domenica 16 novembre 2025

L'eterno presente di Elly

Filippo Barbera
La segretaria in equilibrio sull'eterno presente

il manifesto, 16 novembre 2025

L’elezione dell’outsider Elly Schlein alle primarie del Partito democratico del 2023 è stata una sorpresa generale. Pochi quelli che l’avevano vista arrivare, in quella domenica di fine febbraio. La vittoria si è costruita fuori dai confini del partito ed è stata spinta da una inaspettata effervescenza collettiva. In molti, a sinistra, anche tra i delusi e i non votanti, hanno guardato con speranza verso un “adiacente possibile”, apparso nelle pieghe del già scritto. Non solo il risultato di una nuova leader, donna e giovane, ma il riflesso di qualcosa di più ampio che stava accadendo nella partecipazione politica. Quella effervescenza, però, non ha avuto un seguito all’altezza delle aspettative che si erano create, come scrivono Gianpietro Mazzoleni, Alfio Mastropaolo e Carlo Trigilia su questo giornale.

L’entusiasmo suscitato nei non iscritti e le porte spalancate per un giorno si sono richiuse, senza trovare casa e creare nuovi varchi. Non c’è stata nessuna redistribuzione del potere di agenda e i confini del partito sono rimasti impermeabili, nonostante alcune azioni rivolte all’organizzazione interna. Così, i temi che avevano acceso la mobilitazione degli esterni – il lavoro povero, la crisi climatica, la giustizia sociale – sono rimasti perlopiù enunciati programmatici, non tradotti in una riorganizzazione del rapporto con le classi popolari e i territori, efficace sul piano della comunicazione pubblica.

Il recente richiamo della Segretaria alla patrimoniale europea è solo l’ultimo inciampo: la proposta non è riuscita nell’intento di aprire un conflitto sul terreno della giustizia fiscale. In compenso ha scontentato tutti, tanto chi auspica una fiscalità più giusta ed efficace, quanto i contrari anche alla versione “continentale”. È, questo, l’emblema di una linea ispirata dal principio di preservare un equilibrio tattico in vista del sol del campo largo. Un’alleanza potenziale che, per essere mantenuta almeno in vita apparente, impone un’aurea equidistanza. E ciò, inevitabilmente, ha eroso la possibilità di definire un profilo autonomo e percepito come tale.

Qui l’evidente collo di bottiglia: il campo largo ha finito per essere una fragile architettura di vertice, dove ogni soggetto politico difende il proprio perimetro come un pezzo di proprietà privata. In questa logica, l’elettorato diventa solo un feudo da amministrare e non la base di una nuova “ecologia politica” tra le organizzazioni del “campo largo”. L’alleanza auspicata e possibile diventa così un gioco di veti e bilanciamenti che cambia a ogni risultato, non un progetto costruito con i potenziali elettori.

Certamente, la segreteria Schlein ha ereditato una struttura organizzativa vischiosa, impantanata in un partito di amministratori, ed è stata nel mirino della corrente “riformista” che lavora contro fin dall’inizio. Proprio alla luce di ciò, del resto, “riaprire i confini del partito” significa molto più che cambiare un gruppo dirigente, scegliere un candidato Presidente di Regione, promuovere un programma di formazione per gli iscritti, riaprire la sezione intitolata ad Enrico Berlinguer. Significa, piuttosto, costruire nuovi campi organizzativi, nuove modalità di legittimazione della leadership a cavallo tra le organizzazioni e individuare meccanismi di selezione della classe dirigente che cambino i rapporti di potere interni. Ciò dovrebbe essere l’occasione per indirizzare le energie “mobilitanti” sulle controversie e le questioni che parlano al quotidiano delle persone: il punto nascite che chiude, gli infermieri che mancano, i treni regionali stipati, le case di comunità senza personale e quelle che funzionano, i salari stagnanti, le imprese che chiudono e quelle (come la Gkn) che resistono, le comunità energetiche, le scuole, le biblioteche di quartiere. Una nuova stagione di conflitti, progetti e soluzioni a tutto tondo, nei luoghi e per le persone.

Il voto “allargato” ai non iscritti aveva segnalato il bisogno diffuso di riconnettere la politica al ruolo delle persone nel definire le questioni di interesse collettivo e i mezzi per affrontarle. La nuova segretaria avrebbe così potuto trasformare quella parentesi felice in uno spazio di incontro tra esperienze, poteri e saperi. Per scelta, a causa di incauti consigli o per difendersi preventivamente dagli avversari interni, Elly Schlein si è invece concentrata su una “guerra di posizione” volta a consolidare spazi di legittimità e potere dentro l’organizzazione, nell’arena mediatica e in negoziazioni di vertice. Una scelta forse necessaria, ma di certo non sufficiente.

Nessuna guerra di posizione interna può reggere senza una “guerra di movimento” esterna, senza un fronte sociale capace di alimentare il conflitto politico a sostegno della trasformazione auspicata. Senza l’energia dei mondi che l’hanno portata alla segreteria, la battaglia interna rischia di essere una forma di resistenza disperata. Un assedio schiacciato su un eterno presente, più che un cantiere politico capace di parlare del, e al, futuro del Paese.

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