Marina Montesano
Il Medioevo è infinito
Il Manifesto, 2 aprile 2014
Ha suscitato qualche focolaio di polemica anche agli inizi del
2014, Jacques Le Goff, ormai novantenne, quando è uscito un suo breve
libro (
Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?,
per ora pubblicato solo in Francia) nel quale riproponeva un
concetto che era andato sviluppando in tanti anni di studi: quello di
un «medioevo lungo» che rovesciava le categorie storiografiche
dell’Ottocento, epoca nella quale il suo conterraneo (e peraltro
ammirato) Jules Michelet aveva «inventato» il termine
Renaissance,
«Rinascimento», presunta cesura fra il millennio dei secoli bui
e la nostra modernità; concetto che sarebbe stato ripreso, ampliato,
portato al suo massimo sviluppo dal grande Jakob Burckhardt nella
sua monumentale
Civiltà del Rinascimento in Italia.
La lunga durata
Dalle pagine del
Corriere della Sera, in quell’occasione,
uno studioso legato a una visione essenzialmente storicista qual
è Giuseppe Galasso aveva ribadito che intorno al Quattrocento una
cesura, un inizio di ciò che chiamiamo modernità c’è
effettivamente stato, mentre Franco Cardini, storico italiano fra
i più vicini alla visione antistoricistica delle
Annales,
sosteneva con Le Goff la necessità di superare questa idea
e cogliere nella storia la lunga durata (altra espressione venuta
fuori dal circolo delle
Annales e da un altro dei suoi
massimi esponenti, Fernand Braudel) di tanti fenomeni che siamo
abituati a pensare come prettamente «medievali» o come
esclusivamente «moderni».
Non che Jacques Le Goff, nato nel gennaio 1924 e scomparso ieri,
fosse estraneo alla visione ottocentesca del Medioevo; magari di
quello eroico, cavalleresco e romantico, se è vero che uno dei suoi
primi approcci con quest’epoca gli giunse grazie alla lettura dell’
Ivanhoe
di Walter Scott. Ma la sua esperienza di storico in formazione
è venuta proprio da quella prima metà del Novecento, tanto
drammatica sotto il profilo politico, sociale e militare quanto
feconda per gli studi storici in generale e medievistici in
particolare.
Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre avevano dato vita alla rivista
Annales d’histoire économique et sociale,
attorno alla qualle si preparava il terreno per una grande
rivoluzione sul piano del metodo storiografico. Le Goff non poté
conoscere direttamente Bloch, fucilato nel 1944, ma fu allievo di
alcuni grandi nomi che partecipavano al rinnovamento di quegli
anni, avendo studiato e discusso la sua tesi con Charles-Edmond
Perrin, Maurice Lombard, lo stesso Braudel, nonché con lo storico
belga Henri Pirenne.
Questi primi passi, compiuti nella Francia di Vichy, li ha ricordati lui stesso nell’intervista-biografia
Una vita per la storia,
uscita in Francia nel 1996 e poi tradotta anche in Italia per
Laterza. Si apprendono i suoi trascorsi universitari a Praga,
a Oxford e a Roma, la sua convivenza non sempre facile con
l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pestigiosa direzione delle
Annales,
condivisa con Emmanuel Le Roy Ladurie e l’ingresso con compiti
direttivi nell’École des hautes études en sciences sociales
a partire dagli anni Settanta; ossia in quella fucina di idee e di
studi che ampliavano la visione storiografica verso nuovi lidi
e nuove espressioni: la storia seriale, la storia materiale, la
storia quantitativa, la storia delle mentalità, l’antropologia
storica.
I risultati che ne sarebbero usciti ci possono sembrare
appartenere a indirizzi diametralmente opposti, ma sono comunque
il portato di un unico, collettivo sforzo di ripensamento del modo
di fare storia. Dall’intervista si apprende anche la storia di un
uomo profondamente laico e profondamente francese, che ha
trascorso l’esistenza a interessarsi con passione di un’epoca in cui
la cultura religiosa è ovunque, cercando di guardarla in una
prospettiva globale, mai localistica.
