venerdì 25 luglio 2025

Che cosa c'è dietro Tadej Pogačar?


Alessandra Giardini
Il mondo intorno a Tadej 
Pogačar, l'uomo che corre contro se stesso
Domani, 25 luglio 2025

Che cosa c’è dietro Tadej Pogačar? È la domanda, non priva di accenti maliziosi se non decisamente sospettosi, che si fanno molti, se non tutti, quelli che assistono a uno sport dominato come da anni non si vedeva.

L’accostamento più vicino a noi è quello con Eddy Merckx, il cannibale belga che ha appena compiuto 80 anni e che comunque ha smesso di correre nel 1978, vent’anni prima che Pogačar venisse al mondo. Merckx, che come lui vinceva classiche e grandi Giri, si è fermato a 5 Tour de France, Pogacar sta per vincere il quarto a 26 anni.

Alla sua età Lance Armstrong non aveva ancora vinto il primo dei suoi 7 consecutivi. Ma l’americano non può essere un paragone, perché dopo la confessione gli sono stati tolti tutti: si dopava, non vale. Il ciclismo sconta un passato difficile da condonare, e purtroppo per lui Pogačar, come tutti coloro che hanno vestito la maglia gialla in tempi recenti, deve passare dalle forche caudine del sospetto.

Dominare in uno sport con un passato così inquinato inevitabilmente suscita diffidenza. Anche perché Pogačar non padroneggia un’epoca in cui la concorrenza è scarsa quantitativamente e qualitativamente: al contrario, l’ultimo decennio ha visto salire al trono del ciclismo una delle generazioni più felici di sempre.

Generazione di fenomeni

Sono fortissimi, sanno fare tutto, e lo fanno sorridendo in camera. Quando arrivano al traguardo non dicono «Ciao mamma» come ai tempi eroici ma sanno raccontare le loro fragilità passando con disinvoltura da una lingua all’altra.

Sono gli epigoni di Peter Sagan, lo slovacco che ha cambiato una volta per tutte il suo mondo: da sport della fatica, del sacrificio estremo, delle camere d’aria tenute con i denti a un ragazzo che vinceva impennando sul traguardo, firmando autografi in salita invece di rendere l’anima a un qualche dio, cantando le strofe di Toto Cutugno in gruppo per non morire di noia.

Proprio mentre lui stava precocemente invecchiando, consumato da tanta rapidità di esecuzione, veniva allo scoperto una generazione di pietre preziose: una diversa dall’altra, una più brillante e sfaccettata dell’altra. Non potevamo credere ai nostri occhi: hanno spazzato via anni di luoghi comuni.

Non è vero, come ci avevano insegnato i padri, che il ciclismo ha bisogno di attesa, di calcoli, di stagioni. Loro sanno vincere all’esordio, appena scesi da un periodo in altura, loro vanno in fuga a 100 km dal traguardo, loro accendono la corsa nei primi metri e fanno fuoco e fiamme fino alla fine, loro usano l’intuito e la fantasia in un mondo affidato ormai alle intelligenze artificiali, loro padroneggiano tutte le discipline del ciclismo, senza confini né limiti. Sono lo specchio dei loro coetanei là fuori: veloci, iperconnessi, pronti.

Il team

Pogačar tutto questo lo fa meglio degli altri: superbe qualità innate, feroce determinazione, preparazione rigorosa, clamorosa volontà di imparare dai propri errori per non ripeterli una seconda volta. E una quotidianità totalmente votata a diventare esattamente quello che oggi ci sorprendiamo di avere di fronte.

In una squadra – la UAE Team Emirates – che in dieci anni ha fatto una strada altrettanto rapida. Andrea Agostini, 55 anni, è il direttore operativo di tutto il gruppo nonché ceo della struttura italiana. Ha un passato nel calcio in Serie A (nel Cesena) e uno ancora più lontano da ragazzino di Cesenatico che correva in bicicletta dai tempi delle elementari con il suo miglior amico, Marco Pantani.

«Raccogliamo i risultati di una visione, volevamo diventare un punto di riferimento nel ciclismo. La proprietà emiratina ci ha messo nelle condizioni migliori, con un management stabile da nove anni. Ora siamo 150 tra staff e corridori, di 21 nazionalità diverse. La crescita è stata molto rapida, la squadra è soltanto l’ultimo pezzo. Quando funziona tutto, i corridori possono stare tranquilli».

