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lunedì 30 settembre 2024

Mussolini e il delitto Matteotti


Delitto Matteotti. Il trasporto della salma


Giovanni Sabbatucci

 È un pomeriggio caldo quello del 10 giugno 1924. Giacomo Matteotti esce di casa e non vi ritorna più. Non è di un deputato qualsiasi il corpo massacrato che verrà trovato due mesi dopo in un bosco vicino Roma. Solo dieci giorni prima della sua sparizione Matteotti ha tenuto un discorso infuocato alla Camera, contro il fascismo e l'irregolarità delle elezioni. È il leader di uno dei maggiori partiti di opposizione, forse il leader dell'intera opposizione. Non è difficile collegare i due avvenimenti, il discorso e la morte, né scoprire che gli autori del delitto, che non si sono preoccupati di cancellare le tracce, sono uomini dello stretto entourage del Duce. Ce n'è abbastanza per far scoppiare il più clamoroso scandalo politico della storia d'Italia. E ce ne sarebbe abbastanza per le dimissioni immediate del governo. Tutto sembra far credere a una crisi. Ma non è questo che accade. L'opposizione parlamentare sceglie la strada della protesta morale, il governo resiste, la maggioranza non accenna a spaccarsi, il regime si consolida. Mussolini, il trionfatore delle elezioni del '24 contro le quali aveva tuonato Matteotti, forza la sorte e instaura la 'dittatura a viso aperto'. Quel delitto che sarebbe potuto essere l'ultima occasione di arrestare il regime, ne diviene invece il punto di svolta, lo snodo decisivo. Ma quel corpo abbandonato e quel rifiuto morale si caricano di un significato simbolico. L'atto di morte del deputato Matteotti è l'atto di nascita dell'antifascismo come scelta politica ed etica.

Le responsabilità di Mussolini
Giovanni Sale, La Civiltà Cattolica, 1 giugno 2024

Quale fu la responsabilità di Mussolini nella vicenda del delitto Matteotti? Fu lui il mandante del delitto, oppure no? Ebbe una responsabilità diretta nella realizzazione dello stesso, oppure una responsabilità soltanto indiretta, vale a dire soltanto politica o morale? Il dibattito storico su questa delicata materia è ancora aperto: su essa pesano molto, al di là della lettura degli atti processuali e della documentazione che è stata pubblicata, i diversi punti di vista degli interpreti, non sempre scevri, in realtà, di partigianeria ideologica.

Secondo alcuni storici, Mussolini sarebbe stato il mandante materiale del delitto. Questa posizione è stata sostenuta in passato, spesso sulla base di motivazioni molto generiche, da diversi intellettuali di sinistra, ed è riapparsa in più recenti pubblicazioni, trovando maggiore attenzione da parte degli storici. Secondo altri, invece, a Mussolini andrebbe imputata soltanto la responsabilità morale e politica del delitto. Essi parlano dello zelo eccessivo di alcuni uomini vicini al Duce, come Marinelli e compagni, che, prendendo spunto da alcune parole – quelle riguardanti la Ceka – pronunciate da Mussolini in un momento d’ira, si decisero ad agire, nella presunzione che con quelle parole egli intendesse eliminare Matteotti. Questa posizione è stata sostenuta in sede processuale da Rossi – nemico giurato del Duce – ed è sostanzialmente condivisa anche dal maggiore biografo di Mussolini, Renzo De Felice.

La crisi politica conseguente
Giuliano Procacci, Storia degli italiani

Parve per un momento che il vuoto dovesse farsi attorno al governo, la cui complicità nell'assassinio ben pochi mettevano in dubbio. Molti distintivi fascisti scomparvero dagli occhielli delle giacche e Mussolini stesso ebbe la sensazione del proprio isolamento. Ben presto però egli ritrovò la sua baldanza, perché da una parte l'opposizione parlamentare, guidata da Giovanni Amendola, dopo aver abbandonato l'aula di Montecitorio (la cosiddetta secessione dell'Aventino), non seppe fare appello al paese e proporre una reale alternativa, paralizzata ancora una volta dalla paura della rivoluzione, e d'altra parte perché poté contare sull'appoggio del re e sulla neutralità del Vaticano. Il 3 gennaio 1925 Mussolini si presentò alla Camera per assumersi tutta la responsabilità del delitto Matteotti e per sfidarla provocatoriamente ad avvalersi della facoltà di metterlo sotto stato d'accusa. La Camera, non accettando il guanto di sfida che le veniva lanciato, segnò praticamente la propria condanna a morte e lo Stato liberale cessò definitivamente di esistere. 

Il discorso del 3 gennaio 1925   https://it.wikisource.org/wiki/Discussione:Italia_-3_gennaio_1925,_Discorso_sul_delitto_Matteotti
In viaggio con Barbero - Il Caso Matteotti (la7.it)



sabato 20 aprile 2024

Il monologo di Scurati


Antonio Scurati

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.

Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all'ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati". "Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del '24, primavera del '44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023)". "Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.