Modelli colti e popolari
La storia delle mentalità e l’antropologia storica sono
senz’altro i settori nei quali ha operato Jacques Le Goff, raro
esempio di specialista che riesce a giostrare fra tematiche ed
epoche anche lontane tra loro. Ai primi decenni della sua carriera
appartengono opere come
Gli intellettuali nel medioevo (prima edizione 1957),
La civiltà dell’Occidente medievale (prima edizione 1964), la direzione con Pierre Nora dell’opera collettiva
Fare Storia. Una pietra miliare è, nel 1981, il volume
La nascita del Purgatorio, monografia nella quale sembra confluire tutto ciò che Le Goff ha realizzato fino a quel momento.
Da una parte la straordinaria conoscenza delle fonti del medioevo
latino e volgare, della cultura teologica di quell’epoca, dei suoi
modelli «colti»; dall’altra il tentativo di andare oltre tutto questo
per comprendere i grandi fenomeni culturali condivisi, il modo
in cui gli uomini e le donne di un’epoca hanno plasmato la società in
base a determinate idee, e in che modo tali idee hanno poi
condizionato la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata una
vera antropologia storica, secondo la migliore lezione di Marc Bloch
che invitava a calarsi nel passato come un antropologo si
calerebbe in una civiltà «altra» rispetto alla sua.
La storia delle mentalità, espressione oggi poco apprezzata
e piuttosto passata di moda, era il tentativo di cogliere questa
complessa fenomenologia. In particolare, un tema che allo
studioso francese stava a cuore, così come a molti altri tra anni ’60 e
’70, era il rapporto tra società e cultura, tra stratificazione
sociale e motivi culturali, in sintesi tra cultura dotta
e popolare: un tema che una parte della storiografia pure cresciuta
in seno alle
Annales, ma con una più forte influenza
marxiana, tendeva a risolvere in termini di dicotomia, lì dove Le
Goff preferiva prestare attenzione alla circolazione di modelli
(secondo la lezione mai dimenticata di Jakobson e Bogatyriev) tra
ceti sociali.
Vedeva nella cultura popolare una delle fucine creatrici, in
particolar modo per secoli — quelli del medioevo centrale — nei
quali la cultura scritta era appannaggio dei chierici e i laici,
anche quelli dei ceti elevati, partecipavano di idee, concezioni,
modi di pensare legati a quella che viene chiamata «cultura
folklorica».
L’Europa sorgiva
Negli anni più tardi, Jacques Le Goff non ha mai abbandonato
queste passioni; in fondo, anche la monumentale biografia su San
Luigi (uscita nel 1996) aveva alle spalle già degli scritti sul tema
precedenti di un paio di decenni. Ma la sua produzione più recente
mostra anche un’attenzione agli sviluppi della storiografia
contemporanea (si vedano i suoi lavori sulla concezione del
corpo), nonché un interesse per gli sviluppi della società
tout court:
a questo secondo filone appartengono le riflessioni sull’Europa
e le sue radici, che era poi soprattutto una riflessione per i suoi
esiti politici presenti e futuri.
Aveva cominciato la sua vita accademica (e non solo) in un momento
in cui l’Europa si dibatteva fra le guerre, ha fatto in tempo
a sognare insieme a molti un’Europa diversa, si è spento quando questo
sogno pare ormai sulla via del tramonto.
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LA STORIA OGGI
di Jacques Le Goff
Per parlarvi della scienza storica oggi, partirò da un testo di Marc
Bloch nella sua
Apologia per la storia o il mestiere dello storico. La
storia non è solamente una scienza in cammino. È anche una scienza
nell'infanzia: come tutte quelle che hanno per oggetto lo spirito umano,
questo ritardatario nel campo della conoscenza razionale. O per meglio
dire, invecchia sotto la forma embrionale del racconto, a lungo ingombro
di finzioni, ancor più a lungo legato agli eventi più immediatamente
comprensibili essa resta, come impresa ragionata d'analisi, sempre
giovane. Da quando può datarsi la sua comparsa come impresa ragionata?
