Ci
si può innamorare di una storia? Certo che sì, il fenomeno è vecchio come la letteratura, prendete l'Odissea, leggetela per la prima o per la settima volta e vedrete cosa succede. E se la storia ha per protagonista un criminale, che succede? Succede che l'amore resta, mentre l'oggetto dell'amore barcolla un po'. Si rivela un eroe abusivo, un protagonista che non è come vorrebbe apparire. La sostanza delittuosa delle imprese da lui compiute si oppone all'ammirazione tranquilla. Mariolina Bertini chiama le cose con il loro nome, non c'è che dire. Parla pure di una confessione spesso inaffidabile. Se non è vero è ben trovato, diceva Voltaire. Ma se non è vero, che cosa resta? Resta la genialità di un truffatore che si impadronisce anche del racconto e ottiene la bellezza cristallina di una apparenza sfuggente. Magnifico e miserabile: sta qui forse il fascino ambiguo del racconto.
Mariolina
Bertini,
In
questo mondo di ladri (di libri): le sfacciate imprese di Massimo De
Caro, Giacomo
Verri Libri, 28 marzo 2019
Nella
primavera del 1929, mio padre fu detenuto per tre settimane alle
Carceri Nuove di Torino, per aver firmato una lettera di solidarietà
a Benedetto Croce, insultato da Mussolini. Di quella sua breve
esperienza ricordava soprattutto due cose: le cimici –
difficilissime da debellare al ritorno a casa – e l’incontro con
un personaggio che gli era parso di un’irresistibile simpatia, il
sedicente Gran Capo Cervo Bianco, nativo americano per parte di
madre, che dopo un momento di celebrità stava scontando con qualche
anno di detenzione l’uso disinvolto dei fondi devoluti da certe
credule contesse alla causa della Cultura Pellerossa. Il ricordo
divertito, quasi affettuoso, che mio padre aveva di quel compagno di
prigionia, definito dagli psichiatri del tempo “mattoide” e
“bugiardo patologico”, mi è tornato in mente leggendo Max
Fox o le relazioni pericolose (Einaudi,
2019, pp. 310, € 20), la ricostruzione biografica dedicata da
Sergio Luzzatto a Massimo De Caro, bibliofilo e falsario che,
nominato nel 2011, grazie a Dell’Utri, direttore dell’antica
biblioteca napoletana dei Girolamini, approfittò del suo ruolo per
svuotarne gli scaffali, convogliando verso la collezione del suo
protettore e verso il mercato antiquario internazionale migliaia di
volumi, alcuni dei quali di grandissimo pregio. Racconta Luzzatto
che, intervistando via skype “il suo impostore” che era ai
domiciliari a Verona, “da una registrazione all’altra, lo
trovava sempre
più simpatico”; proprio come mio padre e un altro detenuto
politico, Massimo Mila, avevano trovato simpatico quel
finto sachem che
dopo esser stato ricevuto in pompa magna da Mussolini era precipitato
dal suo precario piedestallo e non aveva più nemmeno i soldi per il
tabacco. In entrambi i casi, la simpatia si rivolgeva a un brillante
millantatore che stava pagando il suo debito con la società, e che
non poteva guardare ai passati splendori che con profondo scoramento.
C’era però una differenza. Agli occhi di tutti – tranne forse
delle contesse che erano state alleggerite di qualche milione – il
Gran Capo Cervo Bianco era una figura più pittoresca che
riprovevole; Massimo De Caro invece, ribattezzato dalla stampa “il
mostro dei Girolamini”, una volta scoperto aveva battuto tutti i
record di impopolarità, incarnando una nuova maschera della nostra
commedia politica, il saccheggiatore senza scrupoli dei beni
culturali imprudentemente affidati alle sue cure.
