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Fabrizia Giuliani
Lui 52 anni, lei 15: perché l’età conta anche se non c’è violenza
La Stampa, 13 dicembre 2025
Ma è così difficile, inafferrabile, indefinibile, il concetto di consenso? Pare di sì, ed è un problema, perché prima della sua traduzione penale, intendersi sul suo significato aiuterebbe. Ma, appunto, siamo ancora lontano: evocarlo solleva levate di scudi, accuse e scuse senza ritorno, come cantava De André.
La difficoltà non è segno ma parte del problema, evidentemente: c’è un nervo scoperto nel senso comune che non ha a che fare solo con i tribunali, le condanne e le assoluzioni, ma con la nostra idea del mondo, delle relazioni umane, dell’affetto e del sesso. Ma soprattutto del rispetto necessario a un’intimità libera, della possibilità di riconoscere il desiderio dell’altro e non solo il proprio bisogno. Di tollerare un limite, questo è il punto, che la storia presenta, risolutamente, solo ora. Un limite difficile da accettare e digerire se no, francamente, non si comprende il perché di tanta resistenza fuori e dentro le aule parlamentari.
Ha fatto discutere il caso veneto, dove un uomo di 52 anni è stato accusato di violenza su una ragazza di 15 con cui aveva avuto una “relazione” di nove mesi. L’uomo è stato assolto, contro la richiesta del pubblico ministero che ha parlato di opposizione manifesta, richieste insistenti tali da «ingenerare un senso di oppressione e di un obbligo di assecondarlo tale da avere incontri ogni 15 giorni». La costrizione non è stata adeguatamente provata, la versione della ragazza ritenuta poco credibile: le giudici non hanno ritenuto l’imputato colpevole.
Non conosciamo per intero la sentenza, ma i dati disponibili costringono a una riflessione, prima di ogni giudizio rispetto a cosa sarebbe accaduto se il nostro quadro normativo fosse stato aggiornato. A quest’ultima domanda, infatti, sembra più facile rispondere: l’assoluzione è fondata perché la ragazza, anche se solo di poco, supera la soglia dei 14 anni; non c’è stata prova degli elementi costitutivi del reato, minaccia e violenza, individuati invece dal pubblico ministero nell’imposizione del rapporto sessuale. Con la norma in discussione le cose sarebbero, forse, andate diversamente: l’assenza di costrizione non basta, il consenso deve essere libero e attuale. La questione però supera le aule del tribunale: quanto pesa il divario di età? Quali sono i piani di potere in gioco? Quale lo spazio per consentire e dissentire?
E ancora, il passaggio dalla conoscenza online alla richiesta di vedersi in presenza con relative richieste, modalità a cui ricorrono con frequenza uomini adulti nei confronti di ragazze, lascia davvero l’agio per modulare il sì e il no? La differenza tra un gioco e ciò che non lo è più?
Non sono domande retoriche, costituiscono il quadro entro il quale maturano le decisioni giuridiche, la valutazione delle norme in rapporto al contesto e alle persone coinvolte. Se me le pongo, la risposta è no, la differenza di età non è un dato formale, burocratico, ma una disparità che rende impossibile parlare di consenso. Una disparità sulla quale chi è forte fa leva per aggirare il limite, per mettere il discorso su un piano inclinato e rendere il rifiuto difficile, impossibile.
Il punto vero è la responsabilità degli adulti, degli uomini adulti; la difficoltà a fare i conti con il rispetto che si deve a chi è in crescita e fa i conti con il corpo, il desiderio, il gioco della seduzione. Il rispetto che si deve alle ragazze, detta altrimenti, rispetto alle quali lo slogan «Se io non voglio, tu non puoi», per riprendere lo slogan efficace di «Una nessuna e centomila», dovrebbe rappresentare un limite invalicabile.

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