Sono dell'avviso dello storico tedesco Reinhart Koselleck che nella sua
opera pubblicata nel 1979,
Vergangene Zukunft (Il futuro passato),
sostiene che la storia è una nozione e una disciplina nata nella seconda
metà del XVIII secolo. È un prodotto dei Lumi allo stesso titolo che le
nozioni di politica, di religione e d'economia fino ad allora
sconosciute. La scienza storica ha conosciuto una lunga preistoria fino
alla comparsa del termine nella Grecia antica nel senso di ricerca,
inchiesta più che risultato di questa, narrazione fino alla composizione
nel V secolo dell'era cristiana delle Storie di Erodoto, il “padre
della storia”. Bernard Guenée ha potuto scrivere nel 1980 una eccellente
Storia e cultura storica nell'Occidente medievale, ma non c'è storia
ragionata nel Medioevo. L'umanesimo del XVI secolo ha suscitato una
duplice spinta alla riflessione storica. Da una parte il ricorso alla
morale, all'etica della storia considerata magistra vitae, maestra di
vita. In questa linea si colloca Montaigne sempre in cerca dell'“umana
condizione”. «Gli storici sono al centro del mio interesse. L'uomo in
generale di cui cerco la conoscenza, vi pareva più vivo e più intero che
in nessun altro luogo». D'altra parte certi autori della fine del XVI
secolo reclamano una storia che non dimentichi alcuna conoscenza
importante, da qui il concetto di storia perfetta che, in un contesto e
con un contenuto completamente diversi, evoca quella che sarà
l'ambizione di storia totale o globale della rivista
Annales e
l'esigenza di svilupparlo.
TRE ACQUISIZIONI
I Lumi e il XIX secolo hanno rappresentato un taglio epistemologico che
ha costituito la storia come scienza, ma ciò si è fatto ad un tempo in
una prospettiva propriamente scientifica, razionale, e in una
prospettiva ideologica. Questa è stata quella del progresso collegato
all'evoluzionismo. La storia aveva un senso, il progresso rimpiazzava la
provvidenza e conservava alcuni dei mali peggiori della teleologia e
peggio ancora, per una maggioranza d'occidentali del XIX secolo e per
una maggioranza di storici, il progresso s'identificava con la nazione,
nella prospettiva di una escatologia nazionalista pericolosa e
soffocante. Credo di poter distinguere tre acquisizioni principali della
scienza storica nel XIX secolo. La prima è l'elaborazione di metodi
d'erudizione - la costituzione di archivi, di istituzioni culturali
quali l'Ecole nationale des chartes in Francia, e i
Monumenta Germania
historica in Germania, a Monaco, ai quali aggiungerei l'Istituto storico
italiano per il Medioevo a Roma, oggi brillantemente diretto da
Girolamo Arnaldi - la definizione dei documenti come fonti della storia,
la messa in piedi di tecniche dette scienze ausiliarie della storia,
fra le quali la cronologia; per cui non si dirà mai abbastanza che non
c'è storia senza cronologia. Bisogna anche dire con forza che questa
erudizione, questi metodi critici restano e resteranno una base
essenziale della scienza storica e del lavoro dello storico. Questa
formazione distingue anche lo storico professionale dallo storico
amatoriale. Ma dal XIX secolo la pratica divenuta tradizionale
dell'erudizione ha portato ad un disseccamento della critica storica.
Questa si è focalizzata sulla ricerca del falso e ha avuto la tendenza a
ridursi quando la critica del documento doveva rispondere a questioni
assai più larghe e più ricche.
LA STORIA È LA SCIENZA DEL PASSATO?