È
un libraio antiquario torinese, nel 2015, ad attirare l’attenzione
di Sergio Luzzatto – che all’Università di Torino insegna Storia
moderna – sulla vicenda di De Caro; gli consiglia di andarsi a
leggere la sentenza che nel 2013 ha condannato il direttore della
biblioteca dei Girolamini e i suoi complici, perché “è roba da
film”. Luzzatto, che conosceva quello scandalo soltanto per sommi
capi, si immerge, “un po’ allibito, un po’ rapito”, negli
atti giudiziari che lo riassumono; poi prende contatto con lo storico
dell’arte Tomaso Montanari, che è stato tra i primi a denunciare
le malefatte di De Caro. Da uno scettico Montanari viene a sapere che
“il mostro dei Girolamini” gli ha scritto da poco; non solo si
dichiara profondamente trasformato, ma anche desideroso di
rimediare attivamente agli antichi errori organizzando “percorsi
rieducativi” per i detenuti nell’ambito dei Beni Culturali.
Al
pentimento di De Caro Montanari non crede affatto, ed è ben deciso a
stare alla larga da lui; più curioso e possibilista, Luzzatto è
invece tentato dall’idea di avvicinare il reprobo, farsi raccontare
la sua versione dei fatti e da quella partire per una ricostruzione
della sua storia. Due modelli letterari gli suggeriscono che può
trattarsi di un’esperienza pericolosa ma
affascinante: L’Avversario di
Emmanuel Carrère e L’Impostore di
Javier Cercas. Due opere basate su fatti reali e incentrate,
entrambe, su figure di mentitori patologici. De Caro non è un
efferato assassino come il protagonista de L’Avversario che,
spacciatosi per vent’anni per medico di successo, quando rischia di
essere scoperto stermina l’intera famiglia; e non è nemmeno, come
l’eroe di Cercas, un finto deportato alla ricerca dell’immeritata
aureola del martirio. Ha però alle spalle, a quarantadue anni, una
bella carriera di mistificatore: entrato giovanissimo nel mercato dei
libri antichi, è riuscito a ingannare i migliori specialisti del
settore con due perfette contraffazioni di edizioni secentesche di
Galileo Galilei; non si è mai laureato, ma grazie a qualche
donazione a un’università privata di Buenos Aires, vanta
altisonanti titoli accademici; dal mondo dei bibliofili è passato
con una piroetta al mercato delle energie rinnovabili, ottenendo,
anche grazie ai suoi contatti con l’entourage di D’Alema, lucrosi
contratti per promuovere le attività in Italia di un oligarca russo;
infine, prima di approdare alla direzione dei Girolamini, dove
sarebbe stato colto con le mani nel sacco, è stato consulente del
Ministro dei Beni Culturali Galan, e come tale ha “visitato”
senza destare sospetti molte delle più antiche biblioteche della
penisola, tornandosene a casa con la cartella gonfia di prime
edizioni, cinquecentine e incunaboli. Emmanuel Carrère, scrutando in
ogni dettaglio la vita del finto medico Romand, ha voluto –
con L’Avversario – interrogarsi
sulla parte di menzogna che c’è in ogni esistenza umana; Luzzatto,
nel momento in cui decide di ripercorrere l’anomala carriera di De
Caro, affidandosi alle sue stesse parole, si propone anche lui di
andare al di là degli aneddoti per rispondere a una serie di domande
importanti:
Chi
era davvero – si chiede – Marino Massimo De Caro? Che cosa erano
stati i suoi primi quarant’anni? Com’era arrivato fin lì, nel
cuore della Napoli spagnola, a dirigere e svaligiare i Girolamini? In
che misura la sua storia, quell’incredibile storia da ladro di
biblioteche consigliere del ministro dei Beni culturali, era
rappresentativa unicamente di lui, di un originalissimo suo percorso
di vita? In che misura parlava invece, più largamente, di un mondo
intorno a lui? Del sottomondo dei suoi complici, il sacerdote, il
guardaspalle, la segretaria, ma anche di un sopramondo altrimenti
blasonato, politici e presuli, antiquari e collezionisti?