Sono 29 nella squadra World Tour e 12 nella Gen Z, quella dei prossimi campioni. «Ci sono differenze abissali col passato, questa è una generazione molto preparata, quasi tutti hanno studiato, parlano almeno due lingue, hanno una mentalità molto aperta, e sono preparati tecnologicamente. Sono pronti a gestire tutto il corollario: soldi, impegni, fama. La pressione che ha addosso uno come Tadej è enorme, ma attorno ha anche una struttura che vent’anni fa era impensabile».

Jane Austen


Maria Teresa Carbone
Jane Austen, un anniversario che appassiona le pagine culturali dei giornali
il manifesto, 24 luglio 2025

Nelle redazioni dei giornali, cartacei o virtuali che siano, si dice spesso – a riprova di quanto la cultura sia distaccata dalla realtà – che in due sole occasioni le pagine dei libri si occupano di attualità, ed è quando muore un autore famoso e quando si assegna il Nobel per la letteratura. Non è del tutto vero, ma è innegabile che sulle modalità di pubblicazione dei materiali culturali influiscono ragioni (più che legittime) ben lontane dallo spirito della «ultim’ora» (o, come si dice adesso, della breaking news) che ormai coincide con il concetto di informazione: in primo luogo, il tempo non breve che richiede una recensione dal momento in cui viene messa in cantiere a quando arriva sulla scrivania del redattore, e la conseguente necessità di programmare in anticipo le uscite.

IN QUESTO QUADRO  non stupisce la passione delle pagine culturali per gli anniversari, che hanno il pregio di non arrivare di sorpresa, e quindi di poter essere trattati senza fretta, scegliendo i collaboratori adatti, ai quali viene dato l’agio di riflettere con calma sui loro articoli. Se poi l’autrice o l’autore di cui ricorre l’anniversario unisce notorietà popolare e spessore letterario, il saggio redattore ci camperà per mesi, grazie a nuove edizioni, convegni e compagnia cantante. Vedi il caso di Jane Austen di cui il 16 dicembre ricorreranno i 250 anni dalla nascita, ma che dall’inizio del 2025 occupa stabilmente le pagine culturali dei media di tutto il mondo, grazie alla mole di iniziative registrate dal  sito ufficiale. (Qui segnaliamo solo che nell’ampia sezione dedicata all’anniversario gli/le austenomani possono anche riversare i loro messaggi adoranti e procacciarsi per 19 euro la paperella di gomma ispirata all’autrice di Orgoglio e pregiudizio, insieme ad altri imperdibili memorabilia.

Sono però usciti interventi più corposi, che offrono nuove prospettive su un’opera già tante volte dissodata: da citare, per esempio, l’articolo pubblicato sul New York Times dalla scrittrice Lauren Groff,– in realtà la rielaborazione del testo introduttivo al meno amato dei libri di Austen, Mansfield Park, riedito negli Usa per Vintage Books. Contro chi critica la sua eroina, Fanny Price, considerata scialba rispetto a Lizzie Bennett o a Emma Woodhouse, e soprattutto contro chi vede nel romanzo un implicito avallo dello schiavismo britannico, Groff ribatte che si tratta dell’opera di Austen «più audace, coraggiosa, sovversiva e artisticamente matura», e tra l’altro nota come la scrittrice fosse già celebre ai suoi tempi, citando la recensione – lunga venti pagine – che Walter Scott, l’autore di Ivanhoe, allora all’apice della fama, dedicò nel 1815 a Emma su The Quarterly Review.

Intorno a Sense and Sensibility ruota invece un intervento uscito sulla Paris Review in cui la scrittrice statunitense di origine messicana Sandra Cisneros ricorda – come già Ellen Moers nello stupendo e mai riedito Grandi scrittrici grandi letterate, Edizioni di Comunità 1979 – che nell’opera e nella vita di Austen l’aspetto economico è centrale quanto e più di quello «sentimentale». (E a chi ne dubitasse, consigliamo di rileggere l’incipit di Persuasione, oltre a quello celeberrimo di Orgoglio e pregiudizio).

