domenica 25 giugno 2023

Il golpe di Prigozhin





Lorenzo Santucci, Anna Zafesova: "È un golpe in piena regola. E comunque vada Putin ne uscirà malissimo", Huffpost, 24 giugno 2023

“I media italiani fanno fatica a chiamare le cose con il loro nome. Quello in corso è un golpe”. La giornalista Anna Zafesova, intervistata da Huffpost, va dritta al punto. Nel momento in cui venticinquemila uomini armati fino ai denti occupano una città da un milione di abitanti, crocevia fondamentale per le operazioni in Ucraina e per il controllo della Russia meridionale, chiamarla in modo diverso sarebbe riduttivo. Per questo, comunque andrà a finire, Vladimir Putin ne uscirà con le ossa rotte. Di fronte qualsiasi esito, l’immagine dello Zar sarà fortemente indebolita perché, che lo si voglia credere o meno, il tentativo di colpo di Stato è reale. Quindi, fuori dal suo controllo. Le variabili per il suo successo sono tante e, di conseguenza, potenzialmente difficili da concretizzarsi. Una cosa è certa: quello che sta accadendo sul territorio russo avrà inevitabili conseguenze su quello ucraino.

Anna Zafesova, a questo punto la domanda è come si posizionerà l’esercito, se con Putin o contro di Putin. Può essere l’ago della bilancia?
Credo che la vera chiave siano i servizi segreti e il cerchio magico putiniano. Abbiamo già visto che l’esercito non ha gran voglia di combattere. Un conto è farlo per la Russia in Ucraina, dove già lo fanno non di buon grado, un conto per un’apparente faida tra Prigozhin e Shoigu. Per di più, sul loro territorio. Secondo me sarà più interessante vedere dove si schiereranno i poteri forti, per utilizzare un termine italiano. E poi, quale esercito? È vero che nella storia russa i colpi di Stato sono stati portati avanti anche da piccoli gruppi militari, ma Putin dovrebbe richiamare soldati dall’Ucraina per fermare la Wagner, sguarnendo così il fronte. A meno che non voglia bombardare le proprie città: uno scenario che, oltre a essere inquietante, non so dove possa portarlo.

Che significato assume la presa di Rostov?

Si tratta di un esercito che è entrato in una città chiave per controllare il sud della Russia e il Caucaso, oltre che per la guerra. Inizialmente, alcuni l’hanno confusa con la Rostov che si trova a nord – distano circa 1.500 km l’una dall’altra, ndr – ma non è la stessa cosa. Mentre quella è paragonabile con la cittadina italiana di Orvieto, in questo come è come prendere Torino. Qui si controlla il Sud della Russia.

C’è chi crede che sia tutto organizzato.

I media italiani hanno fatto fatica a chiamare le cose come stanno: è un golpe. Possono esserci analogie con quello architettato da Recep Tayyip Erdogan, ma la differenza è che il presidente turco aveva ed ha un’opposizione organizzata, mentre Putin no. Per lui non c’è bisogno di un casus belli per dichiarare, ad esempio, la legge marziale o licenziare Shoigu. Tutto questo si poteva organizzare a freddo o con un omicidio clamoroso, come già fatto in passato. Non c’era bisogno di creare una rivolta armata, che distrugge la sua immagine anche se riuscisse a domarla.

Alcune notizie parlano di una fuga di Putin. È uno scenario già così realistico, dopo appena poche ore dall’inizio del colpo di Stato?

Tutto è possibile, dal movimento degli aerei privati possiamo capire quale sarà l’esito. Nella notte abbiamo visto decollare l’aereo di Lukashenko, ma non sappiamo se fosse a bordo. Nexta – l’agenzia di stampa che copre l’est Europa, ndr - riferiva che Putin era partito per San Pietroburgo. Magari questo volo non trasportava lui ma forze speciali. A prescindere non so quanto sia una buona idea, visto che è la città natale sia di Putin sia di Prigozhin. Sarebbe meglio rifugiarsi altrove.  

Come ne uscirà?

Putin ne esce malissimo in qualunque caso. Mettiamo il caso che Prigozhin arrivi a Mosca, Putin è morto almeno politicamente. Se invece riuscisse a fermarlo, ha avuto comunque un golpe in casa. Anche perché Prigozhin è il frutto del sistema putiniano, ovvero la sostituzione dello Stato con una corte. È un ex criminale diventato ricco grazie agli appalti ricevuti, che si è costruito il suo esercito di galeotti perché Putin ha avuto l’idea geniale che un esercito privato potesse aiutarlo.

Intende dire che fidarsi e lasciargli troppo potere, alla fine, non è stata una mossa astuta.

Ha fatto uscire il genio dalla lampada e poi gli ha chiesto di rientrare. È impossibile. Non poteva immaginare che sarebbe rimasto tutto sotto il suo controllo. Nel caso in cui dovesse riuscire a eliminare Prigozhin, quindi scatenando una guerra civile, ne uscirà tremendamente indebolito.

