mercoledì 5 novembre 2025

Pasolini giornalista

Luca Baiada
Pasolini con lampi corsari

Il Ponte, 18 settembre 2025

Seguire gli scritti e la vita di Pier Paolo Pasolini, in parallelo, per epoche e temi[1]. A proporre questa cifra di ricerca è Giovanni Giovannetti, che si è già impegnato più volte sullo scrittore[2]. Ecco i rapporti di Pasolini con lo sport, il cinema, il fumetto, l’ibridazione dei generi culturali e molto altro. Naturalmente, la letteratura. Ma la piattaforma su cui si lavora è un censimento completo degli scritti su giornali e periodici, compresi quelli ormai introvabili, curato dall’autore insieme a Luisa Voltan. Un elenco ragionato che, anche per chi non sempre condivide le interpretazioni proposte, fa dell’opera un portolano utile a navigare nella produzione di un intellettuale dalla vena inesauribile.

Si segnalano più di 150 fotografie, tra scatti d’autore, immagini da giornali e documenti. E sono proprio di Giovannetti alcuni ritratti di Pasolini realizzati nel 1975, poco prima della morte. Soprattutto, in questo libro c’è un Pasolini contraddittorio, scarnificato senza cedimenti devozionali. Niente santino del martire.

Numerosi gli spunti storici, che partono da tempi lontani: scelte, posizionamenti e conflitti in guerra e nella Resistenza (Pier Paolo diserta, il fratello Guido è partigiano nella Osoppo e lo uccidono i partigiani comunisti). Da allora si dipana un filo che è insieme politico, economico, spionistico e culturale; nel libro scorrono molti dei suoi nodi.

Gli spunti riguardano anche gli anni successivi. Per esempio ci sono la spartizione vaticana e massonica della speculazione edilizia a Roma, mentre il sindaco Rebecchini è sostenuto dal Msi, poi le stragi e molto altro, con una costante: la presenza di un fascismo proteiforme e la capacità di Pasolini di riconoscere le sue implicazioni anche dove non ci si aspetterebbe.

Sono ricche le citazioni sia dei materiali, come il documentario del 1976 Il silenzio è complicità, di Ettore Scola e Laura Betti, poco noto, sia degli episodi che punteggiano il lungo percorso di vita e cultura. Per esempio, ci sono gli scontri formidabili tra Pasolini e Sanguineti – averne, oggi, duellanti così! – , e la collaborazione nel 1959-1960 a «il Reporter», un periodico finanziato dal Msi di Michelini, quando i fascisti cercavano rispettabilità per un sostegno nazionale esplicito ai democristiani. Chi volesse tentare una narrazione controfattuale, oggi, potrebbe immaginare un’Italia normalizzata, dopo il lontano governo Tambroni. Proviamo?

Invece di cadere, Tambroni resse alle lotte e ci fu una svolta a destra irreversibile. Quindi niente centrosinistra, anzi soffocamento sul nascere della lotta di classe nell’industria, emigrazione interna contingentata e corporativa, mezzadria e latifondo sotto tutela statale, niente autunno caldo e niente strategia della tensione. Alla lunga, lavoratori malpagati e rassegnati, popolo istupidito, televisione tutta cronaca nera e giornali ubbidienti, intellettuali ridotti a voci d’occasione e frondismo culturale, magari a dispute criptiche su film e libri (come Pasolini nel 1942 e nel 1960); insomma, la destra in doppiopetto è al potere e l’opposizione è allo sbando. Ricorda niente, adesso? Apri gli occhi ed è tutto vero.

Come in Frocio e basta, di Carla Benedetti e Giovannetti, risalta il legame tra l’attività culturale, specialmente per Petrolio, e l’assassinio. L’autore osserva:

Gli scritti dell’ultimo Pasolini, di un pessimismo cosmico, sono anche la sempre più incalzante critica civile a un potere economico e politico dalle venature golpiste e stragiste, dunque criminale, e a una borghesia socialmente noncurante dedita solo al suo tornaconto: la borghesia «più ignorante d’Europa»[3].

Con questa disperazione dentro si può dire, come fa qualcuno, che volesse morire? che sia stato il regista della sua fine? Giovannetti lo esclude. Qui teniamo da parte la delicata questione e diciamo ancora qualcosa sul modo di intendere Petrolio.