Insomma, oltre a Trump e alle guerre, questo è, per fortuna, anche l’anno di Jane Austen. E chissà se uno o più dei suoi romanzi sono contenuti nella donazione di duemila volumi fatta da Nick Cave a Oxfam, l’ente benefico che si batte contro la povertà nel mondo. Ne  scrive Francesca Williams su The Argus, specificando che il gestore della sede di Hove, cui sono stati donati i volumi, non segnalerà a chi erano appartenuti – una decisione lodevole, disallineata rispetto allo spirito del tempo.

https://machiave.blogspot.com/2013/04/jane-austen-emma-1815-incipit.html

Il rifiuto della guerra in Israele


Riccardo Michelucci
Suicidi e diserzioni: i soldati israeliani non vogliono più la guerra
Avvenire, 25 luglio 2025

L’ultimo in ordine di tempo è stato il giovane paracadutista Dan Mandel Phillipson, che si è sparato durante un periodo di addestramento in una base nel sud di Israele ed è morto in ospedale pochi giorni dopo. Prima di lui il riservista Daniel Edri si era dato fuoco in un bosco nei pressi della città di Safad dopo aver trascorso un lungo periodo di servizio a Gaza. «Dopo quello che aveva visto non riusciva a liberarsi da un terribile tormento interiore», ha spiegato sua madre alla tv israeliana. Dai primi di luglio, in appena due settimane, sono già quattro i soldati dell’Idf (le Forze di difesa israeliane) che si sono tolti la vita. Quello dei suicidi nell’esercito – ben diciannove dall’inizio di quest’anno, il numero più alto di sempre – è un fenomeno spesso taciuto o minimizzato che si unisce all’aumento allarmante delle diserzioni determinando una vera e propria emergenza. Non una falla tecnica o strategica ma una profonda perdita di fiducia negli apparati dello Stato. Le operazioni in corso a Gaza ormai da quasi due anni e la conseguente catastrofe umanitaria stanno facendo vacillare il morale dei soldati aggravando la grave spaccatura interna alla società israeliana.

Ma i numeri raccontano solo una parte della storia. Le testimonianze di chi ha vissuto l’esperienza diretta parlano di un impatto devastante. Soldati tornati a casa che non riescono a scrollarsi di dosso l’incubo delle operazioni, delle perdite, delle decisioni impossibili. E così, molti scelgono di non tornare più in servizio, non per diserzione ma per una forma di resistenza silenziosa alla guerra che li ha cambiati per sempre. A ben poco è servito il fatto che l’Idf abbia attivato una linea telefonica di supporto psicologico attiva 24 ore su 24 e aumentato il numero di specialisti in salute mentale disponibili.

Il team di ricercatori dell’Università di Tel Aviv che da anni monitora il disagio psicologico all’interno dell’esercito ha rilevato che oltre il 12 per cento dei riservisti che hanno partecipato a turni di combattimento a Gaza ha sviluppato sintomi di disturbo da stress post-traumatico. Non a caso, i media israeliani hanno riportato un calo significativo dei soldati che si presentano al servizio di riserva. Molti di loro, inizialmente motivati dalla solidarietà nazionale, adesso si rifiutano di partecipare alle operazioni militari citando motivi etici e morali. La crescente disillusione è alimentata dalla mancanza di obiettivi chiari e dalla frustrazione per la continua escalation degli attacchi senza un’apparente soluzione. Nessuno può fornire numeri precisi su queste defezioni – e d’altra parte nessun partito o leader politico li chiede esplicitamente – ma secondo le stime più attendibili la percentuale di risposta dei riservisti sarebbe ormai inferiore al 50 per cento. Secondo Restart Israel, un’associazione impegnata nel reinserimento dei soldati feriti o traumatizzati, sono già circa 12mila i riservisti che si sono rifiutati di prendere parte alle operazioni a Gaza.

Le diserzioni nei ranghi dell’esercito – ufficialmente non codificate – crescono in modo esponenziale sotto forma di assenze non giustificate o di atti di disobbedienza: soldati che rifiutano di presentarsi in servizio, che trovano il modo di sottrarsi a un ulteriore tour, che si sentono traditi da un sistema che non tutela chi ha già dato tutto. E si moltiplicano anche le petizioni che chiedono la fine dei combattimenti e dipingono la campagna di Gaza come priva di obiettivi chiaramente realizzabili, accusando il governo di aver fatto trapelare la promessa di un accordo sul rilascio degli ostaggi solo per giustificare un prolungamento del conflitto. L’ultima lettera, promossa dal gruppo pacifista Soldiers for the Hostages, è stata inviata qualche settimana fa a Netanyahu, al ministro della Difesa Katz e al capo delle forze armate con la firma di una quarantina di alti ufficiali dell’Unità 8200 dell’Idf, i quali hanno annunciato che non parteciperanno più a operazioni di combattimento «chiaramente illegali» spiegando che il governo sta conducendo a Gaza una guerra «infinita e ingiustificata».

