Michele Ainis, Il partito prêt-à-porter, la Repubblica, 23 giugno 2022
Renzi,
Bersani, ora Di Maio. L’ex capopartito che fonda un nuovo partito,
dopo essere stato emarginato dal suo vecchio partito. Un tempo sarebbe
parsa una bestemmia. I leader della Democrazia cristiana — da Fanfani a
Moro, da Andreotti a Forlani — attraversavano stagioni alterne, un anno
in maggioranza l’anno dopo in minoranza, senza mai rompere il vincolo di
fedeltà con il partito. Ma la fedeltà, diceva Oscar Wilde, non è che
assenza d’immaginazione. E i nuovi leader d’immaginazione ne hanno pure
troppa, s’immaginano al comando di un’armata, ripetono la massima del Re
Sole (L’État c’est moi),
presumono
che il loro destino individuale coincida con i destini del Paese. Ma da
dove trae alimento questo nuovo costume? E con quali conseguenze?
In primo luogo, è il frutto avvelenato della società post-ideologica,
orfana delle ideologie che avevano marcato il Novecento. Sicché il
leader non è più il rappresentante di valori condivisi, bensì un
aggregatore, un capo carismatico che offre in pasto il suo faccione al
popolo votante. Da qui il fenomeno dei partiti personali, che d’altronde
riecheggia in tutto il mondo. Anche se poi gli esiti dipendono dalla
tempra del leader: in Francia Macron ha condotto En Marche a un doppio
successo, negli Usa gli insuccessi di Trump travolgono i repubblicani.
Ma almeno in questo, noi italiani siamo precursori. Il primo fu Silvio
Berlusconi, nel 1994; e trent’anni dopo è ancora lì. Gli altri — dalla
lista Dini al Patto Segni, ai partiti fondati da Mastella, Fini, Monti —
hanno danzato per una sola notte.
In secondo luogo, gioca l’ambiente istituzionale nel quale siamo
immersi. Dove le assemblee rappresentative d’ogni ordine e grado — dal
Parlamento ai Consigli comunali — hanno perso autorità e prestigio,
cedendo le proprie competenze al sindaco, al governatore regionale, al
premier. Un processo che dura ormai da tempo, rafforzato però
dall’emergenza, dalla doppia calamità che ci è toccata in sorte: prima
il Covid, poi anche la guerra. Da qui un’onda di paura, da qui la voglia
d’affidarsi a un salvatore della patria. Mestiere interessante, ma non privo di pericoli, come sperimentò già Mussolini, finito appeso a testa in giù. Memori di quell’esperienza, i suoi epigoni preferiscono togliersi di
torno un minuto prima dell’esecuzione, cambiando casa e partito.
In terzo luogo, la capocrazia — ossia il regime di poteri individuali
che ha soppiantato la democrazia costituzionale — è un effetto delle
leggi. Anzi, dell’assenza di una legge (quella sui partiti) e della
nefasta permanenza di un’altra legge (quella elettorale). Per ottenerne
la prova, basta allungare gli occhi sulle regole in vigore presso il
Movimento 5 Stelle all’epoca in cui Di Maio ne era il «capo politico»,
secondo l’espressione usata per 17 volte nei 7 articoli del loro
regolamento. Dove il capo dettava i temi da sottoporre al voto online,
ma poteva far ripetere la votazione, se il risultato gli fosse sgradito.
Sceglieva i probiviri, anche in questo caso però con facoltà
d’annullare a suo capriccio le sanzioni disciplinari. E aveva poteri di
nomina, d’autorizzazione rispetto a qualsivoglia iniziativa, di
controllo su ogni respiro di ogni militante.
Ma soprattutto al capo — dei 5 Stelle così come degli altri partiti —
dal 2005 in poi la legge elettorale consegna il potere di decidere gli
eletti, sottraendolo di fatto agli elettori. Liste bloccate, ecco
l’artificio. Ed ecco probabilmente la ragione di quest’ultimo divorzio,
come ha scritto ieri Francesco Bei. Per Di Maio e per i suoi 62 seguaci,
ora che il pallino sta nelle mani di Conte, la ricandidatura era
divenuta una chimera. Non è detto, però, che a questo punto la loro
rielezione sia un fatto scontato. L’esperienza di Matteo Renzi (dal 40%
del Pd al 2% su cui viaggia Iv) non è troppo incoraggiante. Difatti
queste transumanze muovono pezzi di ceto politico, ma per lo più
lasciano immobile il corpo elettorale. Perché ormai si è rotto
l’incantesimo, e perché in politica, come negli affari di cuore, gli
elettori non s’innamorano due volte della stessa persona.
Nessun commento:
Posta un commento