Che cosa può essere successo. Lucia Annunziata trova sul New York Times un articolo che, partendo dall'ultima decisione di Biden sui missili, arriva a predire la sconfitta dell'Ucraina. Probabilmente quel pezzo è solo un tentativo per suscitare allarme e determinare una più generosa consegna di armi all'Ucraina. Poco importa, nella versione della giornalista italiana siamo a una svolta, gli Usa abbandonano l'Ucraina al suo destino. Lucia Annunziata, a quanto pare, non è abituata a distinguere tra capacità operativa e risorse strategiche. Nell'immediato un rafforzamento delle posizioni russe si può produrre. Nel lungo termine i russi non hanno le risorse per tenere l'Ucraina tutta sotto il loro controllo, mentre finché dura il sostegno degli Usa l'Ucraina può sempre mantenere una superiorità certa nella qualità dei suoi armamenti. Però l'occasione offerta dall'articolo del NYT era troppo bella. Ci si schierava con i falchi americani che vogliono umiliare Putin e, al tempo stesso, si rendeva omaggio alla mitica potenza russa. Un colpo al cerchio e uno alla botte, facendo finta di nulla. .
Lucia Annunziata, Biden accorcia il tiro dei missili così si indebolisce la risposta di Kiev, La Stampa, 3 giugno 2022
Qual è la differenza fra 40 miglia e 190
miglia? Dipende da dove guardate a questa differenza. Se siete in
viaggio, in questo lungo ponte italiano, si tratta di 64 chilometri
invece di 305, diciamo dunque che da Roma (uso la città dove abito
perché mi ci muovo meglio) è la differenza tra andare al mare sul
litorale, e andare a Bologna (376 chilometri). Se siete a Washington, i
Generali che stanno consigliando il Presidente Americano vi diranno che è
la differenza fra una provocazione ai Russi, e il giusto diritto alla
difesa di Zelensky e del suo popolo. Se siete nel Donbass non perdete
tempo a rispondere alla domanda e correte verso un rifugio: la
differenza fra quelle miglia per molti di voi sarà la distanza fra
vivere e morire.
La politica
internazionale e la Guerra (mondiale?) scatenata da Putin in Ucraina ha
raggiunto infine questo livello: il calcolo dei chilometri come misura
di quello che si può fare e non fare; il calcolo dei chilometri per
giustificare la legittimità o meno di un'arma letale – e della
Resistenza.
A questo nonsense si
riduce l'illustrazione delle recenti decisioni di Joe Biden. Una
settimana fa annunciò di aver deciso di inviare in Ucraina una potente
arma a medio-lungo raggio: il Army Tactical Missile System, capace di
lanciare missili guidati a 190 miglia. Per poi cambiare opinione e fare
un'altra offerta: inviare il sistema High Mobility Artillery Rocket
System (Himars), che si tratta sempre di missili ma di breve gittata,
cioè solo 40 miglia.
Differenza tutta
politica che non è sfuggita a chi guarda alle armi di mestiere. Ci si
sono messi infatti ben tre giornalisti di rango del New York Times a
scrivere un articolo, pubblicato il primo giugno, in cui raccontano le
ragioni di questa "oscillazione" di Biden. «La decisione è stata presa
sulla base di valutazioni dell'Intelligence», scrive il quotidiano che
in questa guerra ha assunto il lead del sostegno al Presidente Biden.
«Nel corso di tutto il conflitto, le agenzie di intelligence hanno dato
alla Casa Bianca analisi su come avrebbe reagito Putin ai vari invii di
armi. Tutto il Governo ha valutato la saggezza della decisione di
inviare all'Ucraina la più nuova artiglieria di missili di precisione
capaci di colpire obiettivi a più di 40 miglia di distanza». L'articolo
apre a questo punto una parentesi per precisare : «(rappresentanti del
governo hanno invece escluso un altro sistema, il Army Tactical Missile
System a missili guidati, che può volare quasi 190 miglia – per paura
che potrebbe essere usato per colpire obiettivi in profondità dentro la
Russia)».
La decisione, continua il
New York Times, ha a che fare con le parole della responsabile della
intelligence Usa, Avril Haines, che nel rapporto alla Commissione Forze
Armate del Senato (vedi La Stampa del 13 maggio) aveva sostenuto:
«Appoggiamo l'Ucraina, ma non vogliamo arrivare alla Terza Guerra
Mondiale». Questo è dunque il processo di cui parliamo: Biden ha scelto
un'arma difensiva, invece che offensiva. E ha mantenuto il suo impegno,
sottolinea il giornale newyorchese.