giovedì 24 luglio 2025

Lo spirito di Maidan

 

Gli ucraini protestano contro una nuova legge che limita l'indipendenza delle istituzioni anticorruzione, vicino all'ufficio presidenziale a Kiev, 23 luglio 2025.
Ucraini protestano contro una nuova legge che limita l'indipendenza delle istituzioni anticorruzione, vicino all'ufficio presidenziale a Kiev, 23 luglio 2025. (Thomas Peter/REUTERS)

"Lottiamo per non diventare la Russia":

 in una sera d'estate Zelensky risveglia lo   spirito di Maidan

Kristina Berdynskykhcorrispondente da Kiev e Stéphane Sihoancorrispondente da Kiev, Libération, 24 luglio 2025

La rabbia non accenna a placarsi a Kiev dopo la decisione di indebolire il sistema anticorruzione del Paese. Per la seconda sera consecutiva, migliaia di persone hanno manifestato la sera di mercoledì 23 luglio, esprimendo finalmente la loro critica al governo e denunciando gli eccessi autoritari della squadra di Zelensky.

Da Piazza Indipendenza al Teatro Ivan Franko, ci sono solo 700 metri e il selciato di via Horodetsky, il Gaudí di Kiev, dove la sera di mercoledì 23 luglio, file di persone si snodano verso una graziosa piazza circondata da palazzi signorili. L'unico punto da cui è possibile intravedere le finestre dell'austero palazzo presidenziale ucraino, in via Bankova. Un vascello sovietico che solo sei anni prima, un giovane, allora dirompente presidente di nome Volodymyr Zelensky, avrebbe voluto far saltare in aria prima di chiudersi dentro, obbligato dalla guerra, con le sue certezze e la sua banda di consiglieri.

Lontano a est, nel Donbass, i soldati russi entrano a Pokrovsk. Allo stesso tempo, a Istanbul, emissari ucraini e russi si guardano negli occhi. Molti si chiedono cosa passasse per la testa di Zelensky per far approvare dalla sua fazione la legge n. 12414 , che sabota l'indipendenza dell'Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU), quel piccolo FBI ucraino imperfetto ma coraggioso, grazie al quale gli ucraini hanno ottenuto nel 2017, per la prima volta in cento anni, l'autorizzazione a viaggiare liberamente in Europa e a sperare, un giorno, di entrare a far parte dell'UE. Il caldo della giornata estiva non si è ancora dissolto. Dopo le 20:00, la folla è densa, riscoprendo il piacere istintivo di stare insieme. Di districarsi dalla lotta quotidiana. Di riunirsi, di essere in società.

"Sento che devo essere qui"

Il giorno prima, lunedì, erano circa 2.000, questo mercoledì sera molti di più, 10.000 o forse 15.000, non importa. Dal Maidan invernale del 2014, il dress code è cambiato, molto più trendy: magliette lunghe sopra pantaloncini e minigonne, scarpe da ginnastica bianche e occhiali scuri. Alcuni indossano giacche kaki, in piedi su protesi ortopediche. Nel cuore del vortice, sventolano slogan: "Non tacete" , "La corruzione uccide" , "Restituiteci l'Europa" , "Lottiamo per non diventare la Russia" ... Qua e là, si balla, si salta. Vlad, ex installatore di internet a casa, osserva l'azione dalla sua sedia a rotelle. 25 anni, volontario nella Guardia Nazionale, ha perso entrambe le gambe durante la controffensiva a sud di Zaporizhia nel novembre 2023.

"Sento di dover essere qui, i miei compagni d'armi non sono morti per questo", confida, per giustificare la sua opposizione al controverso disegno di legge. Poco più avanti, Denys Bihus, un famoso giornalista investigativo che ha fatto sognare diverse amministrazioni presidenziali, passeggia. "Ho uno zaino pieno di lacci emostatici ", dice, preoccupato che i russi approfittino di questo inaspettato assembramento per colpire. Lì vicino, un'ex addetta stampa di un ministro di Zelensky è a braccetto con il suo fidanzato, quando improvvisamente si sente cantare in coro "Avtozak" , l'inno punk di Serhiy Zhadan, il famoso poeta di Kharkiv, oggi in servizio nella brigata di Khartia. "A cosa serve un sistema che lavora contro di me?" tuona il testo della canzone.