La
prospettiva di Luzzatto non è però quella di un’inchiesta di tipo
giornalistico, adottata a suo tempo negli articoli di Montanari o
ne Il
Sottobosco di
Claudio Gatti e Ferruccio Sansa (Chiarelettere, 2012). La vita del
bibliomane-falsario, raccontata da lui stesso, lancia allo
storico una sfida più sottile:
Forse
mi attirava verso De Caro – scrive Luzzatto – la dimensione più
vertiginosa dell’«histoire du présent»: mi attirava l’ombra
dispettosa che qualunque impossibile storia del presente finisce per
gettare sulla storia del passato, anche la più rispettabile. Mi
attirava la sensazione – vagamente dolorosa – che le
responsabilità dello storico siano quanto di più degno nel suo
mestiere, ma anche quanto di più sfuggente.
È
dunque lungo la linea d’ombra che separa la verità dalla menzogna
che l’autore di Max
Fox procederà
per trecento pagine, registrando un racconto–confessione spesso
inaffidabile nella sua spudorata autoindulgenza, ma anche
debordante di particolari autentici, di episodi rivelatori, di
curiose e straordinarie aperture sui segreti del mercato antiquario e
in particolare sulla complicità tra librai anche celebri e facoltosi
collezionisti, solidali nell’occultare l’origine furtiva di tanti
preziosi volumi di oscura provenienza. Il ritmo del racconto è
vertiginoso, grazie al dono di Luzzatto per la narrazione, dono che
già emergeva nelle sue opere più specificamente “storiche”,
come la biografia di Padre Pio, e anche grazie alla picaresca
sfacciataggine di De Caro. Non dice certamente tutto, De Caro, ma
offre comunque al lettore un nutrito feuilleton di
avventure rocambolesche, che lo vedono ad esempio distrarre, con
l’aiuto della sua bella assistente ucraina, il vecchissimo
frate-custode della biblioteca di Montecassino, sfuggita
miracolosamente alle devastazioni della seconda guerra mondiale ma
non alla sua insaziabile voracità di cinquecentine e di prime
edizioni di Galileo. L’episodio più romanzesco, a proposito del
quale Giuliano Ferrara ha evocato il film di Orson Welles F
for fake,
è sicuramente quello della falsificazione del Sidereus
nuncius galileiano,
ricco di dettagli tecnici che avrebbero incantato Georges Perec.
Il
28 marzo del 2007, i lettori del “Corriere della Sera” apprendono
da un articolo in prima pagina, intitolato Così
Galileo dipinse la luna,
un ritrovamento straordinario: quello di una copia sconosciuta di
un’opera di Galileo, il Sidereus
nuncius,
le cui cinque incisioni della luna sarebbero state disegnate e
acquerellate nel Seicento dall’autore in persona. Approdato dal Sud
America a una libreria antiquaria di New York, l’inestimabile
volume è stato sottoposto a tutte le possibili verifiche, e ne
attestano l’autenticità due illustri studiosi, lo storico
dell’arte tedesco Horst Bredekamp, della Humboldt-Universität di
Berlino, e lo storico della scienza canadese William R. Shea,
titolare della cattedra galileiana dell’Università di Padova.
