Andrea Carugati, L’incubo di Calenda: sognava Macron, è finito Moratti, il manifesto, 15 febbraio 2023
Lui si percepiva come la novità della politica italiana. Il Macron che si mangia le «anime morte» del Pd, il re della competenza e del merito contro i politici di professione, l’imperatore delle Ztl, lo strafottente di indiscusso talento, la concretezza fatta persona. Il successo alle comunali di Roma del 2021 aveva ubriacato Carlo Calenda. Poco più di un anno dopo il terribile epilogo: nel Comune di Roma Calenda è passato da 193mila voti a 37mila. Un pallone sgonfiato.
E poi La Lombardia. Quanti editoriali, quanti elogi per la sua scelta di puntare su Lady Letizia Brichetto Moratti in fuga dalla Lega. Quante pressioni sui poveretti del Pd, che hanno rischiato di cascarci. «Con Moratti prenderemo i voti della destra». Un po’ come quando, a inizio agosto, Enrico Letta disse che Calenda (per un paio di giorni alleato del Pd alle politiche) sarebbe stato «un magnete per i voti di centrodestra in uscita». Salvo poi limitarsi a soffiare qualche voto dei quartieri alti proprio al Pd.
Moratti si è rivelata un flop clamoroso, con la lista dei due ego ipertrofici al 4,2%, meno della metà di pochi mesi fa. E ieri, in uno dei suoi moti di stizza su Twitter, Calenda è sbottato: «Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione. Altrimenti non saremmo messi così». Messi male, anzi malissimo. «Sostengo da sempre che votiamo per ragioni sbagliate: appartenenza e moda». Chissà, forse dalle parti dei Parioli o a Capalbio la moda ha un suo peso anche in cabina elettorale.
Il suo socio Matteo Renzi è sparito da radar per tutto lunedì e fino al tardo pomeriggio di ieri. Qualcuno dice in Giappone, forse a Riyad. Chissà. Per poi uscirsene con una e-news in cui sussurra che «il risultato è peggiore delle aspettative, ma è fisiologico per consultazioni come le regionali».«Il nostro destino si conferma la casa comune dei riformisti in vista delle elezioni europee del 2024 dove sarà tutta un’altra musica»!, chiosa Renzi, per rassicurare #calendastaisereno che il cammino comune non si fermerà. «Il percorso è segnato, rapido e irreversibile», assicura il renzianissimo Ettore Rosato con piglio marziale.
Calenda, dopo aver imbarcato Gelmini e Carfagna e ora Moratti, ora pare si sia convinto a richiamare Benedetto della Vedova di + Europa, dopo averlo coperto di contumelie quando questi scelse il Pd in agosto. «Ce ne siamo dette di tutti i colori, ma +Europa deve stare in questo processo politico, non può non esserci», l’opinione dell’ex pupillo di Montezemolo. Alla Ferrari, naturalmente.
Una rossa che nei giorni scorsi lo ha fatto litigare con Renzi. Che, con la consueta modestia, ha parafrasato la revenge song di Shakira contro l’ex marito Piqué: «Al Pd avevano me e Calenda e ora hanno Speranza. Come scambiare una Ferrari con una Twingo». Ieri Calenda ha battuto il suo socio in sobrietà: «Non mi ritengo una Ferrari, non ho condiviso quella battuta di Renzi. Il mio obiettivo non è distruggere il Pd ma unire riformisti e liberali».
Segue un’altra autocritica: «L’assunto era che Moratti riuscisse a prendere i voti dei cittadini di destra insoddisfatti dalla gestione di Fontana: giudizio errato. Io nella mia vita quando qualcosa non va tendo ad ammetterlo in maniera candida».
Parole certamente più equilibrate di quelle di Renzi. Resta però in Calenda l’ossessione di voler diventare il «perno» di coalizioni che «riescono a governare il Paese». A prescindere da quali interessi tutelare. Anzi no, a tutela dei più forti me senza ammetterlo mai. Nell’illusione che anche Meloni, come le altre mode, passerà presto e gli italiani andranno dolenti a Canossa per scusarsi con lui. Che continua a non concepire l’idea di un sano conflitto tra destra e sinistra, imprigionato nella sua narrazione impolitica che lo ha fatto affondare.
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