E se fosse Prigozhin a fermarsi?

Anche se il capo della Wagner si rendesse conto di non avere le forze e vorrà tenersi Rostov per trasformarla in una Repubblica dei pirati, uno scenario che rimane plausibile, Putin non avrebbe problemi morali a bombardare una sua città. Non so tuttavia quanto lo voglia l’esercito.

Le lancio una provocazione. E se dietro tutto questo ci fosse lo zampino dell’Occidente, che ha soffiato sul fuoco delle divisioni interne per rovesciare il regime di Putin?

Ne dubito. Forse Prighozin qualche contatto lo ha anche cercato, ma credo con più probabilità che si sia sentito con Kiev. Questo è più probabile. Se vuole andare a Mosca, deve inevitabilmente sentire i nemici della Russia. Le sue parole di ieri sulle falsità della guerra propagandate dal ministero della Difesa, ma soprattutto sul falso motivo per cui Mosca ha lanciato l’invasione, lasciano intendere che prima di affermare cose del genere si sia confrontato con gli ucraini. La loro posizione ufficiale è che più la Russia si indebolisce, più gli conviene. Ora non possono non approfittarne. E poi c’è un altro elemento che mi porta a dire che c’è stato un contatto tra Prighozin e Kiev.

Quale?

Pochi giorni fa c’è stato un attacco di droni alle porte di Mosca, di cui si è parlato poco perché ormai sono ordinaria amministrazione fin quando non colpiscono un bersaglio. Ma questi in particolare sembravano diretti contro la base della divisione carrista dell’esercito russo, quella che normalmente interviene nel caso di un golpe a Mosca. Mi chiedo: è una coincidenza che rientra nella logica della guerra o un tentativo di mettere fuori gioco la più probabile linea di difesa nel caso di un colpo di Stato? Per Kiev è naturalmente un’opportunità. La domanda è se stanno guardando ciò che accade con i popcorn in mano o se ci sia qualcosa di più su un loro coinvolgimento.


Marco Di Giovanni

Close to the edge
Non tentativi di previsione – acrobatici - ma messa a punto dello scenario
Quella di Prigozhin si racconta e si presenta come una rivolta dei combattenti, traditi dalla corruzione di – almeno alcune parti – del sistema. Si alimenta dell’orgoglio ferito nazionalista ma può raccogliere mille altri orientamenti.
Parte da un conflitto crescente con l’apparato militare che Putin aveva rimesso formalmente, da ottobre, alla guida della disarticolata catena di comando originaria della Operazione militare speciale. La contraddizione si pone di fronte a un attore semi-privato che incarna una funzione di supplenza alla mancata mobilitazione statuale sul piano del reclutamento di massa. Non una classica compagnia alla Blackwater, come taluni improvvidi suggeriscono, dimenticando lo scenario della Federazione, dove ancora vige la prestazione di leva.
Affidarsi ai privati su basi di massa in questo scenario significa delegare un ruolo di peso notevole. Peso accresciuto dal ruolo operativo preponderante che è stato lasciato alla carne da cannone di Wagner nelle spinte offensive invernali, costosissime ma prive di sbocchi. Promesse che alimentano una diffusa frustrazione combattentistica.
Il processo di “reinquadramento” che le norme stringenti imposte dallo Stato maggiore russo prevedevano per il 30 giugno hanno portato alla rottura di una corda da tempo assai tesa. Si è aperta la strada ad una ribellione che non nega di per sé la guerra, ma se mai ne denuncia la approssimativa conduzione, rivelatrice di anni che hanno, come spesso avviene nelle autocrazie, divaricato i fatti, le effettive disponibilità e capacità, dalle roboanti rivendicazioni di potenza.
Delusione nazionalista allora. Non Mussolini e la marcia su Roma, allora (i soliti improvvidi), ma una sorta di Principe Borghese che riarticola ambizioso la sua Decima Mas per proseguire la guerra contro il tradimento e/o chiudere i conti con i traditori. Le due cose non si escludono.
Su questo l’Ucraina riflette e osserva, pronta a cogliere le occasioni (che richiedono tempi operativi a valle di una disarticolazione eventuale, ancora da materializzare, del dispositivo difensivo russo). Ma osservare anche il profilo che assumeranno gli attori sul piano politico, evitando, con azioni azzardate, una possibile onda di ricompattamento patriottico.
Di fronte alla crisi dell’estate del 1917 - Kornilov, il governo Kerenskij, il dualismo con i Soviet - la Germania imperiale sospese la sua spinta, con la sola eccezione dell’offensiva sperimentale di Riga, in attesa che i frutti di una guerra insostenibile per la Russia e del conflitto tra le diverse alternative si materializzassero.
Il tempo della nostra età è denso ma necessita comunque di venire elaborato.
 



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