I fratelli gemelli del gruppo Ziferblat, che hanno rappresentato l'Ucraina all'Eurovision Song Contest a maggio, se la godono. "Siamo venuti qui per rimanere uno Stato in cui il popolo controlla il potere ", dice uno dei fratelli. Ci sono, certo, uomini in giacca e cravatta, appena usciti dall'ufficio, padri e madri, tanti bambini, ma ciò che colpisce è la presenza schiacciante di giovani, studenti, troppo giovani all'epoca per ricordare Maidan. "Papà è a Pokrovsk, io sono davanti all'ufficio del Presidente ", ha scritto una bella ragazza sui resti di un pacco di Nova Poshta, l'ufficio postale privato, che sembra aver fornito fibre di cellulosa al movimento nascente. Non è ancora una rivoluzione, è una rivolta di scatole di cartone, brandite a distanza di braccio in direzione di Bankova.

"Una visione del mondo piuttosto antidemocratica in generale"

La trasmissione generazionale è in pieno svolgimento. " Sono venuta con mia figlia, che ha 11 anni, per lottare per la giustizia e la libertà ", confida Olga. "Libertà significa che vogliamo essere ascoltati dai nostri politici, perché stanno distruggendo le regole che abbiamo stabilito per la nostra società durante la Rivoluzione della Dignità. Mia figlia aveva solo 5 mesi quando l'abbiamo portata a Maidan ; eravamo in tre, lei, mio marito e io. Oggi siamo rimasti solo in due...". Il marito di Olga, Viktor, un soldato volontario, è stato ucciso nel dicembre 2022 a Soledar, vicino a Bakhmut, e ora la sua unica figlia, Zakharia, mostra il suo tesserino con la scritta "Mi vergogno per voi, maledetti adulti verdi ", il colore dei "Servi del Popolo" di Zelensky.

"Essere qui è importante per il mio futuro, per avere una bella vita in futuro, resterò qui perché i miei figli possano vivere in un Paese migliore", dice la preadolescente, appollaiata su un blocco di cemento. L'emozione è palpabile, scintille invisibili elettrizzano l'aria, alcune persone piangono piano, come se si stessero liberando da un peso sul cuore. Più che una questione di leggi, è un peso di piombo che sta esplodendo, il patto su cui Zelensky si era affidato dal 24 febbraio 2022, quando il suo coraggio personale convinse gli ucraini che non lo sopportavano a schierarsi al suo fianco quando la Russia attaccò. "Anch'io credevo in questo contratto sociale, ho praticato l'autocensura responsabilmente ", ammette Darya, trentenne. "Abbiamo tacitamente sostenuto le autorità, senza discussioni. Ma ho l'impressione che fosse un'illusione".

Les manifestants, pour la plupart des jeunes, ont exhorté le président ukrainien à opposer son veto à la loi lors de la plus grande manifestation organisée à Kiev depuis le début de l'invasion de l'Ukraine par la Russie en 2022.
I manifestanti, per lo più giovani, hanno chiesto al presidente ucraino di porre il veto alla legge, durante la più grande manifestazione a Kiev da quando la Russia ha iniziato l'invasione dell'Ucraina nel 2022. (Tetiana Dzhafarova/AFP)

Il movimento è pacifico, ma l'avvertimento non ha prezzo. "Questa legge n. 12414 è solo il culmine di diversi anni di menzogne e pretesti; il governo ha ripetutamente dimostrato di essere incapace di autogestirsi. Privare le strutture anticorruzione della loro autonomia non farà che rafforzare la sua impunità ", afferma Oleksiy Prymak, project manager di una ONG. " Stasera, stiamo avviando un dialogo su questioni concrete e chiedendo responsabilità, senza credere alle chiacchiere sulla privazione delle nostre libertà in nome di promesse poco convincenti di stabilità e sicurezza. Non posso sentirmi al sicuro in un Paese in cui il potere è nelle mani di un piccolo gruppo di individui che generalmente hanno una visione del mondo piuttosto antidemocratica".