Mentre la clamorosa notizia viene ripresa dai giornali di tutto il
mondo, il professor Bredekamp mette in cantiere una monografia di
cinquecento pagine che uscirà entro la fine dell’anno: Galilei
der Künstler, Galilei l’artista,
un innovativo ritratto del grande astronomo fondato sulla recente
scoperta delle sue doti pittoriche. Soltanto nel 2009 un professore
americano, Owen Gingerich, rivelerà la verità: quel Sidereus
Nuncius che
aveva superato le più sofisticate analisi chimiche e radiologiche
era un falso perfettamente confezionato, con materiali antichi. Le
più recenti tecnologie non erano riuscite a smascherarlo; ma il buon
vecchio metodo di Sherlock Holmes ne era venuto a capo, spiegava il
professore. Mettendo a confronto la tempistica delle osservazioni
astronomiche di Galileo e quella della stampa del Sidereus
Nuncius Gingerich
aveva dimostrato, al di là di ogni dubbio, che le incisioni
acquerellate delle fasi lunari dell’”esemplare di New York” non
potevano essere autentiche. Il vivace racconto della
confezione del falso, fatto a Luzzatto da De Caro, è certamente il
capitolo più epico e esilarante di Max
Fox.
Partendo da una copia autentica del Sidereus
Nuncius rubata
in una biblioteca e scannerizzata a Verona, De Caro mette in moto a
Buenos Aires una macchina organizzativa complessa e impeccabile. Un
cartaio fabbrica per lui carta da stracci filigranata indistinguibile
da quella antica; un restauratore-pittore dipinge le famose lune con
colori d’epoca, falsificando anche la firma di Galileo; l’ingegno
multiforme di De Caro gli suggerisce infine di dotare la sua creatura
di un fantasioso pedigree,
che ne attesta la vendita a un libraio antiquario amico suo da parte
di una fantomatica Società
democratica italiana di
Buenos Aires, che l’avrebbe ereditata da un socio nel 1897.
Comprensibilmente fiero del successo di questa beffa grandiosa al
mondo degli scienziati e dei bibliofili, De Caro la paragona alla
burla delle finte sculture di Modigliani ritrovate in un
fossato a Livorno ai tempi della sua infanzia; Luzzatto sottolinea
però la differenza tra la messa in scena senza scopo di lucro dei
giovani livornesi e la redditizia attività truffaldina del suo
versatile interlocutore.
È
possibile, terminata la lettura di Max
Fox,
non provare, almeno per le spericolate e immaginose imprese del De
Caro falsario, un pizzico di ammirazione? Credo di no, ed è questa
considerazione che ha indotto Tomaso Montanari a definire l’opera
di Luzzatto un’”indegna apologia” del suo protagonista. In
realtà Luzzatto, pur dichiarando esplicitamente e sin dall’inizio
la sua “simpatia” per De Caro, non manifesta nessuna indulgenza
per i suoi misfatti, non manca mai di sottolineare le omissioni o le
possibili falsificazioni presenti nei suoi racconti e non si
pronuncia sulla genuinità del suo tardivo ravvedimento. Al lettore
la scelta se provare simpatia o ripugnanza per un personaggio che,
per ingegnosità e spregiudicatezza, ricorda più Panurge, lo scaltro
briccone di Rabelais, che l’eroe stendhaliano de Il
Rosso e il Nero,
cui Luzzatto lo paragona. Quale che sia comunque il giudizio su De
Caro, dalla lettura di Max
Fox si
ricava una certezza: appiccicare l’etichetta di “mostro” anche
al più evidente dei colpevoli non ha altra utilità, se non quella
di offrire alla pubblica opinione il dubbio conforto di un capro
espiatorio su cui convogliare momentaneamente la propria
indignazione. Lanciare anatemi contro il “mostro dei Gerolamini”
e auspicare – per usare i termini favoriti del ministro Salvini –
che “marcisca in galera” è certamente meno utile che chiedersi
come le sue imprese ladresche e truffaldine siano state rese
possibili dallo stato di incuria in cui versano nel nostro paese le
biblioteche pubbliche (i cui fondi vengono costantemente tagliati) e
da un mercato antiquario il cui diffuso malcostume, anche ai vertici,
meriterebbe di essere scrutato molto da vicino.
http://www.oltreilponte.org/cultura/max-fox/
https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/lanno-dellindiano-ernesto-ferrero-9788806159573/
https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/lanno-dellindiano-ernesto-ferrero-9788806159573/