La seconda acquisizione è stata l'elaborazione di una definizione che ha
permesso alla storia di prendere pienamente il suo posto nell'insieme
delle scienze umane e sociali del XX secolo. La definizione è di Fustel
de Coulanges (1830-1889) ed è stata sostenuta e completata da Marc Bloch
nella prima metà del XX secolo: “la storia è la scienza degli uomini
nella società nei tempi”. I tre termini sono egualmente importanti e la
loro forza deriva dalla loro messa in rapporto. Oggetto della storia
sono gli uomini e le donne viventi e agenti con tutto il loro essere
(corpi, sensibilità, mentalità compresi) in tutti i campi (vita
quotidiana, vita materiale, tecniche, economia, società, credenze, idee,
politiche eccetera) secondo i loro caratteri individuali ma anche e
soprattutto collettivi, da qui l'importanza dello studio delle strutture
sociali e del loro funzionamento. Sottolineo ancora “nei tempi”.
L'importanza fondamentale per lo storico della dinamica delle società e
della storia come scienza del movimento e del cambiamento. Non c'è
storia immobile. La storia si trova così definita come una scienza della
vita (si può considerare Michelet come il padre di questa concezione),
di uomini viventi e dunque mutevoli. Non posso trattenermi dal citare
una celebre frase di Marc Bloch. «Sono gli uomini che lo storico vuole
afferrare. Chi non li raggiunge non sarà altro che un manovale
dell'erudizione. Il bravo storico, lui, assomiglia all'orco delle
favole. Là dove fiuta carne umana, là è la sua selvaggina». A quale
altra definizione si oppone questa definizione umana, sociale della
storia? A questa: “La storia è la scienza del passato”. Il commento di
Marc Bloch è senza appello: «L'idea stessa che il passato, in quanto
tale, possa essere oggetto di scienza è assurda. Fenomeni che non hanno
altro carattere comune che di non essere stati contemporanei, senza
distacco preliminare come possono divenire materia di conoscenza
razionale?». Insistiamo, la storia non è la scienza degli uomini del
passato e nel passato, è la scienza degli uomini nei tempi, nel
cambiamento. La terza acquisizione della scienza storica nel XIX secolo è
piuttosto un blocco che un'acquisizione vivente. Risulta da una
abdicazione dello storico davanti al documento, da un ingemuo ottimismo
nel potere del documento, una volta che la sua autenticità è stata
stabilita, di imprigionare la conoscenza storica. In questa evoluzione
della scienza storica, l'influenza di Marx fu molto limitata, prima
perché il suo bagaglio storico era abbastanza limitato e soprattutto
perché la storia nella posterità marxista fu sommersa e completamente
pervertita dal marxismo-leninismo. Gramsci ricordò vanamente che
nell'espressione materialismo storico la parola importante fosse storico
in quanto scientifico e non materialismo in quanto metafisico.
LA DERIVA POSITIVISTA E L'EREDITÀ DEGLI ANNALI
All'inizio del XX secolo i limiti, le derive di questa storia erudita e
storicista che si andava chiamando positivista, evenemenziale,
storicizzante, suscitarono sempre più critiche e desideri di
rinnovamento. Il movimento fu europeo con un'eco negli Stati Uniti. Vi
parteciparono soprattutto lo storico belga Henri Pirenne (1862-1935), lo
storico-filosofo italiano Benedetto Croce (1896-1952), autore della
celebre frase: «Ogni storia è contemporanea» che critica lo storicismo
in una prospettiva ad un tempo idealista e marxista e fonda l'Istituto
per gli studi storici, affidandolo alla direzione di Federico Chabod,
l'olandese Johan Huizinga (1872-1945), il rumeno Nicolae Iorga
(1871-1932), la rivista tedesca Zeitschrift fur sozial und
wirtschaftsgeschichte, l'Istituto per le ricerche storiche di Londra
(1921) e l'Istituto di studi comparativi delle religioni di Oslo (1925).