Pasolini voleva inseriti nel romanzo – ma era solo un romanzo? o anche altro? – alcuni discorsi originali di Eugenio Cefis, affarista e amministratore molto privato di beni molto pubblici, con ogni mezzo e senza scrupoli. Approfittando di suggerimenti che Giovannetti traccia, lo scrittore aveva colto in quelle parole segnali politici moderni e inquietanti. In particolare voleva trascritto in Petrolio un intervento di Cefis all’Accademia militare di Modena[4]. Giovannetti:

È quel «grande discorso ideologico», prefigurativo e nella sostanza filo-golpista, in cui il presidente di Montedison pronostica la fine del capitalismo conflittuale tra lavoratori e padroni del vapore. Ma attenzione, filo-golpista non necessariamente sta a significare che Cefis pensasse di fomentare un colpo di Stato, come riteneva il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia; e tanto meno era questa la prospettiva di Gianfranco Miglio, l’illustre politologo amico e consigliere fidato di Cefis. […] Alcuni paragrafi portano dritto dritto alle teorie efficientiste e reazionarie di Gianfranco Miglio sul declino degli Stati nazionali, ormai ridotti, come li definisce Cefis, a scatole vuote senza potere[5].

E adesso? Grandi gruppi economici dettano condizioni con l’appoggio dei cosiddetti sovranisti; in Italia sono i patrioti che stanno al governo con la Lega, una formazione che negli anni Novanta vedeva in Miglio un nume e nell’Unità d’Italia il demonio.

Quanto agli inciampi di Pasolini – nella sua produzione non mancano – limitiamoci a qualcosa, e apprezziamo che la stima di Giovannetti per lui non l’abbia trattenuto dalle critiche. Escludiamo il fatto che nel 1942 inizia l’attività letteraria su riviste sotto controllo fascista, con prese di distanza soltanto culturali. Passi anche per la partecipazione ai Ludi juveniles nazisti, a Weimar nello stesso anno. Ma dopo, in tempi di democrazia, non ci sono scuse. Eccolo con una generica condanna della droga; ma gli sfugge la sostanza del narcotraffico. Qui la presa pasoliniana sull’attualità si inceppa e Giovannetti incalza:

Lo scrittore sembra non accorgersi di come l’eroina e in generale la dipendenza dagli oppiacei si vada radicando quale forma consapevole e criminale di controllo sociale: lo intravede appena quando avverte che «lo spazio per la droga è enormemente aumentato». Eppure il tema del dominio totalizzante del potere sul corpo e sulla psiche – delle masse e non delle élite politiche economiche religiose e militari, che semmai il dominio lo esercitano – è centrale in un film come Salò[6].

Fra le sortite peggiori, la sgangherata difesa di Matthias Defregger: militare responsabile di un eccidio nazista in Italia, tornato in Germania diventa prete e poi vescovo. Il commento perdonista di Pasolini – sulla rubrica Il caos del «Tempo», appuntamento fisso visibile e ben pagato – è così assurdo che viene voglia di pensare a un dispetto, se non a una ricerca di sponde a destra.

Ci sono notizie interessanti, anche con risvolti da chiarire, su un avvicinamento fra Pasolini e Marco Pannella; l’autore ci vede un possibile esito parlamentare fermato dalla morte. Insomma, questo libro non è un oremus per Pasolini e c’è materia anche per chi non dimentica le debolezze narcisistiche e i rovesci di uno scrittore che non smette di affascinare.

Sul crinale fra gli inciampi controversi e le scelte passionali, profonde, quasi inevitabili, certe cose scottano. Guardiamole senza sporgerci, come si guardano i ciuffi di ginestre affacciati su uno strapiombo. Dopo il tremendo delitto del Circeo del 1975 (due ragazze stuprate e torturate a morte, una si salva per caso), Italo Calvino denuncia il cinismo e le complicità morali borghesi, ma Pasolini lo rimbecca con svarioni inascoltabili, quasi giustificazioni. Giovannetti è persino troppo mite:

Che intende dire Pasolini? Che non c’è tortura sadica senza una qualche adesione della vittima? Che anche in questo caso la ricerca del piacere prevede il dolore fisico e l’umiliazione psicologica? Che per questo fine la vittima riconosce e accetta il suo carnefice? Speriamo di no, perché sarebbero generalizzazioni inaccettabili[7].