In
altre parole, traducendo questo passaggio nel nostro corrente dibattito
nazionale, il Presidente si è smarcato dall'uso aggressivo della
propria forza, come molti critici degli Stati Uniti gli hanno finora
rimproverato. Scopriremo forse che Washington ha ascoltato queste voci
italiane? I molti professori ed esperti di casa nostra dovrebbero essere
contenti. Lo saranno?
Viceversa,
possono essere contenti gli ucraini e i sostenitori della loro
battaglia? Se si guarda alle attuali sorti della occupazione russa, la
tattica della conquista dell'intero Sud da parte dell'esercito di Mosca è
profondamente cambiata. Dopo il fallimento dell'offensiva nel Nord, i
Russi si sono concentrati sulla conquista delle aree considerate
territorio russo nel Sud. Attaccando una per una ogni città sul
percorso, con bombardamenti a fondo dell'intero abitato. Tattica usuale
per la Russia, e particolarmente efficace in un'area così circoscritta, e
indifesa.
Un tentativo di
controffensiva da parte degli Ucraini per riprendersi il territorio
conteso al Sud, «sarebbe un suicidio» ha detto Zelensky. Gli ucraini non
solo mancano di uomini, dopo le tante perdite, ma non hanno le armi
giuste: finora hanno vinto infatti con armi leggere, come i Javelin,
contro i carri armati. Per fermare invece una avanzata massiccia e
concentrata come quella messa in atto dai russi nel Sud-Est, avrebbero
bisogno di una copertura aerea, oppure di un sostenuto impiego di
missili di precisione per distruggere i siti da cui si muove il
bombardamento. Il sistema che l'America ha deciso di inviare fornirà
questo aiuto?
Non proprio. Una cosa è
infatti usare missili di precisione da lontano, cioè da 305 chilometri
(quasi a metà strada fra Kiev e il Donbass), per costruire un efficace
fuoco di sbarramento dell'avanzata dei russi, senza correre troppi
rischi per un esercito sfiancato come quello ucraino. Altro è impiegare
razzi da 64 chilometri, distanza troppo ravvicinata fra i due eserciti
per evitare il rischio di un eventuale scontro diretto. Dunque, gli
ucraini avranno le armi ma probabilmente non avranno la forza di fermare
la conquista, bensì solo di attenuarne l'impatto.
Tutto
questo è poco più di un banale calcolo matematico. Tuttavia, come si è
letto, il New York Times conferma il valore di questi calcoli. La
conclusione è una sorta di non senso militare, figlio di un non senso
politico: aiutare un popolo invaso ma solo fino a un certo punto; solo
dentro la gabbia rassicurante di un non eccesso di aggressività
(imperialista Usa) contro un altro Paese (imperialista Russia) che però
ha evidentemente maturato con la sua invasione il diritto a non essere
troppo maltrattato. La drastica sconfitta delle truppe russe di Kiev e
del Nord, viene in queste settimane "premiata" infatti da
quell'Occidente, considerato dai suoi critici così "aggressivo", con una
educata attenzione a non disturbare troppo il manovratore. Il
presidente russo Vladimir Putin, dopotutto, stacca gli scontrini del
costo internazionale della crisi.
Insomma, non si sa quanto durerà questa guerra in Ucraina, ma la sua conclusione appare sempre più già scritta. —
La stessa notizia poteva essere presentata in tutto un altro modo.
Cecilia Sala,
Il riposizionamento. Le scelte difficili ma chirurgiche degli ucraini contro le forze russe. La strategia a sud, per Kherson, Il Foglio, 4 giugno 2022
Roma.
Kyiv sta pensando di posizionare alcuni Himars degli americani (i
lanciarazzi che colpiscono con precisione fino a 80 chilometri di
distanza) non in Donbas ma nel sud, in direzione della città di Kherson.
I russi la occupano dal 2 marzo, nell’ultima settimana la
controffensiva per liberarla ha aumentato la velocità e ripreso 20
piccoli villaggi avanzando di 8 chilometri. Ieri il sito d’informazione
indipendente russo Conflict Intelligence Team diceva che il generale
Alexander Dvornikov, il capo di tutte le operazioni in Ucraina, è stato
rimosso. E il Times ha scritto che mentre Mosca si concentra su
obiettivi simbolici, gli ucraini fanno un uso razionale delle risorse a
disposizione e pensano alle riconquiste strategiche. Kherson è una di
queste: è importante per il porto sul Marnero ed è lo sbocco dalla
Crimea dove passa unadelle direttrici più efficaci dell’invasione. Senza
Kherson, non ci sarebbe più il corridoio che collega il Donbas alla
penisola occupata.