Il suo punto culminante fu la creazione a Parigi da parte di Marc Bloch
e Lucien Febvre della rivista Annales d'histoire economique et sociale
(1929). Prima di abbozzare un bilancio dell'eredità degli Annali per la
storia di oggi sottolineo che la rivolta contro la storia positivista
del XIX secolo, gesto capitale, ha avuto per bersaglio essenziale i
concetti del documento, dell'avvenimento, del fatto storico come un
tutt'uno. Contrariamente all'ingenua credenza degli storici positivisti
ci si è resi conto che, secondo la frase di Paul Veyne, “la storia deve
essere una lotta contro l'ottica imposta dalle fonti”, e Michel Focault
ne “la messa in dubbio del documento” ha definito la storia come ciò che
trasforma il documento in monumento cioè invece di decifrare le tracce
lasciate dagli uomini la storia dispiega una massa di elementi che si
tratta di isolare, di ragguppare, di rendere pertinenti, di mettere in
relazione, di costituire in insieme (L'archéologie du savoir, 1969). Più
fondamentalmente l'avvenimento, il fatto storico non sono dati dalle
fonti allo storico. Sono la sua costruzione. La storia diventa così
definitivamente una scienza che, come tutte le scienze, deve creare il
suo oggetto. Vengo infine alla situazione attuale della scienza storica.
Cosa resta dell'eredità degli Annali? Anzitutto il campo definito dal
titolo. La storia economica e sociale. Ma la storia economica è stata
svalutata dall'affossamento del marxismo e dall'impotenza dell'economia
ad insinuarsi in una problematica storica. L'instaurarsi di un dialogo
tra la storia e le scienze sociali è stato limitato dall'indifferenza
delle scienze sociali (sociologia, etnologia, antropologia) ai tempi e
all'evoluzione storica.
L'orizzonte di una storia totale o globale che non ha niente a che
vedere con l'affermazione che tutto è nel tutto e reciprocamente e che
non s'è confusa con una storia universale al posto della quale Michel
Focault ha suggerito di elaborare una storia generale, tanto che Pierre
Toubert e io stesso proponiamo la scelta di oggetti globalizzanti (il
Purgatorio, San Luigi). Gli Annali hanno anche messo alla base del
percorso la storia-problema, ponendo alla base di una ricerca e di una
riflessione storica un problema e non un fatto o un tema. Gli Annali
hanno insisitito sullo studio delle strutture ma secondo una prospettiva
dinamica che rifiuta uno strutturalismo indifferente ai tempi e che non
oppone il collettivo all'individuale. Infine Marc Bloch in particolare
ha assegnato alla storia lo studio delle relazioni reciproche tra
passato e presente, meglio definito come l'attuale. Chiarire il presente
attraverso il passato come pure il passato attraverso il presente è
diventato l'oggetto della storia. Nella sua opera e nella sua vita, Marc
Bloch ha dimostrato lo stretto legame che unisce lo storico, l'amatore
di storia e il cittadino.
LA REALTÀ DEI FATTI E LA LORO ECO NELLA COSCIENZA
Tra il 1950 e il 1980 diversi complementi importanti sono stati portati
alla scienza storica nella linea degli Annali. Fernand Braudel ha
attirato l'attenzione sulla necessità di situare la riflessione storica
nella lunga durata. Io credo che il congegno dei tempi della storia è
più complesso e mette in causa una maggiore pluralità di tempi storici.
Bisogna tornare a Marc Bloch: «il tempo umano (…) si dimostrerà sempre
ribelle all'implacabile uniformità come alle divisioni rigide del tempo
dell'orologio. Ha bisogno di misure accordate alla variabilità del suo
ritmo e che per limite accettano spesso, perché così vuole la realtà, di
non conoscere che zone marginali. È solamente al prezzo di questa
plasticità che la storia può sperare di adattare, secondo le parole di
Bergson, le sue classificazioni alle linee stesse del reale, che è,
propriamente, il fine ultimo di ogni scienza». E aggiungo, una storia
che confronterà sempre il tempo misurato al tempo vissuto. Approfondendo
il dialogo con l'etnologia, gli storici usciti dagli Annali hanno
elaborato una antropologia storica definita come un atto di
totalizzazione o piuttosto di messa in relazione dei diversi livelli
della realtà prefigurata nella storia dei costumi di Tocqueville.
