martedì 9 maggio 2017

Sono nella musica


Siamo in un modesto locale della provincia francese (J.-P. Sartre, La nausea, 1938, Mondadori, Milano 1984, pp. 48-50). Qui, grazie al piccolo gesto di una cameriera che gira la manovella di un fonografo, sta per compiersi un miracolo della sospensione destinato a durare il tempo di una canzone ma a perdurare nel tempo della memoria e della coscienza. 
Antoine Roquentin, il protagonista del romanzo, crede che da quel fonografo stiano per sopraggiungere le note  della “Cavalleria rusticana”, com’è accaduto alcuni giorni prima.  Ma no, non è la Cavalleria.  E’ il jazz, anzi più precisamente “un vecchio ragtime”  anni ’20, “Some of these days”, cantato da una donna di colore con una voce graffiante, con un bel ritornello che “si getta avanti come una scogliera contro il mare”, il ritmo è suadente e incalzante, “tanto è forte la necessità di questa musica che nulla può interromperla, nulla che provenga da questo tempo dove il mondo s’è arenato”.
Quello che accade a Roquentin è che la sua nausea, quella nausea che sente dentro di sé, fuori di sé, attorno a sé, che accompagna malinconicamente le sue giornate, che morde col tedio la sua vita, “ è scomparsa … Di colpo … Nel tempo stesso la durata della musica si dilatava, si gonfiava come una tromba d’aria. Colmava la sala con la sua trasparenza metallica. Schiacciando contro i muri il nostro tempo miserabile. Io sono dentro la musica”. E fuori dall’esistenza. (Stefano Cazzato)

http://www.romainjazz.it/index.php/editoriale/53-sartre-tempo-della-musica

Maddalena gira la manovella del fonografo. Purché non si sia sbagliata, purché non abbia messo come l'altro giorno la romanza della Cavalleria rusticana. No, è proprio questa, riconosco il motivo dalle prime battute. E' un vecchio ragtime con ritornello cantato. L'ho sentito fischiettare da soldati americani per le vie di La Rochelle. Dev'essere di prima della guerra. Ma l'incisione è molto più recente. Con tutto ciò è il più vecchio disco della collezione, un disco Pathé con punta di zaffiro. 
Tra un momento ci sarà il ritornello: è sopratutto questo che mi piace e la maniera improvvisa con cui si getta avanti come una scogliera contro il mare. Per ora suona soltanto il jazz, non v’è melodia, solo note, una miriade di piccole scosse. Non hanno sosta, un ordine inflessibile le fa nascere e le distrugge, senza mai lasciar loro l’agio di riprendersi, di esistere per se stesse. Corrono, s’inseguono, passando mi colpiscono con un urto secco, e s’annullano. Mi piacerebbe trattenerle, ma so che se arrivassi ad afferrarne una, tra le dita non resterebbe che un suono volgare e languido. Devo accettare la loro morte; devo perfino volerla: conosco poche impressioni più aspre e più forti.
Comincio a riscaldarmi, a sentirmi felice. Non è ancor nulla di straordinario, è una piccola felicità di Nausea: si estende sul fondo della pozza vischiosa, sul fondo del nostro tempo - il tempo delle bretelle color malva e delle panche sfondate -  è fatto d'istanti larghi e molli, che ai margini s'allargano in una macchia oleosa. Appena nato è già vecchio, mi per di conoscerlo da vent'anni.
C'è un'altra felicità: esternamente, v'è questa striscia d'acciaio, l'esigua durata della musica che traversa il nostro tempo da parte a parte, e lo respinge, e lo lacera con le sue secche, piccole punte; c'è un altro tempo.
- Il signor Randu gioca cuori, e tu passi la maniglia.
La voce scivola e sparisce. Nonv'è nulla che morda sul nastro d'acciaio, né la porta che si apre, né la zaffata d'aria fredda che scorre sulle mie ginocchia, né l'arrivo del veterinario con la sua nipotina: la musica buca queste forme vaghe e passa attraverso. Appena seduta, la bambina è stata afferrata: si tiene rigida, i grandi occhi aperti, ascolta strofinando il pugno sulla tavola. 
Ancora qualche secondo e la negra concerà a cantare. Ciò sembra inevitabile, tanto forte è la necessità di questa musica: nulla può interromperla, nulla che provenga da questo tempo ove il mondo s'è arenato; cesserà da sé, più tardi. Questa bella voce mi piace non per la sua pienezza o per la sua tristezza, ma specialmente perché è l'avvenimento che tante note hanno preparato, tanto in anticipo, morendo per farla nascere. E tuttavia sono inquieto; basterebbe così poco perché il disco s'arrestasse: che si spezzasse una molla, che il cugino Adolfo avesse un capriccio. Com’è strano, com’è emozionante che questa durezza sia così fragile. Nulla può interromperla e tutto può spezzarla.
L'ultimo accordo s'è annullato. Nel breve silenzio che segue sento acutamente che ci siamo, che è accaduto qualcosa. 
Silenzio.

Some oh these days 
You will miss me honey. 


Quello che è accaduto è che la Nausea è scomparsa. Quando la voce s’è levata, nel silenzio, ho sentito il mio corpo indurirsi e la Nausea è svanita. Di colpo: è stato quasi doloroso diventar così duro, tutto rutilante. Nel tempo stesso la durata della musica si dilatava, si gonfiava come una tromba d’aria. Colmava la sala con la sua trasparenza metallica, schiacciando contro i muri il nostro tempo miserabile. Io sono dentro la musica. Negli specchi roteano globi di fuoco; anelli di fumo li circondano velando e svelando il duro sorriso della luce. Il mio bicchiere di birra s'è rimpicciolito, si accoscia sulla tavola: ha un aspetto denso, indispensabile. Voglio prenderlo e soppesarlo, stendo la mano... Mio Dio! E' questo, soprattutto, che è cambiato, sono i miei gesti.

Nessun commento:

Posta un commento