In un videomessaggio trasmesso questa sera, Volodymyr Zelensky ha dichiarato di aver sentito e di voler presentare a breve un nuovo disegno di legge alla Rada, il parlamento ucraino, che "garantisca l'indipendenza delle istituzioni anticorruzione" e risolva un problema da lui stesso creato. Ma i deputati sono in vacanza. E una cartolina recita: "I nostri soldati non hanno ferie".

L'inconscio a Torino


La psicoanalisi a Torino: questo libro racconta chi ha introdotto Freud, Adler e Jung (la triade originaria, cui si sono poi aggiunti altri insigni personaggi, per esempio Lacan) in terra piemontese; quali gruppi si sono formati e quale ne è stata la storia; se ci sono state diaspore e formazioni eterodosse. Inoltre, Torino è stata la culla della editoria psicoanalitica, ed è parso opportuno ricostruirne le vicende, trasformandole in un blando romanzo giallo. Torino e la psicoanalisi: l’accostamento ha anche suggerito riflessioni sui possibili legami tra le due realtà, considerate come soggetti animati, portatori di qualità personali, di atteggiamenti, di simpatie e idiosincrasie. Una tentazione che molto deve a intuizioni e fantasie che, insieme alla vasta e inevitabile aneddotica, spesso conferiscono al libro un andamento narrativo. Tanto più che l’autore è egli stesso analista, non alieno da passioni letterarie. Si potrà allora dire che la elusività della città dai tanti volti sembra rispecchiare con segreta complicità il carattere tortuoso e molteplice delle dottrine analitiche e delle loro applicazioni cliniche. In definitiva, un frammento di storia della città, che coincide con un frammento di storia di un variegato movimento culturale che della scoperta dell’inconscio ha fatto il suo punto di partenza e il suo segno di riconoscimento. E come la città esibisce senza desiderarlo la sua eccentricità, allo stesso modo la psicoanalisi torinese si presenta come una vasta Wunderkammer, un teatro di prodigi e talvolta di malcelati misteri. (presentazione editoriale)

Bruno Quaranta, la Repubblica Torino, 24 luglio 2025
Augusto Romano è morto: grande psicanalista, fu il primo junghiano a Torino

È scomparso la scorsa notte a Cogne, dov’era solito villeggiare, Augusto Romano, analista junghiano fra i maggiori, il primo sotto la Mole, fondatore dell’Arpa (Associazione per la ricerca in psicologica analitica), già docente di Fondamenti di psicologia analitica nel nostro ateneo.

Nato a Bari nel 1934, viveva a Torino dagli anni universitari. Si era laureato in Diritto ecclesiastico con Arnaldo Bertola, amico di Jemolo, sui culti non cattolici dallo Statuto Albertino alla Costituzione. Venne quindi a contatto, lavorando presso l’ufficio personale di un’agenzia pubblicitaria, con la psicologia. Nel 1965 inaugurò il suo studio, dopo l’analisi a Milano con tre maestri quali Fabio Minozzi, allievo di Ernst BernhardFrancesco Caracciolo di Forino Dieter Baumann, nipote di Jung, raggiungendolo talvolta a Zurigo.

Alla domanda superiore che Jung suggeriva di formulare correttamente così: c’è qualche motivo per credere che via sia una vita dopo la morte?, Augusto Romano rispondeva: “La speranza che quanto abbiamo fatto o ciò che ci è capitato riveli un senso”.

La sua è stata una vita intellettualmente sempre all’erta, illustrata insegnando, ascoltando, scrivendo. Tra gli ultimi testi scientifici ad apparire, Scritture della cura (con Elena Gigante) per Bollati Boringhieri, una serie di riflessioni sul caso clinico, dove, a spiccare, sono le pagine dedicate a Bobi Bazlen, l’”anima” dell’Adelphi, il “viaggiatore incantato”, tra i flâneur così intonati al professore: presenze nostalgiche, insoddisfatte, irrequiete, notturne, che perennemente inseguono qualcosa che sta al di là dell’immediatamente sensibile.

Sono intense le orme che hanno via via contrassegnato il magistero di Augusto Romano: da Studi sull’Ombra (con Mario Trevi) a Viaggio attorno all’eterno fanciullo, da Il sogno del prigioniero a Musica e psiche, lui musicologo raffinatissimo, tra gli spartiti prediletti il Quartetto opera 59 n. 1 di Beethoven, nonché “alunno” del violoncello.