Egualmente questi storici hanno costruito una storia delle mentalità,
delle rappresentazioni, dell'immaginario. Ormai la realtà storica è
l'unione di due ante: la realtà dei fatti e della loro eco nella
coscienza, realtà fattuale e realtà immaginaria. E la storia delle
mentalità si duplica di una storia dei valori, delle idee-forza riflesse
nelle coscienze e nei comportamenti, una storia intellettuale e delle
mentalità che prende il posto della vecchia storia delle idee, la
Geistesgeschichte tedesca. Ma non bisogna esagerare la portata della
nuova storia delle mentalità, essa non pesa sull'evoluzione storica come
una causalità primaria. Molti storici disarcionati dall'affondamento
dell'economia come causalità primaria generale sono ripiegati sulle
mentalità per tenere il ruolo. È un altro sbaglio. Nel contempo un nuovo
campo si è affermato nella storia: la storia culturale utilizzata come
causalità storica generale. La spiegazione della storia e
dell'evoluzione storica attraverso la cultura è un errore comparabile
all'antica causalità economica anche se la nozione di storia culturale
fornisce un ponte con l'antropologia e ha permesso di integrare più
facilmente realtà umane che l'idea di civilizzazione integrava meno
bene.
TRE PUNTUALIZZAZIONI
Malgrado questi arricchimenti la storia espressa dagli Annali ha dato a
partire dal 1980 circa sempre più segni di soffocamento, meglio
d'esaurimento ed è stata l'oggetto di una convergenza di critiche che le
rimproverano di schiacciare gli uomini sotto le strutture, di tendere a
una storia immobile e di sacrificare la specificità della storia alle
astrazioni delle scienze sociali al di fuori del tempo. Questa crisi
della storia degli Annali si inscrive in una più ampia crisi della
storia in generale. Discuterne supererebbe largamente il poco tempo che
resta. Mi accontenterò di tre puntualizzazioni. Se si intende per crisi
la destrutturazione di un sistema e la fase di disordini e turbolenze
che, secondo la concezione gramsciana, prepara la costruzione di un
nuovo sistema e che è più ricca di promesse e di inviti allo sforzo
intellettuale che di scoraggiata contemplazione delle rovine, allora sì,
la storia è in crisi ma preferisco parlare di mutamento poiché ciò
riguarda l'avvenire mentre il termine crisi è rivolto verso un passato
di cui bisogna riconoscere le eredità viventi ma dal quale bisogna
sapersi sottrarre per costruire meglio senza nostalgia, con lucidità,
critica costruttiva e volontà. Se dico che questa crisi è legata a
quella delle scienze sociali nel loro insieme e questa a quella della
nostra società e del nostro sapere complessivo non è voler “stancare
l'avversario”, ma è definire l'ampiezza del problema e del compito e
sottolineare che non si può agire di ritocchi e sotterfugi ma che è
tutto un blocco storico e scientifico che si tratta di prendere di
petto. Il problema non è sfuggito al comitato di direzione degli Annali
che nel numero del marzo-aprile 1988 ha pubblicato un testo intitolato
“Storia e scienze sociali: un tornante critico?”. È arrivato il momento,
scrivevamo, di rimescolare le carte e abbozzavamo nuovi metodi,
citandone due tra gli altri: “Le scale d'analisi” e “la scrittura della
storia e nuove alleanze”, in altri termini ripensare e ridefinire una
pratica dell'interdisciplinarietà. E concludevamo: «il momento non ci
pareva venuto per una crisi della storia di cui alcuni accettano troppo
comodamente l'ipotesi. Abbiamo in compenso la convinzione di partecipare
a un nuovo giro di carte ancora confuso, che bisogna definire per
esercitare domani il mestiere di storico». Ho la sensazione che non
siamo ancora usciti da questa fase ma credo che stiamo prendendo meglio
coscienza del carattere generale di un mutamento che oltrepassa la
storia. Come stupirsene quando si professa una concezione della storia
che la pratica in tutto lo spessore e la profondità delle realtà umane?