E finirebbe il
controllo russo sulla foce del fiume che porta acqua alla Crimea.
Soprattutto, Kherson ha un ruolo chiave nel determinare la capacità di
Mosca di lanciare un’altra invasione in futuro. Cacciare gli occupanti
avrebbe anche un effetto psicologico: darebbe ai soldati di Putin la
sensazione di dover ricominciare sempre da capo e di aver perso qualcosa
di prezioso in cambio di distese pianeggianti, villaggi ormai
praticamente disabitati e quasi interamente distrutti nel Donbas.
L’ipotesi del Times si può riassumere così: i russi sono più forti, ma
gli ucraini sono più furbi. Nell’est, Mosca ha sfondato le linee di
difesa dell’esercito di Kyiv e controlla i quattro quinti di
Severodonetsk, che aveva centoventimila abitanti ma già dal 2014 si è
progressivamente impoverita e svuotata, oggi sono rimaste poche migliaia
di persone e il 70 per cento dei palazzi è danneggiato o distrutto. Gli
ucraini si stanno riposizionando nella città gemella di Lysychansk –
più facile da difendere perché sull’altra sponda del fiume Severij
Donec, che fa da barriera naturale, e perché si sviluppa su una collina.
Nell’ultima settimana si è detto spesso che Severodonetsk sarebbe stata
la nuova Mariupol, ma morire per Severodonetsk non ha senso e
l’esercito ucraino sa che la battaglia nell’est è una guerra di
logoramento in cui non contano solo le conquiste territoriali, ma
infliggere il maggior numero di perdite al nemico affinché non si possa
permettere una fase ulteriore del conflitto (ad esempio se, conquistato
il Donbas, i russi tornassero da nord) e si presenti più arrendevole ai
colloqui diplomatici. Le forze ucraine schierate lì sono quelle della
Joint Forces Operation (Jfo), allenate a combattere da otto anni e
composte dagli uomini migliori: Kyiv non si può permettere di perderle
(farebbe il gioco dei russi, che fin dal primo giorno puntavano ad
accerchiare e annientare i soldati della Jfo) e per questo arretra. Il
consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak, che fa
parte della delegazione ucraina ai colloqui con la Russia, ha detto che
né il suo paese né la Russia “avranno un senso di vittoria fino
all’autunno-inverno”. Se, mentre Mosca avanza in Donbas, arrivasse la
notizia della liberazione di Kherson, Putin smetterebbe di apparire in
vantaggio.
Sui canali Telegram filorussi
circola un video girato dal 113° reggimento delle forze separatiste di
Donetsk in cui i soldati si lamentano con Putin di essere stati
abbandonati, di non avere medicine, e di essere “gettati al massacro
senza armi adeguate” nella difesa della regione di Kherson. Dove – da
quando il Cremlino ha detto che il vero scopo della “operazione
speciale” era conquistare il Donbas – ci sono meno soldati dell’esercito
regolare di Mosca e più milizie che non sono altrettanto efficaci in
combattimento.
La controffensiva in
direzione di Kherson sta cambiando passo e la fretta è dovuta anche alla
minaccia di un finto referendum per annetterla alla Federazione russa:
alcuni parlamentari della Duma dicono che potrebbe tenersi già a luglio.
Liberare Kherson ribalterebbe la percezione della situazione sul campo e
quindi i rapporti di forza: ciò che conta ai tavoli del negoziato. Il
31 maggio Joe Biden ha scritto un editoriale sul New York Times: “Come
ha detto il presidente Zelensky, la guerra ‘finirà solo attraverso la
diplomazia’”. Ma, visto che ogni trattativa riflette gli eventi sul
campo, “ci siamo mossi per inviare all’ucraina una quantità
significativa di armi, in modo che possa essere nella posizione più
forte possibile al tavolo dei negoziati. Ecco perché ho deciso di
fornire sistemi missilistici più avanzati”. Biden si riferisce appunto
agli Himars, l’arma più potente mai inclusa nei pacchetti di aiuti della
Casa Bianca: per ora sono solo quattro (quindi bisogna scegliere con
cura dove piazzarli), ma sono già in Europa ed è cominciato
l’addestramento che durerà tre settimane, poi entreranno in azione.
Secondo fonti della Difesa ucraina, almeno uno di fronte a Kherson.
Nessun commento:
Posta un commento