Spirito mitteleuropeo, quindi a suo agio a Torino (“sognata capitale di una Mitteleuropa dell’Occidente”, secondo Mario Soldati), Augusto Romano non poté non riconoscere tra i suoi pazienti la città d’adozione, a cui dedicò, per Aragno, L’inconscio a Torino. Evidenziandone le due facce: la razionalista, che rimanda a Freud (ovvero smascherarla equivale a guarirla) e quella bizzarra, barocca, doppia (Jung e i post freudiani, ovvero aprirsi al fantastico, ai simboli e alle immagini che produce).

Ma è stata la poesia l’ultima passione di Augusto Romano, con la raccolta La memoria interrotta (Manni), secondo premio della città di Moncalieri. Una lamentazione ironica (la nostra era del disincanto che forse riesce solo a vagheggiare l’armonia mundi), visitata da un soffio montaliano: “Indifferenza è la regina del mondo / quando improvvisa si spegne la voce / che modulava senza saperlo i tuoi passi”. Mai interrompendo la riflessione sulla frase latina all’ingresso della casa di Jung: “Vocatus, atque non vocatus, Deus aderit”. Non si deve, non si può sfuggire, al proprio demone.

È morto Augusto Romano, psicoanalista junghiano e caro amico di matita
Guido Vitiello, Il Foglio, 22 luglio 2025

Rimasi incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, "Madre di morte", e da lì provai a estorcergli per via epistolare anche le pagine che ancora non aveva scritto. Da allora abbiamo dialogato su tantissime cose. Ci ha lasciati a pochi giorni dal centocinquantenario del suo maestro.

Da bambino sognavo di avere, come il mio amato Charlie Brown, un amico di matita (il timido eroe di Schulz non è in grado di maneggiare la penna senza impiastricciarsi d’inchiostro). Solo l’anno scorso ho coronato il mio sogno, inaugurando una corrispondenza con lo psicoanalista junghiano Augusto Romano. Incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, Madre di morte, mi sono precipitato a leggere tutto ciò che aveva pubblicato, e non contento dell’opera omnia ho provato a estorcergli, per via epistolare, anche le pagine che non aveva scritto ancora. Da allora, con cadenza pigra e irregolare, abbiamo parlato – mi ha parlato – di tantissime cose: del suo Jung e del suo Schubert, della sua Torino e della sua Cogne, dei suoi scrittori più cari come Rezzori e Trollope, della misteriosa perennità degli archetipi e della moda cinematografica dei supereroi. Soprattutto, abbiamo dialogato su una categoria che intrigava entrambi, quella del kitsch.  

Non esiste solo il kitsch nelle arti – questa la nostra idea comune, a cui eravamo giunti per vie diverse – ma anche il kitsch esistenziale, la contraffazione psicologica, il cattivo gusto nei modi dello stare al mondo (un suo libro prezioso, Il flâneur all’inferno, diceva l’essenziale sul princisbecco che viene smerciato impunemente in nome del mito aureo dell’eterno fanciullo). A un certo punto avevo pure pensato di lanciargli una proposta, un po’ immodesta in verità: scriviamo un libricino a quattro mani sul tema. Qualcosa mi ha trattenuto – sono un wishy-washy, un tira-e-molla come Charlie Brown – e sono andato avanti procrastinando (fretta non ce n’era, in quella corrispondenza senza tempo). “Mi ero dimenticato di avere novant’anni”, mi scrisse nel settembre scorso, quando si sentì improvvisamente stanchissimo. Me n’ero dimenticato anch’io, tanto giovane e mercuriale era la sua intelligenza. Così, questo lunedì 21 luglio, a pochi giorni dal centocinquantenario del suo Jung, Augusto Romano ci ha lasciati. Mi mancherai, caro amico di matita. 


Raffaello Cortina Editore, Addio Augusto Romano 

La casa editrice ricorda Augusto Romano. Analista junghiano dell'ARPA, nelle nostre edizioni ha pubblicato A spasso con Jung (con G.P. Quaglino, 2005), Studi sull'ombra (con M. Trevi, 2009), Nel giardino di Jung (con G.P. Quaglino, 2010), A colazione da Jung (con G.P. Quaglino, 2012), Musica e psiche (2021) e A spasso con Jung (nuova edizione con G.P. Quaglino, 2021).

