingere all’umiltà, con un cielo così grigio da impiccare un canale, con un cielo così grigio che bisogna perdonargli, con il vento del Nord che viene a squarciarsi, con il vento del Nord, sentitelo cigolare questo paese piatto che è il mio…

Avec de l’Italie qui descendrait l’Escaut
Avec Frida la Blonde quand elle devient Margot
Quand les fils de novembre nous reviennent en mai
Quand la plaine est fumante et tremble sous juillet
Quand le vent est au rire quand le vent est au blé
Quand le vent est au sud écoutez-le chanter
Le plat pays qui est le mien...

Con l’Italia che filerebbe lungo la Schelda, con Frida la bionda quando diventa Margot, quando i figli di novembre ci tornano a maggio, quando la pianura è fumante e trema sotto luglio, quando il vento ride, quando il vento è sul grano, quando il vento è a Sud sentitelo cantare questo paese  piatto che è il mio…

lunedì 12 agosto 2024

Montale impressionista

 


George Steiner
Nel castello di Barbablu. Note per la ridefinizione della cultura. Conferenze in memoria di T.S. Eliot (1970), trad. di I. Farinelli, SE, Milano 1990
 
… queste sono solo vaghe congetture. Non è retorico ripetere che, al punto in cui ci troviamo, i modelli precedenti della cultura e della realtà sono di scarso aiuto. Persino il termine Note è troppo ambizioso per un saggio sulla cultura scritto in quest’epoca. Al massimo, si può cercare di mettere a fuoco certe perplessità. La speranza può essere racchiusa proprio in questo piccolo esercizio. “Un guscio spinto dal vento, finito”, dice Ezra Pound dell’uomo e di se stesso, maestro errante della nostra epoca, quando si approssima il ritorno:

Un guscio spinto dal vento, finito,
ma la luce canta eterna
fuoco fatuo su paludi
dove l’alga sussurra al mutar della marea.

°°°

Eugenio Montale, Barche sulla Marna,  Le Occasioni 1928-1939

Felicità del sùghero abbandonato
alla corrente
che stempra attorno i ponti rovesciati
e il plenilunio pallido nel sole:
barche sul fiume, agili nell’estate
e un murmure stagnante di città.
Segui coi remi il prato se il cacciatore
di farfalle vi giunge con la sua rete,
l’alberaia sul muro dove il sangue
del drago si ripete nel cinabro.
Voci sul fiume, scoppi dalle rive,
o ritmico scandire di piroghe
nel vespero che cola
tra le chiome dei noci, ma dov’è
la lenta processione di stagioni
che fu un’alba infinita e senza strade,
dov’è la lunga attesa e qual è il nome
del vuoto che ci invade.

Il sogno è questo: un vasto,
interminato giorno che rifonde
tra gli argini, quasi immobile, il suo bagliore
e ad ogni svolta il buon lavoro dell’uomo,
il domani velato che non fa orrore.
E altro ancora era il sogno, ma il suo riflesso
fermo sull’acqua in fuga, sotto il nido
del pendolino, aereo e inaccessibile,
era silenzio altissimo nel grido
concorde del meriggio ed un mattino
più lungo era la sera, il gran fermento
era grande riposo.
                              Qui… il colore
che resiste è del topo che ha saltato
tra i giunchi o col suo spruzzo di metallo
velenoso, lo storno che sparisce
tra i fumi della riva.
Un altro giorno,
ripeti – o che ripeti? E dove porta
questa bocca che brùlica in un getto solo?
La sera è questa. Ora possiamo
scendere fino a che s’accenda l’Orsa.

(Barche sulla Marna, domenicali, in corsa
nel dì della tua festa).

Il pessimismo è trasparente, la poesia è marcata, nelle sue strutture portanti, da un richiamo al vuoto, non ci sono dubbi. Questo è forse il Montale più leopardiano che è dato incontrare ("il momento di leopardismo più organico in Montale", Mengaldo). Il viaggio in barca o lo scorrere del fiume sono metafore della vita che va verso il nulla. Non è però questo l’unico filo conduttore del discorso. C’è uno splendido idillio iniziale e in chiusura della terza strofa prende forma una immagine della felicità niente affatto giocata sull’esplosione del desiderio, come avveniva in Baudelaire, ma più contemplativa e estatica. “Il sogno è questo”… è una espressione perfetta dell’armonia con il mondo: occorre di rado, nella vita, ma quando si palesa converte il presente immediato nell’eterno. (Giovanni Carpinelli