E non finisce qui. Lo scrittore torna sul tema, dice di conoscere il mondo della criminalità romana, spettegola. Giovannetti: «Che vuole insinuare? (lui, che questo mondo dice di conoscerlo e ce lo rappresenta con iconica violenza in film come Salò). Quale aspetto di sé era entrato in risonanza con i fatti del Circeo?»[8]. Un momento. L’intuizione sulla risonanza è forte. Con chi scrive, su questo aspetto Giovannetti ha dichiarato un debito verso la sua compagna, di professione psicoterapeuta, con cui ha condiviso riflessioni.

Sul tema il libro non va oltre. Osiamo qui un passo avanti: Pasolini sente il fascino di qualcosa. Forse si è innamorato della violenza che sta studiando? dell’intreccio di potere e criminalità? Se si è identificato coi carnefici, è ovvio che sottostimi il delitto del Circeo. Forse, tenuto d’occhio da poteri affaristico-criminali, cioè mentre lui stesso è preda (ma incantata dallo sguardo del serpente), teme e ammira anche il metodo della violenza politica selettiva – imprenditoria, politica, faccendieri, sicari di mestiere, gregari d’occasione – , una cosa atroce ma anche un argomento irresistibile per i suoi interessi letterari. Quel metodo eliminazionista produce delitti sfuggenti alle responsabilità, quelle alte, quelle vere, cioè quelle dell’apparato che, qualche giorno dopo la polemica con Calvino, sancirà la sua morte. Qui non possiamo sciogliere un enigma che attraversa la coscienza complessa di un poeta e le diramazioni di un diffuso potere criminale. Orfeo ed Euridice a un tempo, Pasolini scende agli inferi per trarre qualcosa alla luce, ma si volta, condannando se stesso a non risalire. Trarre qualcosa e guardare, ma cosa? Euridice, Εὐρυδίκη, cioè vasta giustizia: forse l’oggetto della ricerca – desiderato, temuto, abbandonato, deposto in un abisso – è il giudizio stesso sull’intellettuale.

Al delitto del novembre 1975 è dedicato il capitolo Lampi su P. (può essere l’iniziale del prenome, del cognome, di Petrolio, persino di Pino Pelosi)[9]. Chi legge trova nomi interessanti, collegamenti impensabili e un ritmo serrato di sviluppi, da cui quasi tutti i personaggi – potenti, manovrieri di seconda fila, amici e familiari del poeta, intellettuali – escono impresentabili o almeno con qualche ombra.

Giovannetti ha ragione: «Pasolini era ormai la scheggia impazzita e pronta all’azione di un sistema che del principio di verità si era fatto ipocritamente vanto ben sapendo di non poterselo permettere»[10]. Ma allora: forse da questo viene il rifiuto – ancor oggi paralizza molti – di riconoscere nella sua fine un omicidio corale strutturato: c’è senso di colpa per non averlo difeso o per non averlo imitato, per essersi messi comodi. La sua colpa non è la scheggia, ma l’azione.

Per capire chi ha ucciso Pasolini «si torni alla teoria degli anelli concentrici – sempre utile per indicare il possibile perimetro dei delitti “eccellenti” – e per quella via sondare l’orbita superiore a quella degli esecutori materiali (picchiatori fascisti e delinquenti di borgata)»[11]. Sulla morte di Pasolini – è l’autore a metterci in guardia – nessuno ha sfere di cristallo o pistole fumanti. Di certo depistaggi, reticenze e versioni pigre su quel 1975 condizionano da mezzo secolo la storiografia, il giornalismo e il lavoro culturale.

[1] Giovanni Giovannetti, Pasolini giornalista. Vita e morte di un cottimista della pagina, Effigie, Milano 2025.

[2] Carla Benedetti, Giovanni Giovannetti, Frocio e basta. Pasolini, Cefis, Petrolio, Effigie, Milano 2016; Giovanni Giovannetti, Malastoria. L’Italia ai tempi di Cefis e Pasolini, Effigie, Pavia, 2020.

[3] Giovannetti, Pasolini giornalista, cit., p. X.

[4] Il discorso, del 23 febbraio 1972, è pubblicato col titolo La mia patria si chiama multinazionale in «L’erba voglio. Servitù e liberazione di massa», II n. 6, giugno-luglio 1972.

[5] Giovannetti, Pasolini giornalista, cit., p. 80.

[6] Ivi, pp. 93-97.

[7] Ivi, pp. 185-187.

[8] Ivi, p. 188, che si riferisce a Le mie proposte su scuola e tv, in «Corriere della sera» 29 ottobre 1975.

[9] Giovannetti, Pasolini giornalista, cit., pp. 237-286.

[10] Ivi, p. XV.

[11] Ivi, p. 276.

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