Ho trattato altrove delle vicende che sembrano occultare l'eredità degli
Annali, vicende della storia politica, dell'avvenimento della
storia-racconto, della biografia e del soggetto. Per finire permettetemi
d'enumerare senza sviluppare, non ne ho più il tempo - i principali
compiti della ricerca storia - numerosi e maggiori in questi tempi di
mutamento delle scienze sociali, della società e del sapere. Allacciare
nuove relazioni con le scienze sociali. Auguro il costituirsi di
un'antropologia storica raggruppante storia, sociologia e antropologia
animate dalla ricerca e la spiegazione del cambiamento delle società nel
tempo su tutti i piani. Questa scienza dovrebbe restare in stretto
contatto con la geografia perché una delle linee di rinnovamento della
storia si dovrà realizzare attraverso ricerche sui tempi, gli spazi e le
loro dinamiche. La storia deve ritrovare un oggetto sintetico e
spezzare la catastrofica frammentazione in storia politica, sociale,
economica, culturale, storia dell'arte, del diritto, eccetera. La
semantica storica, chiarendo i termini e i concetti, al di là di una
filologia inerte, in una prospettiva di trasformazione e di creazione,
deve permettere una rilettura ripulita dei documenti. Lo studio delle
fonti deve continuare a farsi al di là dei testi trasformando in
documenti di storia le immagini, i risultati dell'archeologia, le gesta,
i paesaggi eccetera. Bisognerà un giorno pensare a tappare i buchi, le
lacune della documentazione e a costruire una storia dei silenzi. Questo
compito implica una rigenerazione completa delle scienze ausiliarie e
una esplorazione della produzione storica della memoria. La scienza
storica deve appropriarsi e adattarsi ai nuovi strumenti informatici
apportatori di scoperte e di conquiste. La storia deve prendere ormai
insieme le serie di fatti e di rappresentazioni. La storia è fatta tanto
di immaginario che di realtà positive. La storia comparata augurata da
Marc Bloch deve svilupparsi in una prospettiva di storia generale. Per
questo deve disoccidentalizzarsi e creare strutture attente alle storie
latenti o altre. La storia deve più che mai avere per oggetto gli uomini
e la vita, integralmente ma secondo approcci razionali e critici. La
storia recente ha lanciato la memoria all'assalto della storia. La
storia dovrà continuare a nutrirsi di memoria, produttrice di vita, ma
separare la buona memoria appassionata di verità dalla cattiva, corrotta
dalle passioni aggressive e corrotte, soprattutto nazionaliste. È
necessario che la storia cessi di essere ciò che Hegel chiamava un
fardello per realizzare la funzione di mezzo di liberazione del passato
che gli assegna Girolamo Arnaldi. Essa dovrà cercare di mordere
razionalmente sull'avvenire, compito che le impone lo scacco della
futurologia e lo scatenamento delle elucubrazioni divinatorie vecchie e
nuove per prolungare prudentemente la padronanza dei tempi al di là del
passato e del presente e per cercare di rispondere più pienamente alla
domanda: «A che serve la storia?». A rispondere razionalmente
all'interrogativo: «Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?».
Compito immenso, esaltante. Torno all'inizio. La scienza storica è in
fasce. Grandi speranze le sono concesse. Al lavoro! E come lavorare
meglio che in questa città che possiede l'esperienza di grandi
rinnovamenti, di grandi rifondazioni dall'antichità al cristianesimo e
ai diversi rinascimenti?
Testo scritto in occasione del conferimento della laurea honoris causa
dal dipartimento di storia moderna e contemporanea della Sapienza di
Roma. Nostra traduzione dall'originale in francese pubblicato su:
Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2/2000
L'ultima intervista a Repubblica