Musica e psiche
Claude Lévi-Strauss ha scritto che “fra tutti i linguaggi, solo la musica riunisce i caratteri contraddittori d’essere a un tempo intelligibile e intraducibile”. In Harmonices Mundi, Keplero descrive la consonanza tra musica e armonie planetarie, e gli Inni alla notte di Novalis sono metafora della magia musicale che pervade il cosmo.
Si potrebbe continuare indefinitamente. Da sempre l’esperienza musicale ha generato miti e utopie; è stata contestazione dello status quo, nostalgia delle origini e dell’Armonia Mundi, simbolo di ciò che mai potrà essere detto in parole.
Questo libro si propone di seguire alcuni percorsi che la musica ha tracciato nell’immaginazione umana. Nella prima parte vengono prese in esame le teorie psicoanalitiche della musica e i loro antecedenti nel pensiero del Romanticismo. Nella seconda sono evocati, anche attraverso l’analisi di alcuni testi letterari e musicali (Hoffmann, Bernhard, Rilke, Offenbach), i rapporti tra musica, inconscio, fantasie cosmogoniche, mitologie del femminile e pratica analitica.

A spasso con Jung
Carl Gustav Jung ha messo in luce, con grande anticipo, intoppi e derive dell’uomo alle prese con l’arte del prendere la vita per il verso giusto. Spesso le sue riflessioni sono compendiate in frasi che si rivelano battute fulminanti, capaci di aprire a pensieri paradossali sempre illuminanti. In questa nuova edizione, le frasi a cui affidare un breve commento sono aumentate di numero, da quaranta a cinquantadue. Inoltre, sono state riorganizzate in modo da ottenere una sorta di vademecum per orientarsi in questi tempi difficili. Rimane identica la tonalità dei commenti. Si sono privilegiate risonanze letterarie, poetiche, filosofiche, si è  preferito indulgere alla divagazione in chiave narrativa. È certo così che anche il più frettoloso dei lettori, o la meno guardinga delle lettrici, non potrà mancare di sorprendersi per ciò che sentirà affiorare attraverso la sollecitazione di queste apparentemente innocue provocazioni junghiane.

A colazione da Jung
Com'è che “ognuno può essere felice solo a modo suo”? Perché “non tutto si può né si deve guarire”? E davvero “chi fa sempre tutto bene finisce con l'annoiarsi”?
Da questi e altri interrogativi, suscitati da esemplari citazioni junghiane, gli autori, come già nel precedente A spasso con Jung, prendono spunto per divagazioni non accademiche suggerite non solo dalla psicologia ma anche da filosofia, letteratura, poesia, nonché dalla quotidianità. Obiettivo: invogliare il lettore a contrastare la banalità e il chiacchiericcio del nostro tempo.

Nel giardino di Jung
È proprio vero che “l’amore è sempre un problema, in qualsiasi età della vita” e che “chiunque prende la strada sicura è come se fosse morto”?
Dopo i precedenti A spasso con Jung (2005) e A colazione da Jung (2006), sono qui raccolte nuove divagazioni intorno a fulminanti citazioni junghiane, che catturano e danno da pensare. I commenti proposti dagli autori invitano comunque il lettore a interrogarsi e a cercare altre possibili risposte.

Studi sull'ombra
Immagine oscura proiettata da un corpo opaco quando sia esposto alla luce, luogo delle tenebre, area in cui non è possibile gettare lo sguardo (le congiure si tramano nell’ombra): sono esempi dei molti significati cui si presta la metafora dell’Ombra. La psicologia di Jung ha fatto dell’Ombra una delle principali figure che abitano il nostro spazio interiore. In quella oscurità si nasconde ciò che non coincide con i valori cui la coscienza aderisce: ciò che è svalutato, negato, rimosso, o anche solo potenziale, non sviluppato. Non è possibile comprendere il pensiero junghiano senza affrontare il nodo centrale delle relazioni tra l’Io e l’Ombra e dunque il rapporto tra esistenza e negatività e tra esistenza e disvalore.
In questa edizione arricchita di nuovi contributi, gli autori descrivono le problematiche connesse al concetto di Ombra e ne illustrano le manifestazioni attraverso un vasto materiale clinico ed esempi letterari tratti da opere di Beckett, Brecht, Conrad, Hoffmann, Melville.

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